AIB. Sezione Veneto. Congressi
"15. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
dal costo al valore
La valutazione economica dei benefici sociali del patrimonio culturale
Massimiliano Mazzanti, Dipartimento di Economia Istituzioni Territorio, Università di Ferrara
La valutazione economica dei benefici e dei costi sociali associati ad interventi, effettuati da agenti pubblici e/o privati, che riguardano il patrimonio culturale, è uno strumento necessario per guidare ed informare le decisioni di politica pubblica. Seppure esistano ancora problemi di natura metodologica, che alimentano il dibattito intorno al tema della valutazione sia all'interno della scienza economica sia in ambito di confronto inter-disciplinare, l'uso di tecniche di valutazione socio-economica è riconosciuto come elemento indispensabile, funzionale ad incrementare la qualità delle decisioni e dei processi di politica pubblica (ICCROM, 1999; Mourato e Mazzanti, 2002). La valutazione economica è cruciale nelle decisioni che interessano il patrimonio culturale per diversi motivi, fra i quali i più rivelanti, ai fini del presente contributo, sono:
Per quanto riguarda l'utilizzo delle tecniche di valutazione economica, è noto che la scienza economica dispone (i) di strumenti fondati su un paradigma di individualismo metodologico, finalizzati alla stima del valore mediante l'analisi delle preferenze dei cittadini/consumatori (culturali) e (ii) di strumenti che quantificano il valore economico mediante la valutazione dell'impatto aggregato locale/regionale degli interventi o mediante la stima dei costi di ripristino nel caso si debbano valutare danni al patrimonio. È opinione di chi scrive che (i) le tecniche basate sulle valutazione delle preferenze siano utilizzabili in modo efficace quando l'obiettivo è la quantificazione del valore incrementale (marginale) di interventi che riguardano sia la valorizzazione sia la tutela, quindi sia i valori di uso sia quelli di "non uso", mentre (ii) nel caso di valutazione dei danni [1], soprattutto a causa di problemi legati alla natura dei diritti di proprietà effettivi o percepiti, sia preferibile fare uso di tecniche non basate sulle preferenze, come quelle fondate sui concetti di replacement cost e opportunity cost.
Valutazione economica e benefici pubbliciPartendo da quanto detto, la prima complessità che caratterizza la valutazione economica dei benefici legati al patrimonio è la natura pubblico-collettiva e meritoria di tali beni, spesso non scindibile dal contesto territoriale, ambientale e culturale. La prima caratteristica, che per certi beni culturali italiani assume natura planetaria, si associa alla necessità di stimare i benefici pubblici extra-mercato, in modo da introdurre nel processo decisionale informazioni relative ai prezzi ombra. Benefici che possono essere legati alle attività di conservazione e tutela del bene, le quali "generano" valori economici [2] definibili di non uso (non use o passive values). A loro volta, i valori di non uso possono riguardare preferenze "egoistiche" (pura conservazione del bene, valori d'opzione per consumi futuri) o componenti altruistiche (preservare i beni per le future generazioni). Queste ultime possono sotto certe condizioni essere analizzate anche nei modelli economici basati sulle funzioni di utilità individuali (McConnell, 1997). Le tecniche di valutazione possono rendere esplicite, attraverso indagini dirette su utenti effettivi e/o potenziali, queste componenti di valore, in modo da far emergere il valore economico totale di non uso, le sue componenti e le sue determinanti. È opinione di chi scrive che è preferibile giungere a quantificazioni di valore, anche se soggette a distorsioni ed imperfezioni, come peraltro ogni stima socio-economica, piuttosto che ragionare e decidere senza quantificazione (Pearce, 2003).
