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"15. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
dal costo al valore

Valutare il servizio: per un bilancio sociale dei servizi bibliotecari

La valutazione economica dei benefici sociali del patrimonio culturale

Massimiliano Mazzanti, Dipartimento di Economia Istituzioni Territorio, Università di Ferrara


La valutazione economica dei benefici e dei costi sociali associati ad interventi, effettuati da agenti pubblici e/o privati, che riguardano il patrimonio culturale, è uno strumento necessario per guidare ed informare le decisioni di politica pubblica. Seppure esistano ancora problemi di natura metodologica, che alimentano il dibattito intorno al tema della valutazione sia all'interno della scienza economica sia in ambito di confronto inter-disciplinare, l'uso di tecniche di valutazione socio-economica è riconosciuto come elemento indispensabile, funzionale ad incrementare la qualità delle decisioni e dei processi di politica pubblica (ICCROM, 1999; Mourato e Mazzanti, 2002). La valutazione economica è cruciale nelle decisioni che interessano il patrimonio culturale per diversi motivi, fra i quali i più rivelanti, ai fini del presente contributo, sono:

  1. la natura pubblico-collettiva dei beni culturali che, indipendentemente dalle caratteristiche degli assetti proprietari, fa emergere la necessità di utilizzare di tecniche di valutazione per beni extra-mercato, al fine di "internalizzare" nel valore economico componenti di beneficio e costo che non possono essere contabilizzate da metodi estimativi che si basino solo sui prezzi di mercato, sottostimando quindi costi (danni) e benefici sociali. Alla caratteristica pubblico-collettiva si aggiunge inoltre la natura di beni di merito, che rende ancora più complessa l'analisi di valutazione, in quanto si aggiungono rilevanti elementi di natura intertemporale e relativi all'equità distributiva all'interno del processo di valutazione, usualmente focalizzato solo su criteri di efficienza allocativa, ed in quello decisionale;
  2. la necessità di integrare, all'interno degli interventi di sviluppo del settore, gli investimenti in attività di valorizzazione e attività di tutela-conservazione, con il fine di gestire eventuali conflitti tra i due obiettivi e trasformare i conflitti in soluzioni win-win, caratterizzate da complementarietà tra "sviluppo" e conservazione. Infatti, nel panorama italiano due sono i problemi economici della politica sul patrimonio: da un lato vi sono siti/aree con problemi di eccessivo sfruttamento, dall'altro vi sono siti/aree che soffrono di poco sviluppo/valorizzazione. La valutazione di danni e benefici derivanti da sviluppo e "non sviluppo" nelle due opposte situazioni è chiaramente un elemento imprescindibile di una politica pubblica che voglia (i) operare in modo da allocare le risorse su basi razionali (efficienti) e (ii) massimizzare l'impatto socio-economico degli interventi, ricordando che questi sono sempre finanziati da risorse finanziarie limitate.

Per quanto riguarda l'utilizzo delle tecniche di valutazione economica, è noto che la scienza economica dispone (i) di strumenti fondati su un paradigma di individualismo metodologico, finalizzati alla stima del valore mediante l'analisi delle preferenze dei cittadini/consumatori (culturali) e (ii) di strumenti che quantificano il valore economico mediante la valutazione dell'impatto aggregato locale/regionale degli interventi o mediante la stima dei costi di ripristino nel caso si debbano valutare danni al patrimonio. È opinione di chi scrive che (i) le tecniche basate sulle valutazione delle preferenze siano utilizzabili in modo efficace quando l'obiettivo è la quantificazione del valore incrementale (marginale) di interventi che riguardano sia la valorizzazione sia la tutela, quindi sia i valori di uso sia quelli di "non uso", mentre (ii) nel caso di valutazione dei danni [1], soprattutto a causa di problemi legati alla natura dei diritti di proprietà effettivi o percepiti, sia preferibile fare uso di tecniche non basate sulle preferenze, come quelle fondate sui concetti di replacement cost e opportunity cost.

