AIB. Sezione Veneto. Congressi
"15. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
dal costo al valore
Madel Crasta, Segretaria generale del BAICR, in rappresentanza dell'Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane
Poiché rappresento qui un consorzio di Istituti Culturali [1] voglio testimoniare l'esperienza condotta in questi anni ed il problematico avvicinamento di queste Istituzioni ad una dimensione economica. Del resto l'Istituto che ci ospita è un prestigioso esponente di questa categoria e come iscritto all'AICI (Associazione delle Istituzioni Culturali Italiane) è partecipe di molte delle cose che dirò.
Gli Istituti culturali sono impegnati in questi ultimi anni nel tentativo, e parlo di tentativo perché gli esiti sono tutt'altro che scontati, di individuare una dimensione economica che non snaturi e non infici l'identità istituzionale e la fisionomia dell'organizzazione che produce e organizza contenuti. Si tratta di una strada non facile da percorrere, complicata anche dal fatto che spesso, come è noto, i neofiti della dimensione economica peccano per eccesso di zelo, facendo propri gli schemi mutuati dalla cultura aziendale senza le necessarie mediazioni. Per esempio la flessibilità ed i tagli al personale, sono diventati un dogma per i manager, che di solito ricevono l'incarico con obiettivi precisi e poiché non hanno né il tempo né gli strumenti per elaborare strategie di sviluppo e di crescita si basano su questi due strumenti. Il taglio del personale e la riduzione dei costi che ne consegue non fanno necessariamente virtuoso un manager, perché la gestione e lo sviluppo implicano un impegno nella crescita e nella individuazione di attività che portino risorse impegnando altre risorse. La dimensione economica è qualcosa di complesso, qualcosa da maneggiare con cura e non attraverso dogmi, presentati come necessità oggettive da una versione estremamente semplificata e brutale dell'ideologia neoliberista ma piuttosto da concrete necessità applicate ad una realtà data e peculiare.
Per quanto invece attiene alla eccessiva flessibilità del lavoro il problema investe anche l'aspetto della formazione del personale. Gli istituti per esempio utilizzano su larga scala i cosiddetti co.co.co. (ora co.co.pro.), formula contrattuale che ha consentito, è vero, nella pratica la realizzazione di moltissimi progetti che altrimenti non si sarebbero potuti realizzare a fronte di stanziamenti che sarebbero stati completamente assorbiti dal costo del lavoro dipendente, è però anche vero, come dimostra ormai l'esperienza, che nel lavoro "flessibilità dai, flessibilità prendi", cioè si concretizza il serio rischio di non riuscire a costruire professionalità e sensibilità interne sulle quali poter contare. Il giovane laureato con master ed esperienza di fronte una prospettiva di precarietà a vita, se trova un'opportunità appena più conveniente la coglie e l'ente che lo ha formato perde una collaborazione ormai strutturata ed il tempo impiegato a costruirla. La ricerca di una dimensione economica possibile è dunque problematica proprio perché chi produce contenuti deve tener conto delle specificità di un processo che utilizza come materie prime idee e conoscenza. Sappiamo di dover presentare ogni anno il bilancio ed una parvenza di programmazione pluriennale e quindi occorre muoversi verso l'individuazione di un ruolo e di un "prodotto", potremmo dire di un "core business" dell'istituto culturale. Sotto questo punto di vista le problematiche tra istituti, biblioteche, musei ed archivi non differiscono di molto considerando che spesso gli Istituti culturali comprendono al loro interno gli altri tre soggetti. La ricerca di valorizzazione trasversale e integrata del patrimonio materiale ed immateriale degli Istituti è il nostro lavoro quotidiano. Il Consorzio BAICR, Biblioteche Archivi Istituti culturali romani, è nato nel 1991 proprio per praticare questa integrazione, allora ancora estranea alla visione comune ma consolidata nella "dottrina" della comunità archivistica, il tempo, come possiamo vedere, ci ha dato ragione.