La potenziale natura altruistica delle preferenze dei cittadini/consumatori ci conduce direttamente a discutere la "meritorietà" dei beni culturali. I due elementi ("bene pubblico" e "bene di merito") non sembrano essere esclusivi. La natura meritoria degli interventi sul patrimonio è solitamente giustificata da argomentazioni relative alla "miopia" o "ignoranza" di parti della popolazione. Essendo il bene culturale un bene di lusso ed un bene di esperienza, reddito e educazione entrano come determinanti principali del consumo e delle preferenze. Quindi, si può affermare che, come per altri settori di intervento pubblico, gli interventi attuali per la valorizzazione e soprattutto per la conservazione e la tutela hanno l'obiettivo di preservare il bene per il consumo futuro di fasce di popolazione della generazione presente e di quella futura che attualmente, per varie ragioni, non entrano a far parte del nucleo dei consumatori culturali. E' quindi implicito un elemento re-distributivo, che può anche essere rilevato dalla valutazione di fattori altruistici alla base delle preferenze "sociali" degli individui. Si può affermare che la stima dei valori economici di uso e non uso, egoistici e altruistici, derivanti da tecniche che si basano sulla teoria welfarista dei "beni pubblici" è in parte funzionale, mediante il finanziamento delle policy, al perseguimento di obiettivi definibili sull'asse della teoria dei beni di merito.
Gran parte delle politiche culturali è infatti orientata all'accrescimento
delle capabilities and opportunities (human cultural capital)
al fine di accrescere il consumo futuro di tali beni. Le misure di inter
e infra generational value sono una delle possibilità per
stimare tali benefici. Per quanto riguarda i benefici infra-generazionali, è
possibile rilevare quanto le persone valutino la fornitura di servizi "meritori"
a favore di minoranze sociali, persone svantaggiate, o in generale a favore
di attuali non utenti dei servizi, o utenti potenziali. In questo modo ci si
focalizza sulla distribuzione delle risorse analizzando le preferenze infra-generazionali.
Un'ulteriore specificazione di valore ha carattere inter-generazionale: suddividendo
le componenti di valore in pure existence values, individually specific,
e bequest values, è possibile rilevare, in certe situazioni, la componente
"altruistica”. Come detto, tali preferenze possono essere misurate, in
termini di misure di valore-reddito, e quindi tale reddito potenziale conseguentemente
"trasformato" in effettivi flussi finanziari, al fine di finanziare
specifiche politiche ri-distributive volte alla fornitura di beni di merito
e di beni pubblici. La necessità di misurare valori economici determinati
da preferenze altruistiche e/o paternalistiche emerge quindi come un obiettivo
rilevante e concreto, per la comprensione delle "domande" culturali
di uso diretto (fruizione) e non uso (Mazzanti, 2003a, 2002a) [3]
ed il relativo finanziamento dei servizi offerti dallo stock di Patrimonio.
È inoltre rilevante notare che, secondo questo ragionamento, ogni politica
culturale deve integrarsi direttamente ad interventi di natura distributiva
e ad interventi di natura formativa/educativa, sia interni sia esterni al settore
culturale, al fine di innescare un sentiero virtuoso di crescita del valore/consumo
e del potenziale finanziamento pubblico e privato del patrimonio culturale.
La duplice natura pubblica e meritoria del patrimonio culturale [4] ha quindi conseguenze molto rilevanti per quanto riguarda sia la valutazione di tali benefici sia il finanziamento di interventi con obiettivi specificamente volti ai valori di non uso, siano essi di natura individualistica, o altruistica, con caratteri inter ed infra generazionale [5]. Finanziamento che è un problema cruciale in Italia, data la crisi del welfare, l'estensione del patrimonio culturale e la protezione costituzionale concernente i beni culturali nazionali.
Volendo portare un esempio, anche se in molti casi il costo marginale dell'ingresso nelle istituzioni culturali è nullo, la tariffa/contributo imposta come pagamento per i vari servizi offerti dal Patrimonio ha una natura economica anche oltre il perimetro del modello microeconomico del sito culturale. Infatti, un sistema tariffario è l'unico modo per tassare il resto del mondo per contribuire al mantenimento del nostro Patrimonio, perché questo produce un'esternalità a livello mondiale e che non esiste un meccanismo efficiente di trasferimento dei fondi. Per strutturare politiche di management informate, è quindi rilevante conoscere la disponibilità a pagare (il valore) degli utenti per i "servizi" offerti dal Patrimonio, ed includere nei meccanismi di pagamento le componenti di beneficio relative ai valori di non uso, che altrimenti rimarrebbero economicamente inespresse o dovrebbero essere coperte totalmente dal bilancio pubblico [6].