Valutazione economica e benefici pubblici

Partendo da quanto detto, la prima complessità che caratterizza la valutazione economica dei benefici legati al patrimonio è la natura pubblico-collettiva e meritoria di tali beni, spesso non scindibile dal contesto territoriale, ambientale e culturale. La prima caratteristica, che per certi beni culturali italiani assume natura planetaria, si associa alla necessità di stimare i benefici pubblici extra-mercato, in modo da introdurre nel processo decisionale informazioni relative ai prezzi ombra. Benefici che possono essere legati alle attività di conservazione e tutela del bene, le quali "generano" valori economici [2] definibili di non uso (non use o passive values). A loro volta, i valori di non uso possono riguardare preferenze "egoistiche" (pura conservazione del bene, valori d'opzione per consumi futuri) o componenti altruistiche (preservare i beni per le future generazioni). Queste ultime possono sotto certe condizioni essere analizzate anche nei modelli economici basati sulle funzioni di utilità individuali (McConnell, 1997). Le tecniche di valutazione possono rendere esplicite, attraverso indagini dirette su utenti effettivi e/o potenziali, queste componenti di valore, in modo da far emergere il valore economico totale di non uso, le sue componenti e le sue determinanti. È opinione di chi scrive che è preferibile giungere a quantificazioni di valore, anche se soggette a distorsioni ed imperfezioni, come peraltro ogni stima socio-economica, piuttosto che ragionare e decidere senza quantificazione (Pearce, 2003).

La potenziale natura altruistica delle preferenze dei cittadini/consumatori ci conduce direttamente a discutere la "meritorietà" dei beni culturali. I due elementi ("bene pubblico" e "bene di merito") non sembrano essere esclusivi. La natura meritoria degli interventi sul patrimonio è solitamente giustificata da argomentazioni relative alla "miopia" o "ignoranza" di parti della popolazione. Essendo il bene culturale un bene di lusso ed un bene di esperienza, reddito e educazione entrano come determinanti principali del consumo e delle preferenze. Quindi, si può affermare che, come per altri settori di intervento pubblico, gli interventi attuali per la valorizzazione e soprattutto per la conservazione e la tutela hanno l'obiettivo di preservare il bene per il consumo futuro di fasce di popolazione della generazione presente e di quella futura che attualmente, per varie ragioni, non entrano a far parte del nucleo dei consumatori culturali. E' quindi implicito un elemento re-distributivo, che può anche essere rilevato dalla valutazione di fattori altruistici alla base delle preferenze "sociali" degli individui. Si può affermare che la stima dei valori economici di uso e non uso, egoistici e altruistici, derivanti da tecniche che si basano sulla teoria welfarista dei "beni pubblici" è in parte funzionale, mediante il finanziamento delle policy, al perseguimento di obiettivi definibili sull'asse della teoria dei beni di merito.

Gran parte delle politiche culturali è infatti orientata all'accrescimento delle capabilities and opportunities (human cultural capital) al fine di accrescere il consumo futuro di tali beni. Le misure di inter e infra generational value sono una delle possibilità per stimare tali benefici. Per quanto riguarda i benefici infra-generazionali, è possibile rilevare quanto le persone valutino la fornitura di servizi "meritori" a favore di minoranze sociali, persone svantaggiate, o in generale a favore di attuali non utenti dei servizi, o utenti potenziali. In questo modo ci si focalizza sulla distribuzione delle risorse analizzando le preferenze infra-generazionali. Un'ulteriore specificazione di valore ha carattere inter-generazionale: suddividendo le componenti di valore in pure existence values, individually specific, e bequest values, è possibile rilevare, in certe situazioni, la componente "altruistica”. Come detto, tali preferenze possono essere misurate, in termini di misure di valore-reddito, e quindi tale reddito potenziale conseguentemente "trasformato" in effettivi flussi finanziari, al fine di finanziare specifiche politiche ri-distributive volte alla fornitura di beni di merito e di beni pubblici. La necessità di misurare valori economici determinati da preferenze altruistiche e/o paternalistiche emerge quindi come un obiettivo rilevante e concreto, per la comprensione delle "domande" culturali di uso diretto (fruizione) e non uso (Mazzanti, 2003a, 2002a) [3] ed il relativo finanziamento dei servizi offerti dallo stock di Patrimonio.
È inoltre rilevante notare che, secondo questo ragionamento, ogni politica culturale deve integrarsi direttamente ad interventi di natura distributiva e ad interventi di natura formativa/educativa, sia interni sia esterni al settore culturale, al fine di innescare un sentiero virtuoso di crescita del valore/consumo e del potenziale finanziamento pubblico e privato del patrimonio culturale.