Nel Convegno "Il lavoro culturale nell'età dell'informazione" uno dei punti emersi con maggiore chiarezza è proprio il fatto che nella società dell'informazione i confini tra le professioni si stanno progressivamente riducendo: nascono nuovi soggetti, nuove competenze e nuovi profili professionali. Si pensi ad esempio a quanti nuovi soggetti, diversi dagli editori tradizionali, sono entrati nel mondo dell'editoria con l'affermarsi della tecnologia. Le biblioteche e gli Istituti sono ora un soggetto dell'editoria, perché l'accesso all'attività editoriale è diventato più facile ed in qualche modo consente di sfruttare direttamente i contenuti delle biblioteche e degli istituti stessi.
Nell'esperienza di questi anni abbiamo individuato il nostro valore aggiunto nel maneggiare una materia viva fatta di memoria che deve uscire da una ristretta cerchia di addetti ai lavori per raggiungere una porzione molto più ampia di cittadinanza attiva. poter essere usufruibile da tutti. Negli Istituti Culturali da un lato si verificano le "ipotesi"che vengono dal mondo della produzione culturale e dalla ricerca e dall'altro si tende ad un confronto con un pubblico sempre più ampio, attraverso progetti, servizi e pubblicazioni: in questa mediazione tra ricerca e collettività sta il ruolo insostituibile del Fondazioni. Noi rispondiamo ad una domanda di cultura della società contemporanea che cresce in modo inversamente proporzionale alle risorse pubbliche destinate alla cultura: la domanda aumenta ed i canali di finanziamento diminuiscono.
Da queste convinzioni e da queste criticità nasce appunto l'esigenza che il patrimonio accumulato possa essere trasformato in prodotti e servizi culturali. Per fare solo un esempio concreto la biblioteca può fare formazione, come può fare editoria, come può diventare il motore di un polo culturale o di un distretto territoriale. Il Consorzio Sistema Bibliotecario dei Castelli Romani sta sperimentando, con il sostegno della Provincia di Roma, l'esperienza del distretto culturale, di fatto costituendone il motore principale. Nel distretto la cultura diviene il collante che ricostruisce le diverse fisionomie locali, favorendone la creatività e l'innovazione sociale ed economica. Si tratta certamente di una strada complessa ma probabilmente l'unica in grado di contrastare la marginalizzazione ed l'impoverimento del tessuto sociale. Nel sentire comune della stessa P.A. e delle realtà economiche il concetto di distretto, ora che i distretti industriali sono in evidente difficoltà, appare spesso solo come uno slogan vuoto ed una perdita di tempo e risorse: di fatto il distretto culturale è diventato usurato senza essere mai stato realizzato. Bisogna saper fare in modo che questa percezione sia cancellata dal "ben fare" di tutti i soggetti interessati, a cominciare dagli stessi bibliotecari che devono acquisire la capacità di progettazione culturale per ampliare, come hanno giustamente sottolineato i colleghi dell'ICCU, la loro fisionomia plasmata fino ad ora in modo esclusivamente tecnico-professionale. Acquisire nuovi compiti e conoscenze non vuol dire ovviamente perdere quelle che già acquisite ma costruire su queste una nuova capacità di valorizzare il patrimonio della propria struttura e del proprio territorio, perché i contenuti, in special modo se culturali, possono fare rete molto più facilmente di mura, strutture e strumenti. Il limite a questa "fusion" culturale molto spesso ce lo imponiamo da soli quando, ritenendoci quasi una casta o una corporazione, ci arrocchiamo in una funzione conservatrice e ripiegata sui propri compiti, non accorgendoci che i beni culturali nascono come beni relazionali e sono fatti per comunicare.
Io penso che la dimensione economica non necessariamente debba violentare l'identità
delle strutture ed il loro valore, tanto è che anche il marketing più
puro insegna che cercare un maggior guadagno a fronte di un annacquamento del
"marchio" non è una operazione strategica né un buon guadagno.
La dimensione economica essa va costruita sulla missione dell'istituzione culturale,
tenendo presente modelli vicini, per sempio l'industria culturale, ma consapevoli
che si tratta pur sempre di un'esperienza industriale finalizzata al profitto.