Proseguendo il ragionamento, lo strumento estimativo si pone quindi come preliminare ad ogni azione di regolamentazione e pianificazione. Ad esempio, il processo di valutazione economica sarebbe rilevante per assoggettare gli elenchi di beni culturali ad una valutazione che cerchi di quantificare, nei limiti del possibile, i benefici di uso e non uso, anche in funzione di politiche di de-listing e classificazione dei beni. Inoltre, la casistica italiana è ricca sia di situazioni in cui c'è un uso eccessivo, quindi deleterio per la conservazione, che andrebbe quindi regolamentato e razionato, sia di casi contrari, in cui il non uso equivale all'abbandono.
La valutazione economica deve porsi quindi l'obiettivo di indicare quale sia
l'uso "corretto" del bene culturale, un "utilizzo" sostenibile
ma che sia anche in grado di generare un flusso di risorse sufficienti a finanziare
i costi di gestione e conservazione. Le origini di queste risorse sono molteplici
e vanno dalla disponibilità a pagare associata a varie forme di consumo
e di fruizione, fino alla domanda di investimento espressa dalle imprese, in
uno scenario istituzionale mutato, nel quale il settore culturale non deve più
comportarsi come un puro e semplice ricettore di stanziamenti dei livelli centrali
dello Stato, ma come un soggetto in grado di attivare tutte le potenziali risorse
pubbliche e private.
Inoltre, la stagione della politica economica rivolta ai beni culturali con
obiettivi primari di tipo occupazionale è definitivamente finita [7].
Le nuove priorità riguardano i sistemi di regolamentazione del settore,
le forme organizzative, il monitoraggio e la valutazione dei programmi di spesa,
il raggiungimento di assetti allocativi più efficienti, la possibilità
di generare risorse per pervenire a risultati di bilancio più equilibrati.
Priorità che vedono la valutazione economica, nei suoi molteplici aspetti
e tecniche, quale elemento centrale, ma ricordiamo complementare e strumentale,
a sostegno dei processi decisionali e delle politiche pubbliche di settore.
Dopo esserci focalizzati sulle problematiche e priorità dell'analisi
economica in un ambito fortemente caratterizzato da elementi pubblico-collettivi
e meritori quali motivazioni teoriche dell'intervento sul Patrimonio, affrontiamo
il problema dell'eventuale conflitto o complementarietà tra valori di
uso (diretto ed indiretto), legati al consumo dei servizi offerti dallo stock
di patrimonio e i sopra analizzati valori di non uso. Possiamo riassumere le
diverse componenti del valore totale del Patrimonio culturale, scomposte in
(i) benefici "interni" alla relazione individuo-bene culturale, quali:
Valori di uso derivanti da fruizione (uso indiretto di consumo); Valori di uso
indiretto legati ad attività turistiche; Valori di non uso "altruistico-paternalistici"
(espressi da utenti fruitori e non); Valori di non uso (di esistenza del bene,
espressi da utenti fruitori e non), e (ii) benefici "esterni" alla
relazione individuo-bene culturale, che connotano le componenti di valore "sistemico",
di carattere sociale-"collettivo" (Bariletti e Causi, 1998).
Nei beni e nelle attività culturali coesistono inoltre diverse connotazioni
relative alla natura più o meno pubblica e privata dei servizi, in quanto
dal Patrimonio si diffondono benefici economici territoriali (valori di uso
indiretto), benefici per la comunità a livello locale, benefici relativi
alla natura di bene pubblico puro (valore di esistenza) e benefici diretti associati
alla fruizione per utenti/visitatori (valore privato di uso diretto). Il valore
economico è riconducibile quindi ai servizi prodotti e alle funzioni
svolte dal capitale culturale, che possono essere associate a dimensioni ed
effetti rilevanti nell'ambito dell'analisi economica.
Le diverse categorie di benefici sono inoltre associate ad agenti economici fra loro eterogenei, i quali usufruiscono dei servizi di valore economico offerti del bene culturale, assegnando loro pesi differenti. È quindi inevitabile, come in tutti gli ambienti caratterizzati da gestione di risorse comuni, condivise e/o pubbliche, che si verifichino conflitti inerenti il peso, e quindi le risorse, da assegnare ad ognuna delle funzioni (valori) del bene. Tali conflitti si esplicano ad esempio lungo l'asse centro-periferia, con gli attori territoriali interessati a valori di uso indiretto e, spesso in seconda istanza, alla tutela e conservazione. La natura di valore di esistenza è invece maggiormente rappresentata da autorità indipendenti e centrali, libere da pressioni di carattere locale. Gli utenti diretti si collocano ad un livello intermedio, essendo interessati e disposti a pagare sia per la fruizione (servizi di valorizzazione) sia per la conservazione del bene.