La duplice natura pubblica e meritoria del patrimonio culturale [4] ha quindi conseguenze molto rilevanti per quanto riguarda sia la valutazione di tali benefici sia il finanziamento di interventi con obiettivi specificamente volti ai valori di non uso, siano essi di natura individualistica, o altruistica, con caratteri inter ed infra generazionale [5]. Finanziamento che è un problema cruciale in Italia, data la crisi del welfare, l'estensione del patrimonio culturale e la protezione costituzionale concernente i beni culturali nazionali.

Volendo portare un esempio, anche se in molti casi il costo marginale dell'ingresso nelle istituzioni culturali è nullo, la tariffa/contributo imposta come pagamento per i vari servizi offerti dal Patrimonio ha una natura economica anche oltre il perimetro del modello microeconomico del sito culturale. Infatti, un sistema tariffario è l'unico modo per tassare il resto del mondo per contribuire al mantenimento del nostro Patrimonio, perché questo produce un'esternalità a livello mondiale e che non esiste un meccanismo efficiente di trasferimento dei fondi. Per strutturare politiche di management informate, è quindi rilevante conoscere la disponibilità a pagare (il valore) degli utenti per i "servizi" offerti dal Patrimonio, ed includere nei meccanismi di pagamento le componenti di beneficio relative ai valori di non uso, che altrimenti rimarrebbero economicamente inespresse o dovrebbero essere coperte totalmente dal bilancio pubblico [6].

Proseguendo il ragionamento, lo strumento estimativo si pone quindi come preliminare ad ogni azione di regolamentazione e pianificazione. Ad esempio, il processo di valutazione economica sarebbe rilevante per assoggettare gli elenchi di beni culturali ad una valutazione che cerchi di quantificare, nei limiti del possibile, i benefici di uso e non uso, anche in funzione di politiche di de-listing e classificazione dei beni. Inoltre, la casistica italiana è ricca sia di situazioni in cui c'è un uso eccessivo, quindi deleterio per la conservazione, che andrebbe quindi regolamentato e razionato, sia di casi contrari, in cui il non uso equivale all'abbandono.

La valutazione economica deve porsi quindi l'obiettivo di indicare quale sia l'uso "corretto" del bene culturale, un "utilizzo" sostenibile ma che sia anche in grado di generare un flusso di risorse sufficienti a finanziare i costi di gestione e conservazione. Le origini di queste risorse sono molteplici e vanno dalla disponibilità a pagare associata a varie forme di consumo e di fruizione, fino alla domanda di investimento espressa dalle imprese, in uno scenario istituzionale mutato, nel quale il settore culturale non deve più comportarsi come un puro e semplice ricettore di stanziamenti dei livelli centrali dello Stato, ma come un soggetto in grado di attivare tutte le potenziali risorse pubbliche e private.
Inoltre, la stagione della politica economica rivolta ai beni culturali con obiettivi primari di tipo occupazionale è definitivamente finita [7]. Le nuove priorità riguardano i sistemi di regolamentazione del settore, le forme organizzative, il monitoraggio e la valutazione dei programmi di spesa, il raggiungimento di assetti allocativi più efficienti, la possibilità di generare risorse per pervenire a risultati di bilancio più equilibrati. Priorità che vedono la valutazione economica, nei suoi molteplici aspetti e tecniche, quale elemento centrale, ma ricordiamo complementare e strumentale, a sostegno dei processi decisionali e delle politiche pubbliche di settore.

Sviluppo, conservazione e gli interventi pubblici sulle infrastrutture culturali

Dopo esserci focalizzati sulle problematiche e priorità dell'analisi economica in un ambito fortemente caratterizzato da elementi pubblico-collettivi e meritori quali motivazioni teoriche dell'intervento sul Patrimonio, affrontiamo il problema dell'eventuale conflitto o complementarietà tra valori di uso (diretto ed indiretto), legati al consumo dei servizi offerti dallo stock di patrimonio e i sopra analizzati valori di non uso. Possiamo riassumere le diverse componenti del valore totale del Patrimonio culturale, scomposte in (i) benefici "interni" alla relazione individuo-bene culturale, quali: Valori di uso derivanti da fruizione (uso indiretto di consumo); Valori di uso indiretto legati ad attività turistiche; Valori di non uso "altruistico-paternalistici" (espressi da utenti fruitori e non); Valori di non uso (di esistenza del bene, espressi da utenti fruitori e non), e (ii) benefici "esterni" alla relazione individuo-bene culturale, che connotano le componenti di valore "sistemico", di carattere sociale-"collettivo" (Bariletti e Causi, 1998).
Nei beni e nelle attività culturali coesistono inoltre diverse connotazioni relative alla natura più o meno pubblica e privata dei servizi, in quanto dal Patrimonio si diffondono benefici economici territoriali (valori di uso indiretto), benefici per la comunità a livello locale, benefici relativi alla natura di bene pubblico puro (valore di esistenza) e benefici diretti associati alla fruizione per utenti/visitatori (valore privato di uso diretto). Il valore economico è riconducibile quindi ai servizi prodotti e alle funzioni svolte dal capitale culturale, che possono essere associate a dimensioni ed effetti rilevanti nell'ambito dell'analisi economica.

