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"15. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
dal costo al valore

Valutare il servizio: per un bilancio sociale dei servizi bibliotecari

Focalizzare e comunicare i valori per materializzarli

Riccardo Ridi, Professore di Biblioteconomia presso l'Università Ca' Foscari


Quando mi invitano a una tavola rotonda spero sempre che essa sia davvero tale, perché purtroppo spesso si rivelano delle sequenze di brevi relazioni indipendenti fra loro. Essendo oggi avvantaggiato dall'ordine alfabetico potrei tentare di animare il dibattito ponendo delle domande a tutti i relatori che mi hanno preceduto, ma vista l'ora credo che non sia il caso.
Allora, a questo punto, rinuncio al mio intervento (sacrificio minuscolo, perché non ne avevo uno pronto), e mi limito a fare un taglia-e-incolla, scegliendo un passo dal programma del seminario che ben sintetizza tutto il significato di questi due giorni, e commentandola con alcune frasi pronunciate dai relatori di stamani.
L'argomento è il valore delle biblioteche e il programma dice: "trattandosi di un valore sostanzialmente immateriale". Ecco, questo io francamente lo nego, non è assolutamente vero, si tratta di un valore assolutamente materiale e tangibile. Poggiali ha fatto un paio di esempi: la riduzione del tasso di analfabetismo, salvare la vita di persone malate, ma se ne possono fare altri mille. Il problema consiste piuttosto nel fatto che tale valore è difficilissimo da misurare, come ci hanno detto anche oggi gli economisti qui presenti. Ma se l'economia - intesa come disciplina - e la biblioteconomia di oggi non sono in grado di misurare un determinato valore, ciò non significa affatto che esso non sia materiale o che non sia misurabile in assoluto.
Come ben sanno gli storici della scienza, grandezze intangibili per la fisica e la chimica di un secolo sono spesso diventate tangibili e misurabili per le medesime discipline nel secolo successivo. Evidentemente economia e biblioteconomia devono ancora lavorare, assieme e separatamente, per arrivare a cogliere certe grandezze tramite misurazioni che non risultino eccessivamente intrusive e costose, e quindi sostanzialmente impraticabili. Intendo "grandezze" in senso fisico, materiale, economico in senso stretto, lasciando la dimensione etica, che pure c'è, come un valore aggiunto.

Nel programma del seminario si indicano anche quali sono le tre direzioni principali in cui andare a effettuare queste misurazioni. Intanto "la promozione della cultura", intesa nel senso più ampio possibile, e "lo sviluppo della conoscenza" in tutti i settori, come è stato giustamente detto: per il lavoro e per lo studio ma anche per il tempo libero e per il divertimento. Si parla tanto di società dell'informazione e della conoscenza, allora proviamo a prenderli sul serio questi concetti. Se sono davvero così importanti la conoscenza e l'informazione, allora gli istituti che se ne occupano dovrebbero avere un ruolo centrale, un ruolo importante, trainante e non trainato, economicamente produttivo e non assistito per motivazioni esclusivamente etiche.
La terza direzione è "l'esercizio della democrazia". E' quella fondamentale: se io ho accesso alle informazioni ma poi, una volta ottenutele, non so valutarle e sceglierle, allora il mio diritto politico di votare (quindi di scegliere) è un diritto mutilo, è un falso diritto, una farsa. Come ben sappiamo in Italia, i paesi in cui tutte le fonti di informazione sono in mano a poche persone sono democrazie apparenti, perché democrazia non significa solo avere il diritto di andare a votare, ma anche il diritto di andarci informati e in grado di valutare le informazioni ricevute.
Quindi, anche solo limitandoci a queste tre direzioni (ma ce ne sarebbero anche altre), ce n'è di materiale su cui lavorare. Non sarà facile, ma vale sicuramente la pena provarci e io sono ottimista che i metodi giusti verranno fuori.

"Ci si interrogherà" proseguo a leggere "da un lato sulla reale efficacia delle nostre biblioteche nella produzione di questo valore" e qui, sebbene sia difficile misurarlo, a occhio e croce direi che ci riusciamo poco. Ci sono in Italia dei vertici di eccellenza, ovviamente, però anche degli abissi di assenza del servizio e complessivamente la media non è soddisfacente. Ultimamente sono usciti un numero quasi-monografico di "Economia della cultura" (2003/3) e il Rapporto 2001-2003 dell'AIB sulle biblioteche italiane, e anche i risultati di una più specifica indagine AIB-ISTAT sulle nostre biblioteche pubbliche. Questi documenti, pur nella nota difficoltà di raccogliere dati nel settore, costituiscono una fotografia delle luci e delle ombre generali e talvolta anche specifiche. Complessivamente, secondo me, è più quello che c'è da fare di quello che è stato fatto, non ci possiamo sedere compiaciuti, quindi - per riallacciarmi a quanto è stato detto prima - sicuramente c'è da lavorare su come evitare gli sprechi, evitare inefficienze e inefficacie: non deve essere un problema per i bibliotecari ammetterlo.