Come già detto ed evidenziato da vari autori (Causi, 1998; Mazzanti,
2002b), la gestione sostenibile delle risorse culturali può essere inficiata
sia da sovra utilizzo sia da sotto-utilizzo o non adeguata valorizzazione di
tali risorse. Se nel primo caso l'obiettivo di consumo/valorizzazione può
associarsi a livelli eccessivi di "carico", tali da ridurre lo stock
di patrimonio in senso qualitativo e quantitativo, nell'altro la deficiente
valorizzazione, soprattutto per siti minori e locali, può portare, via
un deficit di finanziamento dell'offerta e a un mancato riconoscimento del valore
di uso effettivo del bene, a processi anche irreversibili di degrado e perdita
di capitale culturale. Alcune considerazioni emergono.
In primo luogo, ricollegandoci agli obiettivi della valutazione economica, scopo
della fase attuale di valutazione dovrebbe essere quello di indirizzare gli
investimenti all'interno del settore culturale dove questi si associano ad un
valore (marginale) socio-economico più elevato a livello locale/regionale.
Infatti, L'ultimo decennio, almeno fino al 2001, è stato caratterizzato
da un incremento delle fonti di spesa ordinarie e straordinarie, ed una maggiore
qualità strutturale delle seconde. Si può inoltre affermare che,
se nel periodo degli anni ottanta la valutazione economica aveva come obiettivo
primario la misurazione del beneficio economico derivante dalle risorse culturali,
che erano in competizione con altri obiettivi di spesa, nel decennio successivo
ha assunto maggiore rilevanza la valutazione dei progetti di investimento e
della gestione dei siti, nella "competizione" interna ai fondi allocati
al patrimonio culturale (Causi e Mazzanti, 2001)
In secondo luogo, se in alcuni casi i valori di non uso sono "separabili"
da quelli di uso a livello individuale, e quindi il solo valore di non uso può
essere presente anche in assenza di una fruizione del bene, in molti casi, soprattutto
a livello di consumatori residenti, tali valori possono essere legati da un
legame di complementarietà, che caratterizza di conseguenza il bene culturale,
nelle sue componenti di beneficio privato e pubblico, come bene pubblico
impuro (Cornes e Sandler, 1997), categoria che è intrinseca a molti
beni e fenomeni socio-economici caratterizzati da potenziali conflitti, ma anche
possibili legami virtuosi, tra le componenti pubbliche e quelle private (Mancinelli
e Mazzanti, 2004). In questo caso, il valore di non uso del bene è rilevante
solo se il consumo del bene (valore di uso) è maggiore di zero; in assenza
di consumo si annulla anche il valore di non uso [8]. Ciò
significa che si instaura un nesso diretto tra valorizzazione e tutela, che
può condurre a scenari viziosi o virtuosi, essendo i due fattori valoriali
congiunti e non separabili al livello della domanda culturale [9].
In aggiunta a quanto già affermato relativamente alle politiche tariffarie
concernenti i servizi offerti (il consumo del bene), è evidente che da
un lato occorre "catturare" più valore da quei consumatori
che già consumano il bene, dati i prezzi e le loro capabilities attuali,
dall'altro occorre espandere il "mercato" (la domanda) differenziando
maggiormente i prezzi per categorie socio-economiche (obiettivo più di
breve periodo), e tramite politiche educative/formative, (obiettivi più
di lungo periodo).