Le diverse categorie di benefici sono inoltre associate ad agenti economici fra loro eterogenei, i quali usufruiscono dei servizi di valore economico offerti del bene culturale, assegnando loro pesi differenti. È quindi inevitabile, come in tutti gli ambienti caratterizzati da gestione di risorse comuni, condivise e/o pubbliche, che si verifichino conflitti inerenti il peso, e quindi le risorse, da assegnare ad ognuna delle funzioni (valori) del bene. Tali conflitti si esplicano ad esempio lungo l'asse centro-periferia, con gli attori territoriali interessati a valori di uso indiretto e, spesso in seconda istanza, alla tutela e conservazione. La natura di valore di esistenza è invece maggiormente rappresentata da autorità indipendenti e centrali, libere da pressioni di carattere locale. Gli utenti diretti si collocano ad un livello intermedio, essendo interessati e disposti a pagare sia per la fruizione (servizi di valorizzazione) sia per la conservazione del bene.

Come già detto ed evidenziato da vari autori (Causi, 1998; Mazzanti, 2002b), la gestione sostenibile delle risorse culturali può essere inficiata sia da sovra utilizzo sia da sotto-utilizzo o non adeguata valorizzazione di tali risorse. Se nel primo caso l'obiettivo di consumo/valorizzazione può associarsi a livelli eccessivi di "carico", tali da ridurre lo stock di patrimonio in senso qualitativo e quantitativo, nell'altro la deficiente valorizzazione, soprattutto per siti minori e locali, può portare, via un deficit di finanziamento dell'offerta e a un mancato riconoscimento del valore di uso effettivo del bene, a processi anche irreversibili di degrado e perdita di capitale culturale. Alcune considerazioni emergono.
In primo luogo, ricollegandoci agli obiettivi della valutazione economica, scopo della fase attuale di valutazione dovrebbe essere quello di indirizzare gli investimenti all'interno del settore culturale dove questi si associano ad un valore (marginale) socio-economico più elevato a livello locale/regionale. Infatti, L'ultimo decennio, almeno fino al 2001, è stato caratterizzato da un incremento delle fonti di spesa ordinarie e straordinarie, ed una maggiore qualità strutturale delle seconde. Si può inoltre affermare che, se nel periodo degli anni ottanta la valutazione economica aveva come obiettivo primario la misurazione del beneficio economico derivante dalle risorse culturali, che erano in competizione con altri obiettivi di spesa, nel decennio successivo ha assunto maggiore rilevanza la valutazione dei progetti di investimento e della gestione dei siti, nella "competizione" interna ai fondi allocati al patrimonio culturale (Causi e Mazzanti, 2001)
In secondo luogo, se in alcuni casi i valori di non uso sono "separabili" da quelli di uso a livello individuale, e quindi il solo valore di non uso può essere presente anche in assenza di una fruizione del bene, in molti casi, soprattutto a livello di consumatori residenti, tali valori possono essere legati da un legame di complementarietà, che caratterizza di conseguenza il bene culturale, nelle sue componenti di beneficio privato e pubblico, come bene pubblico impuro (Cornes e Sandler, 1997), categoria che è intrinseca a molti beni e fenomeni socio-economici caratterizzati da potenziali conflitti, ma anche possibili legami virtuosi, tra le componenti pubbliche e quelle private (Mancinelli e Mazzanti, 2004). In questo caso, il valore di non uso del bene è rilevante solo se il consumo del bene (valore di uso) è maggiore di zero; in assenza di consumo si annulla anche il valore di non uso [8]. Ciò significa che si instaura un nesso diretto tra valorizzazione e tutela, che può condurre a scenari viziosi o virtuosi, essendo i due fattori valoriali congiunti e non separabili al livello della domanda culturale [9]. In aggiunta a quanto già affermato relativamente alle politiche tariffarie concernenti i servizi offerti (il consumo del bene), è evidente che da un lato occorre "catturare" più valore da quei consumatori che già consumano il bene, dati i prezzi e le loro capabilities attuali, dall'altro occorre espandere il "mercato" (la domanda) differenziando maggiormente i prezzi per categorie socio-economiche (obiettivo più di breve periodo), e tramite politiche educative/formative, (obiettivi più di lungo periodo).