Ad esempio è stato citato il licenziamento delle risorse umane come leva sulla quale sarebbe più facile agire direttamente. Vorrei ricordare che non è l'unica, ce ne sono mille altre. Si possono organizzare meglio le cose, si possono rivedere le priorità, si possono ridurre gli investimenti in attività marginali, si può premiare chi lavora meglio. Tra parentesi devo dire che, rispetto a dieci anni fa, è sicuramente migliorato in Italia il sistema di arruolamento dei nuovi bibliotecari, ma c'è ancora parecchio da fare sui criteri con cui si prosegue la carriera, che non sempre riescono a individuare e valorizzare i soggetti portatori di innovazione e efficienza.
Si può lavorare anche sugli orari, che ancora troppo spesso inseguono i bisogni del personale e delle amministrazioni anzichè quelli del pubblico. E' stato ricordato il caso eccezionale (in positivo), qui a Venezia, degli orari "anomali" della Querini, ma, se siamo a parlare di tabù, così come è tabù licenziare, è tabù anche aprire la domenica, aprire il sabato, aprire la sera. Allora, tabù per tabù, forse ce ne sono di più interessanti da cui iniziare a infrangere e trasgredire.
Però, se dovessi additare le principali cause dell'inefficacia (più che dell'inefficienza), del sistema bibliotecario italiano, forse un nodo centrale lo individuerei nella scarsa capacità da parte delle biblioteche e delle amministrazioni che le gestiscono - per motivi storici stratificati, difficili da modificare sul breve periodo - di definire in maniera chiara - e quindi poi perseguire con efficacia - i propri obiettivi specifici, ovvero quella che va di moda chiamare mission.

E' proprio ciò che ha evidenziato molto bene Geroldi con uno sguardo leggermente esterno, che spesso aiuta in questi casi, perché è privo delle incrostazioni di chi sta dentro da troppo tempo al problema che dovrebbe risolvere. Geroldi ha evidenziato una serie di obiettivi delle biblioteche, ma io personalmente sull'ultimo obiettivo - quello dell'aggregazione dell'utenza - sono piuttosto scettico, se non addirittura critico. Credo anch'io che sia una funzione, quella della common room, che il settore pubblico dovrebbe assolutamente perseguire, perchè fondamentale in una società moderna, ma ho dei seri dubbi che ne vadano individuati proprio nelle biblioteche gli attori principali, però se ne può discutere. Sui primi tre obiettivi invece non ci piove, Geroldi li ha individuati molto bene.
Il problema delle biblioteche italiane è che spesso non lo sanno nemmeno loro quali di questi obiettivi devono perseguire, oppure, se ne devono perseguire più di uno, quali sono le priorità, cosa viene prima e cosa viene dopo quando inevitabilmente occorre fare delle scelte. Le cause vengono da lontano, i risultati sono quelli che sono stati citati: il caso Lazio, le "biblioteche pubbliche" che non sono public library, la decina di biblioteche nazionali, le due nazionali centrali. Insomma, siamo da vari punti di vista, non tutti lusinghieri, un unicum a livello mondiale.
Chiudo con una ultima frase del programma, la domanda "su chi debba sostenere il costo" di tutto ciò in una società moderna. Qualcuno ha detto molto bene in apertura: lo stakeholder delle biblioteche è la società nel suo complesso. E' stato anche evidenziato ultimamente che l'intervento dei privati ha un valore limitato, però questo non deve significare che "paga tutto Pantalone" e non ci sia quindi bisogno di migliorare l'efficacia e l'efficienza, questo va (o dovrebbe andare) da sé.
Ma quando si tratta di decidere quanto, dove e come investire, all'interno di quella "cosa" che chiamiamo società c'è un nocciolo duro che ne stabilisce le priorità e quindi i fronti di investimento. Ed è questo nocciolo duro di potere che è governato dalla politica, non necessariamente solo quella partitica. E allora torniamo a quanto si è detto poco fa sull'accesso reale alla vita politica democratica. Alla fin fine sono i cittadini (o almeno, dovrebbero essere i cittadini, in regime di democrazia piena e autentica, senza distorsioni mediatiche), ovvero gli elettori, che scelgono quali sono i valori fondamentali di una società. E sarebbe bene che tali elettori coincidessero coi lettori formati al vaglio critico dell'informazione dalle biblioteche. Beh, diciamo anche dalle biblioteche. E allora sarebbero gli utenti stessi delle biblioteche che decidono anche i flussi dei finanziamenti, magari non in dettaglio, perché sarebbe demagogico sia dirlo che farlo, però a grandi linee sì.
Certo, tutto ciò solo se crediamo davvero nella democrazia, perché è facile crederci solo quando il "popolo" ci dà ragione e quando il "popolo" invece ci dà torto, allora no, bisogna "interpretarlo". Questo è fondamentale: alla fin fine, io credo che sia la politica, intesa in senso buono, positivo, democratico, e non i tecnici di questo o quel settore a scegliere quali sono i valori di una determinata società e quindi i settori dove valga di più la pena di spendere i soldi di tutti.
A questo punto diventa fondamentale la comunicazione, che è l'altro grosso problema delle biblioteche italiane. Da una parte abbiamo visto la difficoltà nell'individuare gli obiettivi e quindi a capirli e a perseguirli; dall'altra l'incapacità, anche nei rari casi in cui tali obiettivi vengono individuati e magari anche raggiunti, a far capire ad utenti, amministratori, politici e media che si è ben lavorato e che c'è stato un certo impatto sulla società.

Allora non vorrei fare come i Radicali, che dicono: se tutti avessero modo di ascoltare il nostro messaggio avremmo la maggioranza assoluta in Parlamento; però una parte di verità c'è anche in questo tipo di ragionamento. Se le biblioteche riuscissero (e se non ci riescono un po' è colpa loro e un po' di altri soggetti e ragioni) a far capire qual è il loro ruolo e quali sono le ricadute sulla società che derivano dalla loro esistenza ed efficenza, allora è possibile e sperabile - se c'è ancora un po' di tempo prima del lavaggio totale del cervello - che la società scelga di credere (e investire) nei valori difesi e rappresentati (anche) dalle biblioteche.
Il quadro complessivo che viene fuori è quindi un circolo, non vizioso in questo caso, ma virtuoso.


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2005-08-09, a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica Ultimo aggiornamento 2010-02-21
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay15/ridi04.htm


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