Emerge uno spazio multi-dimensionale dove definire i beni culturali. I beni culturali sono infatti risorse che congiuntamente forniscono benefici privati, pubblici e meritori, mediante un vettore di servizi e funzioni (attributes dello stock di capitale), che sono "prodotti" e organizzati in determinate forme di offerta dalle istituzioni culturali. Si può estendere la metafora di cultural mixed good (Sable e Kling, 2001), verso una struttura concettuale "multi-dimensionale", che può essere anche multi-paradigmatica, e che può rendere più facili i confronti e le integrazioni multi-disciplinari. L'ambito del settore culturale rappresenta un caso rilevante per l'applicazione di tale "metafora", sia sul piano teorico sia sul piano applicato (Mazzanti, 2003b; Mazzanti e Montini, 2001). È importante notare infine che i beni culturali, come molti beni pubblici impuri, non mostrano tali categorie in modo semplicemente additivo, ma dentro sistemi complessi di relazione fra "offerte" e "domande", in scenari intrinsecamente dinamici (Greffe, 2000).
Uno scenario dinamico di policy è tuttavia un contenitore concretamente riempito di significato dalle politiche di investimento settoriali. Si può affermare in primo luogo che la "nuova programmazione", nazionale, ordinaria e straordinaria (nazionale e comunitaria), dovrà vedere attuato un rafforzamento delle azioni di valutazione e monitoraggio, a causa degli stimoli che provengono dalla legislazione nazionale e dalle indicazioni comunitarie. Perciò, i nuovi sistemi di valutazione interesseranno sia interventi finanziati con Fondi Comunitari sia programmi di spesa nazionale, con una valutazione sia nello specifico dei progetti e nell'aggregato dei programmi. Il loro ruolo sarà così crescente all'interno delle politiche pubbliche (Causi e Mazzanti, 2001).
Per "nuova programmazione" dei Beni Culturali si può intendere
il ciclo aperto nella seconda metà anni '90, contrassegnato da un aumento
delle dotazioni programmaticamente assegnate ai beni culturali su fondi di natura
settoriale. Gli esempi più rilevanti sono i Fondi Lotto e i Fondi strutturali
comunitari (QCS asse cultura), i primi introdotti in Italia seguendo l'esperienza
britannica, i secondi fortemente voluti dall'Italia come parte prioritaria degli
interventi comunitari. È possibile instaurare quindi una maggiore concorrenza
fra progetti (e soggetti) interni al settore culturale. Ad un aumento delle
dotazioni settoriali "protette" si accompagna, però, un più
ampio ventaglio di obiettivi da perseguire attraverso questi investimenti (attrattività
territoriale, aumento del pubblico dei visitatori, qualificazione dell'offerta
di servizi, innovazione tecnologica, ecc.). In sintesi, i beni culturali ottengono
più risorse pubbliche, ma devono farsi carico di più obiettivi.
Diviene ancora più importante la valutazione poiché occorre cercare
sempre di più un'allocazione ottimale ed efficace delle risorse fra siti
ed aree e gestire gli obiettivi di valorizzazione e tutela in contesti spesso
diversi relativamente alle caratteristiche dello scenario di partenza [10].
Un processo integrato di valutazione per i beni culturali deve essere coerente
ed operativo all'interno delle procedure di allocazione (elementi istruttori
operativi) delle risorse proprie della programmazione ordinaria e straordinaria,
le quali possono essere anche accomunate da fattori formali ma differenziarsi
sostanzialmente nelle fasi di assegnazione delle risorse ed implementazione.
Le fasi e gli strumenti della valutazione assumono, nei diversi schemi di programmazione
ordinaria e straordinaria, un diverso peso ed, in parte, un diverso ruolo.
Nel caso, come per la programmazione ordinaria nel contesto italiano, le risorse
siano assegnate agli istituti periferici demandanti (statali e non), in conformità
a una convenzionale stima delle risorse assegnate in passato (definendo, per
la programmazione ordinaria, un budget di riferimento sul quale effettuare le
decisioni di investimento e le richieste [11]), la pre-valutazione
selettiva svolge un ruolo classificatorio, per assegnare una priorità
su base territoriale (effettivamente rilevanti solo al margine nel caso varino
i piani di spesa, in altre parole le risorse disponibili).
In questo caso il processo di valutazione si configura più in conformità
a scopi classificatori che selettivi; la selezione è determinata dal
razionamento dell'"offerta”. Un maggiore peso e risorse potrebbero essere
assegnate alla fase di valutazione ex post degli obiettivi raggiunti.