Emerge uno spazio multi-dimensionale dove definire i beni culturali. I beni culturali sono infatti risorse che congiuntamente forniscono benefici privati, pubblici e meritori, mediante un vettore di servizi e funzioni (attributes dello stock di capitale), che sono "prodotti" e organizzati in determinate forme di offerta dalle istituzioni culturali. Si può estendere la metafora di cultural mixed good (Sable e Kling, 2001), verso una struttura concettuale "multi-dimensionale", che può essere anche multi-paradigmatica, e che può rendere più facili i confronti e le integrazioni multi-disciplinari. L'ambito del settore culturale rappresenta un caso rilevante per l'applicazione di tale "metafora", sia sul piano teorico sia sul piano applicato (Mazzanti, 2003b; Mazzanti e Montini, 2001). È importante notare infine che i beni culturali, come molti beni pubblici impuri, non mostrano tali categorie in modo semplicemente additivo, ma dentro sistemi complessi di relazione fra "offerte" e "domande", in scenari intrinsecamente dinamici (Greffe, 2000).

Uno scenario dinamico di policy è tuttavia un contenitore concretamente riempito di significato dalle politiche di investimento settoriali. Si può affermare in primo luogo che la "nuova programmazione", nazionale, ordinaria e straordinaria (nazionale e comunitaria), dovrà vedere attuato un rafforzamento delle azioni di valutazione e monitoraggio, a causa degli stimoli che provengono dalla legislazione nazionale e dalle indicazioni comunitarie. Perciò, i nuovi sistemi di valutazione interesseranno sia interventi finanziati con Fondi Comunitari sia programmi di spesa nazionale, con una valutazione sia nello specifico dei progetti e nell'aggregato dei programmi. Il loro ruolo sarà così crescente all'interno delle politiche pubbliche (Causi e Mazzanti, 2001).

Per "nuova programmazione" dei Beni Culturali si può intendere il ciclo aperto nella seconda metà anni '90, contrassegnato da un aumento delle dotazioni programmaticamente assegnate ai beni culturali su fondi di natura settoriale. Gli esempi più rilevanti sono i Fondi Lotto e i Fondi strutturali comunitari (QCS asse cultura), i primi introdotti in Italia seguendo l'esperienza britannica, i secondi fortemente voluti dall'Italia come parte prioritaria degli interventi comunitari. È possibile instaurare quindi una maggiore concorrenza fra progetti (e soggetti) interni al settore culturale. Ad un aumento delle dotazioni settoriali "protette" si accompagna, però, un più ampio ventaglio di obiettivi da perseguire attraverso questi investimenti (attrattività territoriale, aumento del pubblico dei visitatori, qualificazione dell'offerta di servizi, innovazione tecnologica, ecc.). In sintesi, i beni culturali ottengono più risorse pubbliche, ma devono farsi carico di più obiettivi. Diviene ancora più importante la valutazione poiché occorre cercare sempre di più un'allocazione ottimale ed efficace delle risorse fra siti ed aree e gestire gli obiettivi di valorizzazione e tutela in contesti spesso diversi relativamente alle caratteristiche dello scenario di partenza [10].
Un processo integrato di valutazione per i beni culturali deve essere coerente ed operativo all'interno delle procedure di allocazione (elementi istruttori operativi) delle risorse proprie della programmazione ordinaria e straordinaria, le quali possono essere anche accomunate da fattori formali ma differenziarsi sostanzialmente nelle fasi di assegnazione delle risorse ed implementazione. Le fasi e gli strumenti della valutazione assumono, nei diversi schemi di programmazione ordinaria e straordinaria, un diverso peso ed, in parte, un diverso ruolo.