Ricordo, quando, nell'ambito della formazione gestionale dei dirigenti scolastici
a livello nazionale, fu avanzata, da parte di alcune agenzie formative l'ipotesi
di gestire la scuola come un impresa, naturalmente la reazione dei presidi fu
rabbiosa perché la scuola non è una azienda e comunque non è
attuabile nella scuola il processo decisionale che è funzionale alle
aziende. Un'altra cosa è portare nelle istituzioni logiche di gestione,
si può partire per esempio da un elemento virtuoso come la Comunicazione:
quello che si fa bisogna farlo conoscere. Comunicare la cultura richiede metodi
e sensibilità adeguate tanto da sostanziare un vero e proprio profilo
all'interno delle professioni culturali: oltre le qualità professionali
del comunicatore tout court, il comunicatore culturale ha bisogno di acquisire
logiche dedicate alla promozione di quel particolare materiale che è
la cultura.
Una sperimentazione in questo campo è stata il progetto "Inviati della
memoria" a monte del quale professionisti del giornalismo hanno ragionato con
noi sui limiti della comunicazione delle Istituzioni Culturali: linguaggio oscuro
non solo per la stragrande maggioranza della popolazione ma anche per gli stessi
giornalisti; l'incapacità di capire i tempi del giornalismo - un comunicato
che arriva alla redazione di un giornale alle sei del pomeriggio su un foglietto
grigio è inutile. Dopo questo confronto serrato abbiamo deciso di realizzare
un esperimento con l'Agenzia di Giorgio Dell'Arti e gli studenti della scuola
di giornalismo dell'Università di Roma "Tor Vergata". I nostri "inviati"
nelle biblioteche e negli istituti individuavano, con l'aiuto degli operatori
interni, i contenuti da trasmettere li trattavano con un linguaggio efficace
senza stravolgerli, per verificare se un'interazione positiva con la stampa,
ma la tempo stesso attendibile, con fosse possibile. Ci siamo resi conto che
tradurre i contenuti in un linguaggio comprensibile sgomberava il campo da tutte
le possibili scuse ma tuttavia non era sufficiente a trovare spazio adeguato,
il passo successivo è stato allora l'accordo con l'agenzia ANSA che ha
consentito un canale privilegiato alle nostre notizie passandole sistematicamente
sul suo circuito. Il rapporto con i mass media si rivela efficace quando da
sporadico diventa sistematico e delle nostre pur limitate risorse abbiamo scelto
(alla fine è sempre un problema di scelte) di dedicarne una parte alla
creazione di un ufficio stampa, con un professionista responsabile della comunicazione,
che sta ancora imparando a conoscere il nostro mondo ma che ci garantisce una
copertura informativa e mediatica di gran lunga superiore al livello usuale
nel mondo della cultura. La conclusione è che se noi stessi non garantiamo
la produzione di informazioni, nella cosiddetta società dell'Informazione,
le nostre lamentele sullo stato della cultura in Italia rischiano di apparire
una pura conservazione dell'esistente o snobismo intellettuale, perché
la comunicazione quando è costante, crea ed alimenta una rete di rapporti
e di interlocutori e costituisce uno strumento indispensabile alla dimensione
economica. La campagna pubblicitaria dell'Istituzione delle Biblioteche di Roma
che ha tappezzato Roma con cartelloni pubblicitari con su scritto "Maria ha
300.000 libri e non lo sa" è stata un successo di comunicazione e di
efficacia dei servizi perché ha portato l'utenza delle biblioteche ad
un aumento esponenziale (circa l'80%), ottimizando l'impegno del comune e l'uso
delle raccolte: semplicemente i romani sono stati informati, anche grazie alle
uscite sui giornali gratuiti della Capitale.
[1] Consorzio BAICR Sistema Cultura fondato nel 1991 da dall'Istituto della Enciclopedia Italiana, la Fondazione Lelio e Lisli Basso - ISSOCO, la Fondazione Istituto Gramsci, l'Istituto Luigi Sturzo, la Società Geografica Italiana.
Copyright AIB 2005-08-09, ultimo
aggiornamento 2005-10-02 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
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