Per quanto riguarda il piano di allocazione delle risorse derivanti da fonti
speciali di spesa straordinaria Lotto, il sistema di assegnazione delle stesse
si configura attualmente come una procedura di allocazione di un fondo spesa
definito su base triennale, mediante presentazione di proposte all'Ufficio Programmazione
del MBAC.
La prima fase 1998-2000 ha visto una prevalenza di interessi relativi alla selezione
ed effettiva esecuzione delle opere in tempi brevi. La fase di valutazione preventiva
si è incentrata sulla definizione di priorità progettuali, trascurando
la classificazione analitica o anche descrittiva degli obiettivi. Anche la fase
di monitoraggio dell'esecuzione, pure più sviluppata dalle istituzioni,
appare (di conseguenza) limitarsi alla verifica del procedere dei lavori, mediante
analisi di un indice generale (non disaggregato per voci obiettivo) di avanzamento
dei lavori.
Sarà necessario strutturare e potenziare la fase di selezione e valutazione
ex ante, identificando indicatori e quantificando precisi obiettivi, per effettuare
poi un monitoraggio effettivo sulla base di output e input identificati, ed
un'analisi, anche statistica, della relazione esistente fra input e output.
Nel programma di spesa comunitaria 2000-2006, il processo di allocazione delle
risorse si struttura sull'individuazione delle proposte, la preselezione delle
idee progettuali, l'affidamento degli studi di fattibilità e la successiva
assegnazione dei lavori. La procedura di allocazione è mista, sia a bando
competitivo sia non. Lo studio di fattibilità (valutazione ex ante) svolge
un ruolo principale nel sistema di valutazione, con un ruolo diretto ed esplicito
di indirizzo del processo di selezione. Gli obiettivi sono più ampi rispetto,
ad esempio, al piano di finanziamento con i fondi del Lotto, in quanto partecipano
più livelli di governance e più stakeholders. I
valori economici rilevanti sono quindi più numerosi. Come componenti
del valore economico totale della risorsa culturale/territoriale oggetto
dell'intervento, possiamo elencare: Conservazione, Emergenze conservative e
ambientali (non uso), Fruizione, Maggiori consumi culturali, Maggiore produzione
culturale, Ricomposizione dell'offerta di servizi (uso diretto), Sviluppo regionale,
Impatto sullo sviluppo regionale, Sviluppo urbano, Sviluppo turistico, Miglioramento
del capitale umano locale (uso indiretto). Inoltre, le forme di partenariato
e cofinanziamento sono parte strutturale del piano di investimenti, sia per
la fase di investimento sia per la gestione (con la partecipazione di comuni,
province, regioni, fondazioni, imprese private, università).
È questo livello di azione della spesa straordinaria nel quale emerge
in modo più chiaro la complessità di gestione dei vari obiettivi
di politica pubblica culturale. La valutazione economica ha il compito di fornire
informazioni sul valore delle varie componenti private e collettive del bene,
al fine di ridurre le conflittualità tra obiettivi, ed eventualmente
trasformarle in legami di complementarità.
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[1] Leon (2004) sottolinea giustamente che andrebbe introdotta
in modo esplicito nella legislazione il concetto di danno culturale, associato
a quello di danno ambientale (art.18 della L.349/86). È infatti necessario
individuare la responsabilità di agenti privati o pubblici che provocano
danni al patrimonio culturale ed applicare il principio di "chi inquina/danneggia
paga", dopo una specifica valutazione dei danni. La chiara determinazione
ex ante di un tale principio potrebbe ridurre i casi di danni al patrimonio,
data la responsabilità assegnata ex post a chi danneggia.
[2] Si ricorda che il valore economico esiste anche in assenza
di un effettivo flusso finanziario. La "dimostrazione" di una preferenza
o disponibilità a contribuire al finanziamento di un'attività
di investimento sui beni culturali è sufficiente per definire la presenza
di un valore economico. Il noto problema è che tali preferenze per i
beni pubblici sono in parte "nascoste”. Il problema del finanziamento e
della sua composizione è quindi concettualmente conseguente all'analisi
dei valori pubblici e meritori dei beni culturali.