Nel caso, come per la programmazione ordinaria nel contesto italiano, le risorse siano assegnate agli istituti periferici demandanti (statali e non), in conformità a una convenzionale stima delle risorse assegnate in passato (definendo, per la programmazione ordinaria, un budget di riferimento sul quale effettuare le decisioni di investimento e le richieste [11]), la pre-valutazione selettiva svolge un ruolo classificatorio, per assegnare una priorità su base territoriale (effettivamente rilevanti solo al margine nel caso varino i piani di spesa, in altre parole le risorse disponibili).
In questo caso il processo di valutazione si configura più in conformità a scopi classificatori che selettivi; la selezione è determinata dal razionamento dell'"offerta”. Un maggiore peso e risorse potrebbero essere assegnate alla fase di valutazione ex post degli obiettivi raggiunti.
Per quanto riguarda il piano di allocazione delle risorse derivanti da fonti speciali di spesa straordinaria Lotto, il sistema di assegnazione delle stesse si configura attualmente come una procedura di allocazione di un fondo spesa definito su base triennale, mediante presentazione di proposte all'Ufficio Programmazione del MBAC.
La prima fase 1998-2000 ha visto una prevalenza di interessi relativi alla selezione ed effettiva esecuzione delle opere in tempi brevi. La fase di valutazione preventiva si è incentrata sulla definizione di priorità progettuali, trascurando la classificazione analitica o anche descrittiva degli obiettivi. Anche la fase di monitoraggio dell'esecuzione, pure più sviluppata dalle istituzioni, appare (di conseguenza) limitarsi alla verifica del procedere dei lavori, mediante analisi di un indice generale (non disaggregato per voci obiettivo) di avanzamento dei lavori.
Sarà necessario strutturare e potenziare la fase di selezione e valutazione ex ante, identificando indicatori e quantificando precisi obiettivi, per effettuare poi un monitoraggio effettivo sulla base di output e input identificati, ed un'analisi, anche statistica, della relazione esistente fra input e output.

Nel programma di spesa comunitaria 2000-2006, il processo di allocazione delle risorse si struttura sull'individuazione delle proposte, la preselezione delle idee progettuali, l'affidamento degli studi di fattibilità e la successiva assegnazione dei lavori. La procedura di allocazione è mista, sia a bando competitivo sia non. Lo studio di fattibilità (valutazione ex ante) svolge un ruolo principale nel sistema di valutazione, con un ruolo diretto ed esplicito di indirizzo del processo di selezione. Gli obiettivi sono più ampi rispetto, ad esempio, al piano di finanziamento con i fondi del Lotto, in quanto partecipano più livelli di governance e più stakeholders. I valori economici rilevanti sono quindi più numerosi. Come componenti del valore economico totale della risorsa culturale/territoriale oggetto dell'intervento, possiamo elencare: Conservazione, Emergenze conservative e ambientali (non uso), Fruizione, Maggiori consumi culturali, Maggiore produzione culturale, Ricomposizione dell'offerta di servizi (uso diretto), Sviluppo regionale, Impatto sullo sviluppo regionale, Sviluppo urbano, Sviluppo turistico, Miglioramento del capitale umano locale (uso indiretto). Inoltre, le forme di partenariato e cofinanziamento sono parte strutturale del piano di investimenti, sia per la fase di investimento sia per la gestione (con la partecipazione di comuni, province, regioni, fondazioni, imprese private, università).
È questo livello di azione della spesa straordinaria nel quale emerge in modo più chiaro la complessità di gestione dei vari obiettivi di politica pubblica culturale. La valutazione economica ha il compito di fornire informazioni sul valore delle varie componenti private e collettive del bene, al fine di ridurre le conflittualità tra obiettivi, ed eventualmente trasformarle in legami di complementarità.

Bibliografia

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[1] Leon (2004) sottolinea giustamente che andrebbe introdotta in modo esplicito nella legislazione il concetto di danno culturale, associato a quello di danno ambientale (art.18 della L.349/86). È infatti necessario individuare la responsabilità di agenti privati o pubblici che provocano danni al patrimonio culturale ed applicare il principio di "chi inquina/danneggia paga", dopo una specifica valutazione dei danni. La chiara determinazione ex ante di un tale principio potrebbe ridurre i casi di danni al patrimonio, data la responsabilità assegnata ex post a chi danneggia.
[2] Si ricorda che il valore economico esiste anche in assenza di un effettivo flusso finanziario. La "dimostrazione" di una preferenza o disponibilità a contribuire al finanziamento di un'attività di investimento sui beni culturali è sufficiente per definire la presenza di un valore economico. Il noto problema è che tali preferenze per i beni pubblici sono in parte "nascoste”. Il problema del finanziamento e della sua composizione è quindi concettualmente conseguente all'analisi dei valori pubblici e meritori dei beni culturali.
[3] Un contributo rilevante per questi temi è offerto da McConnell (1997), il quale offre una disamina dei valori altruistici con riferimento a risorse di natura pubblico-collettiva. L'autore classifica le preferenze secondo il seguente schema: (a) individualistic or non paternalistic altruism; (b) mixed altruism;(c) paternalistic altruism. Questa classificazione permette l'identificazione di tre forme di "altruismo" che può entrare in modelli con funzione di utilità individuale: il primo quando si ha utilità derivante dal benessere generico degli "altri", il secondo quando si ha utilità derivante dall'aumento di consumer surplus altrui, e un terzo caso quando si ottiene utilità dal consumo altrui di specifiche risorse. Le difficoltà legate alla possibilità di misurare in modo esauriente i benefici di uso diretto della visita per alcune categorie di soggetti introducono la possibilità di delegare ad altri utenti la valutazione di una serie di benefici, educativi e non. Tale possibilità è al momento da sperimentare tramite applicazioni empiriche, vista la scarsa attenzione ritrovabile in letteratura. Lo scopo sarebbe quello di far valutare agli utenti attuali, i benefici generati dal bene culturale per chi è utente ma non può possedere, per vari motivi, un'effettiva disponibilità a pagare o misura di benessere effettivo legata al consumo, per le generazioni future; per chi, a causa di vincoli di reddito o di carenza di "educazione", non consuma attualmente il bene. In questa categoria rientrano quelli che vorrebbero partecipare alla fruizione ma, in presenza di costi di entrata elevati nel "mercato", non possono, e quelli che non possiedono attualmente nessuna disponibilità a pagare per il bene e quindi non lo consumerebbero, neanche se l'entrata fosse gratuita, ma potrebbero in futuro diventare consumatori se le loro preferenze mutassero. In sintesi, questi ultimi sono possibili utenti con barriere legate a deficienze in opportunities e capabilities.
[4] Ver Eecke (1999, 1998) definisce i beni pubblici e i beni meritori come socio-economic concepts, rilevando la loro complementare importanza nel pensiero e nella teoria economica. Egli afferma che i beni meritori e i beni pubblici non sono socially constructed and culturally relative concepts, come asserito dalle teorie di impostazione liberale, ma invece rilevanti ideal categorisations. Ver Eecke afferma che i tre concetti economici di bene pubblico, bene privato e bene meritorio sono incorporati, in diversi gradi, in tutti i beni economici. Nel capitale culturale sono condivise caratteristiche private, pubbliche e meritorie, che lo definiscono quindi su un piano multi-dimensions. Per ciò che concerne i beni di merito, l'autore osserva (Ver Eecke, 1998, p.139): "We shall call merit goods those goods which are the "conditions for the possibility" of something that is desired by consumers, even and especially if these merit goods or services themselves are not preferred by consumers". I beni culturali si prestano a questa ideal categorisation. Il concetto espresso da "conditions for the possibility of something" significa, nell'ambito dell'economia dei beni culturali, che politiche pubbliche ispirate ai beni di merito sono necessarie per "sostenere" in uno scenario dinamico i "mercati" dei servizi privati e pubblici del capitale culturale, e soprattutto la disponibilità a pagare per consumarne i servizi, siano essi attività di valorizzazione o conservazione. Detto questo, è chiaro che le politiche pubbliche disegnate su tali basi implicano un certo grado di paternalismo, nel senso di una ridistribuzione di risorse fra gli agenti coinvolti In riferimento a ciò, Ver Eecke afferma (1998, p.149): "My thought is that the merit good idea would require, for instance, more