[3] Un contributo rilevante per questi temi è offerto
da McConnell (1997), il quale offre una disamina dei valori altruistici con
riferimento a risorse di natura pubblico-collettiva. L'autore classifica le
preferenze secondo il seguente schema: (a) individualistic or non paternalistic
altruism; (b) mixed altruism;(c) paternalistic altruism. Questa classificazione
permette l'identificazione di tre forme di "altruismo" che può
entrare in modelli con funzione di utilità individuale: il primo quando
si ha utilità derivante dal benessere generico degli "altri",
il secondo quando si ha utilità derivante dall'aumento di consumer
surplus altrui, e un terzo caso quando si ottiene utilità dal consumo
altrui di specifiche risorse. Le difficoltà legate alla possibilità
di misurare in modo esauriente i benefici di uso diretto della visita per alcune
categorie di soggetti introducono la possibilità di delegare ad altri
utenti la valutazione di una serie di benefici, educativi e non. Tale possibilità
è al momento da sperimentare tramite applicazioni empiriche, vista la
scarsa attenzione ritrovabile in letteratura. Lo scopo sarebbe quello di far
valutare agli utenti attuali, i benefici generati dal bene culturale per chi
è utente ma non può possedere, per vari motivi, un'effettiva disponibilità
a pagare o misura di benessere effettivo legata al consumo, per le generazioni
future; per chi, a causa di vincoli di reddito o di carenza di "educazione",
non consuma attualmente il bene. In questa categoria rientrano quelli che vorrebbero
partecipare alla fruizione ma, in presenza di costi di entrata elevati nel "mercato",
non possono, e quelli che non possiedono attualmente nessuna disponibilità
a pagare per il bene e quindi non lo consumerebbero, neanche se l'entrata fosse
gratuita, ma potrebbero in futuro diventare consumatori se le loro preferenze
mutassero. In sintesi, questi ultimi sono possibili utenti con barriere legate
a deficienze in opportunities e capabilities.
[4] Ver Eecke (1999, 1998) definisce i beni pubblici e i beni
meritori come socio-economic concepts, rilevando la loro complementare importanza
nel pensiero e nella teoria economica. Egli afferma che i beni meritori e i
beni pubblici non sono socially constructed and culturally relative concepts,
come asserito dalle teorie di impostazione liberale, ma invece rilevanti ideal
categorisations. Ver Eecke afferma che i tre concetti economici di bene pubblico,
bene privato e bene meritorio sono incorporati, in diversi gradi, in tutti i
beni economici. Nel capitale culturale sono condivise caratteristiche private,
pubbliche e meritorie, che lo definiscono quindi su un piano multi-dimensions.
Per ciò che concerne i beni di merito, l'autore osserva (Ver Eecke, 1998,
p.139): "We shall call merit goods those goods which are the "conditions
for the possibility" of something that is desired by consumers, even
and especially if these merit goods or services themselves are not preferred
by consumers". I beni culturali si prestano a questa ideal categorisation.
Il concetto espresso da "conditions for the possibility of something"
significa, nell'ambito dell'economia dei beni culturali, che politiche pubbliche
ispirate ai beni di merito sono necessarie per "sostenere" in uno
scenario dinamico i "mercati" dei servizi privati e pubblici del capitale
culturale, e soprattutto la disponibilità a pagare per consumarne i servizi,
siano essi attività di valorizzazione o conservazione. Detto questo,
è chiaro che le politiche pubbliche disegnate su tali basi implicano
un certo grado di paternalismo, nel senso di una ridistribuzione di risorse
fra gli agenti coinvolti In riferimento a ciò, Ver Eecke afferma (1998,
p.149): "My thought is that the merit good idea would require, for instance,
more redistribution than interpersonal utility interdependence can justify.
Interpersonal utility interdependence can only justify part of what the merit
good idea intends to justify". Questo non significa, come già più
volte implicitamente sottolineato, che la nozione di bene di merito sia necessariamente
in contrapposizione con la sovranità del consumatore. Le politiche che
hanno come fondamento il carattere "meritorio" dei beni culturali
possono costituire infatti the necessary pre-conditions for the possibility
of expressing a (future) willingness to pay, associated to cultural (use and
non use) consumption. Le implicazioni dei beni di merito giacciono, quindi,
su un meta-scenario, caratterizzato da dinamiche di lungo periodo. Queste hanno
a che fare intrinsecamente con scenari ridistributivi inter e infra-generazionali.
Le nozioni di ability to pay e willingness to pay sono perciò
concetti entrambi necessari per guidare lo sviluppo delle istituzioni culturali
verso scenari di innovazioni finanziarie e legislative volte all'espansione
congiunta del sistema di offerte e domande di "cultura”.
[5] Entrambe le componenti della "duplice natura"
possono ricondursi, per ciò che concerne la giustificazione dell'intervento
pubblico, ad una pre-esistenza della società rispetto all'individuo,
la quale è elemento fondativo sia della teoria contrattualista rawlsiana
sia delle teorie di stampo utilitarista/liberale, partendo da Bentham e Sidgwick
in poi (Pennacchi, 2004). Il "velo di ignoranza" rawlsiano (Rawls,
1972) e i diritti "liberali", caratterizzanti la relazione tra individuo
e società, presuppongono e motivano, nell'opinione di chi scrive, un
rilevante intervento pubblico rivolto alla produzione di benefici sociali, siano
questi associati a concetti forse più "ortodossi" (legati alla
filosofia utilitarista e alla welfare economics), quali quello di bene
pubblico, o alla nozione socio-economica di bene di merito (Bariletti, 1993).
[6] Vista anche la scarsa "generosità" e propensione
delle imprese verso le erogazioni liberali a favore del settore culturale, come
testimoniano i primi risultati degli incentivi fiscali previsti dal collegato
alla Finanziaria 2000, ed il ruolo importante ma in ogni modo limitato che possono
svolgere le Fondazioni ex bancarie.
[7] Alla presenza di beni con valori sia di mercato sia non
di mercato, e con servizi legati sia all'uso diretto sia al consumo di "non
uso", focalizzarsi sull'analisi di dati contabilizzati relativi a sole
transazioni di mercato può portare a risultati distorti, che suggellano
e assegnano rilevanza primaria ad obiettivi associati allo sviluppo e alla massimizzazione
del valore indiretto, rispetto ai più specifici valori "culturali"
di uso e non uso. Si rischia così di sovrastimare, nella programmazione
economica degli investimenti il peso dei benefici indiretti, e quello di obiettivi,
quali l'occupazione, non specificamente un core objective delle politiche
culturali.
[8] In termini più tecnici, la disponibilità a
pagare per la componente di non uso/conservazione è positiva solo quando
si osserva un consumo per il bene, cioè quando la disponibilità
a pagare per i servizi culturali è maggiore del prezzo del servizio.
Questa è definita in letteratura complementarietà debole
di tipo hicksiano e si verifica ogniqualvolta il valore di non uso (beneficio
pubblico) è dipendente e correlato positivamente al valore di uso (beneficio
privato). Dal punto di vista della valutazione economica, la presenza di tale
complementarietà agevola la procedura estimativa, poiché è
possibile derivare il valore pubblico mediante una stima indiretta effettuata
sulla base di variazioni della domanda di mercato relativa alla componente privata.
In sintesi, variazioni della domanda per la componente privata forniscono informazioni
su entrambe le componenti del bene pubblico impuro.
[9] Ad esempio, è interessante notare che Ozdemiroglu
e Mourato (2001), in un'analisi dei valori di uso e non uso relativa alle biblioteche,
rilevano un valore di non uso più elevato per gli utenti diretti del
bene che per i non utenti del servizio, confermando la possibilità teorica
di un forte nesso di complementarietà.
[10] Come conseguenza, si ha una crescente importanza dei processi
di valutazione che: (a) tengano conto della natura "multi-attributo"
dell'offerta culturale, e la sappiano analizzare dal punto di vista quali e
quantitativo (esempi: indicatori di dotazione, di domanda, di divario, ecc.);
(b) si basino su processi coerenti e permanenti di valutazione ex ante, monitoraggio
e valutazione ex post (Criegh-Tyte et al., 2000).
[11] Questo potrebbe differenziare, a livello sostanziale,
i processi di allocazione delle risorse, e quindi le priorità di valutazione,
fra programmazione ordinaria e straordinaria.
Copyright AIB 2005-08-09, ultimo
aggiornamento 2005-09-11 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
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