redistribution than interpersonal utility interdependence can justify. Interpersonal utility interdependence can only justify part of what the merit good idea intends to justify". Questo non significa, come già più volte implicitamente sottolineato, che la nozione di bene di merito sia necessariamente in contrapposizione con la sovranità del consumatore. Le politiche che hanno come fondamento il carattere "meritorio" dei beni culturali possono costituire infatti the necessary pre-conditions for the possibility of expressing a (future) willingness to pay, associated to cultural (use and non use) consumption. Le implicazioni dei beni di merito giacciono, quindi, su un meta-scenario, caratterizzato da dinamiche di lungo periodo. Queste hanno a che fare intrinsecamente con scenari ridistributivi inter e infra-generazionali. Le nozioni di ability to pay e willingness to pay sono perciò concetti entrambi necessari per guidare lo sviluppo delle istituzioni culturali verso scenari di innovazioni finanziarie e legislative volte all'espansione congiunta del sistema di offerte e domande di "cultura”.
[5] Entrambe le componenti della "duplice natura" possono ricondursi, per ciò che concerne la giustificazione dell'intervento pubblico, ad una pre-esistenza della società rispetto all'individuo, la quale è elemento fondativo sia della teoria contrattualista rawlsiana sia delle teorie di stampo utilitarista/liberale, partendo da Bentham e Sidgwick in poi (Pennacchi, 2004). Il "velo di ignoranza" rawlsiano (Rawls, 1972) e i diritti "liberali", caratterizzanti la relazione tra individuo e società, presuppongono e motivano, nell'opinione di chi scrive, un rilevante intervento pubblico rivolto alla produzione di benefici sociali, siano questi associati a concetti forse più "ortodossi" (legati alla filosofia utilitarista e alla welfare economics), quali quello di bene pubblico, o alla nozione socio-economica di bene di merito (Bariletti, 1993).
[6] Vista anche la scarsa "generosità" e propensione delle imprese verso le erogazioni liberali a favore del settore culturale, come testimoniano i primi risultati degli incentivi fiscali previsti dal collegato alla Finanziaria 2000, ed il ruolo importante ma in ogni modo limitato che possono svolgere le Fondazioni ex bancarie.
[7] Alla presenza di beni con valori sia di mercato sia non di mercato, e con servizi legati sia all'uso diretto sia al consumo di "non uso", focalizzarsi sull'analisi di dati contabilizzati relativi a sole transazioni di mercato può portare a risultati distorti, che suggellano e assegnano rilevanza primaria ad obiettivi associati allo sviluppo e alla massimizzazione del valore indiretto, rispetto ai più specifici valori "culturali" di uso e non uso. Si rischia così di sovrastimare, nella programmazione economica degli investimenti il peso dei benefici indiretti, e quello di obiettivi, quali l'occupazione, non specificamente un core objective delle politiche culturali.
[8] In termini più tecnici, la disponibilità a pagare per la componente di non uso/conservazione è positiva solo quando si osserva un consumo per il bene, cioè quando la disponibilità a pagare per i servizi culturali è maggiore del prezzo del servizio. Questa è definita in letteratura complementarietà debole di tipo hicksiano e si verifica ogniqualvolta il valore di non uso (beneficio pubblico) è dipendente e correlato positivamente al valore di uso (beneficio privato). Dal punto di vista della valutazione economica, la presenza di tale complementarietà agevola la procedura estimativa, poiché è possibile derivare il valore pubblico mediante una stima indiretta effettuata sulla base di variazioni della domanda di mercato relativa alla componente privata. In sintesi, variazioni della domanda per la componente privata forniscono informazioni su entrambe le componenti del bene pubblico impuro.
[9] Ad esempio, è interessante notare che Ozdemiroglu e Mourato (2001), in un'analisi dei valori di uso e non uso relativa alle biblioteche, rilevano un valore di non uso più elevato per gli utenti diretti del bene che per i non utenti del servizio, confermando la possibilità teorica di un forte nesso di complementarietà.
[10] Come conseguenza, si ha una crescente importanza dei processi di valutazione che: (a) tengano conto della natura "multi-attributo" dell'offerta culturale, e la sappiano analizzare dal punto di vista quali e quantitativo (esempi: indicatori di dotazione, di domanda, di divario, ecc.); (b) si basino su processi coerenti e permanenti di valutazione ex ante, monitoraggio e valutazione ex post (Criegh-Tyte et al., 2000).
[11] Questo potrebbe differenziare, a livello sostanziale, i processi di allocazione delle risorse, e quindi le priorità di valutazione, fra programmazione ordinaria e straordinaria.


Copyright AIB 2005-08-09, ultimo aggiornamento 2005-09-11 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
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