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"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera digitale

PROGETTI E STRATEGIE

Giuseppe Vitiello, European Union Institute for Security Studies [1]


Considerati i limiti di tempo, cercherò di autoridurre il mio intervento concentrandomi in particolare sugli aspetti fondamentali di quella che è stata oggi presentata come una guerra, ma che è più corretto definire la relazione, sempre dialettica, fra impresa e biblioteca.

A uno che, come me, si occupa di studi sulla sicurezza nel mondo, il tema della guerra dovrebbe essere familiare. Ma la piccola guerra, la scaramuccia civile con tutti i crismi della buona educazione condotta fra bibliotecari ed editori in rapporto al modello della comunicazione scientifica, deve andare al di là degli aspetti polemologici e giungere all'appassionante riflessione sul rapporto tra università e impresa, ricerca e società, disparità di accesso all'informazione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Come diffondono infatti i ricercatori le loro pubblicazioni? Riporto alcuni dati significativi sull'economia della comunicazione scientifica negli Stati Uniti: nel periodo 1986-1999 i prezzi delle riviste sono cresciuti del 207%, a fronte di un aumento del 52% del costo della vita e del 68% degli stipendi dei professori, mentre gli acquisti di libri sono stati ridotti del 26%. Questo aumento esagerato solleva domande perfide: se pensiamo ai normali margini di profitto riscontrabili nell'economia dell'editoria libraria (raramente superiori al 10%), è lecito avanzare il sospetto di anomalia del mercato. Le tabelle standard sulla ripartizione dei costi nella produzione di un libro indicano che i costi che interessano la produzione (relativi cioè a diritti d'autore, redazione, spese di fabbricazione, promozione e pubblicità), nonché le spese generali amministrative, incidono in misura del 50-55%, mentre la distribuzione interessa il 45-50% al costo unitario di copertina. Questi dati, riferiti all'Italia, sono gli stessi in Germania o in Francia.

Un editore librario va raramente oltre il 6-7% e al massimo 10% di margine (i rari best seller non rientrano ovviamente in questa categoria). Molto spesso i margini che si realizzano sui libri di successo sono strumenti di perequazione, secondo cui i libri che vendono più copie finanziano quelli che ne vendono di meno.
Ma allora, quali sono i margini di profitto degli editori scientifici (detti STM, Scientifico, Tecnico, Medico), delle grosse multinazionali del sapere come Reuters, Elsevier, Kluwer, Wiley, Thomson? Essi sono maggiori, molto più alti di quelli degli editori librari. Le cifre del 2001 - ma quelle del 2002 sono simili - parlano del 19-29% nel settore economico e del 15-19% nella gestione e management; maggiori i margini realizzati nel settore delle scienze (38-48%) e in quello finanziario (tra il 27 e il 31%).

L'economia della conoscenza è di tipo particolare. Suo perno sono le riviste scientifiche, per le quali gli editori non pagano in genere la materia prima, il contenuto, giacché lo ottengono spesso gratis (e si tratta del primo risparmio, dell'ordine del 7-8%). Se lo scopo di un'impresa è fare quattrini, non c'è dubbio che gli "spiriti vitali" del capitalismo sono esaltati nell'ambito della comunicazione scientifica, dato che gli imprenditori che vi operano sono stati tra i pochi che hanno beneficiato appieno del mondo di Internet, laddove tutti, dai piccoli imprenditori alle grandi case discografiche e cinematografiche, ci hanno rimesso le penne e fatto registrare forti perdite. Trasformando la vendita su Internet in una macchina per far soldi, gli editori STM hanno aumentato i profitti e ancora più accresciuto la propria sfera di influenza.
Come ci sono riusciti? Attraverso quattro mosse fondamentali (e un ennesimo aumento di prezzo delle riviste). La prima mossa è il passaggio da un prodotto unitario, il fascicolo della rivista cui eravamo abituati, alla cumulazione di articoli. Oggi si offrono basi di dati di intere riviste, secondo un modello commerciale completamente diverso dal passato accettato peraltro con favore dalle biblioteche, che possono giustificare gli aumenti della spesa con un'offerta più completa di contenuti.

La seconda mossa è stata la concentrazione imprenditoriale attraverso massicce campagne di acquisizioni. Alla concentrazione dell'editoria - ormai la lista di case editrici acquisite dai grossi gruppi si allunga ogni anno di almeno una decina di nomi, con un ritmo da vittorie napoleoniche - è corrisposta la concentrazione delle biblioteche che comprano le basi di periodici elettronici per il tramite di consorzi, tutti di recente costituzione. Il vantaggio per gli editori è enorme, giacché invece di parcellizzare le trattative con una pluralità di acquirenti, ottengono di focalizzarle intorno a un unico punto di compravendita.
La terza mossa è stata quella di modificare la struttura del prezzo, che per i fascicoli era rigida. Ogni fascicolo a stampa ha lo stesso prezzo - stampato addirittura in copertina - in ogni parte del mondo, negli Stati Uniti, in Italia o in Africa del Sud. Proponendo delle basi di dati, invece, gli editori hanno trasformato il prezzo unitario in un prezzo variabile e discriminatorio a seconda del cliente, modulandolo in funzione del potere d'acquisto dei paesi compratori.

Quarta e ultima mossa: quando una biblioteca attiva un abbonamento ad un periodico cartaceo, può sempre recedere da esso senza gravi perdite; ma perdere l'accesso a una base di dati significa in realtà compromettere gravemente la disponibilità delle risorse elettroniche.
Qui è appunto la novità del nuovo business model scelto dagli editori.

Qualcuno potrebbe dire a questo punto che l'ingenuità è iniziale e che l'errore è delle Università, che cedono il copyright agli editori senza contropartita. Ma anche le biblioteche stanno cedendo parecchie delle loro funzioni agli editori. Una tipica biblioteca elettronica mette a disposizione periodici elettronici e basi di dati. Nel far questo, pensate al numero di funzioni, un tempo bibliotecarie, che sono oggi editoriali: la selezione, la pubblicazione, l'indicizzazione, la valutazione e la fornitura dei documenti, tutte svolte all'esterno della biblioteca. C'è stato un massiccio trasferimento di compiti dalla biblioteca all'editoria e una parallela esternalizzazione del lavoro bibliotecario. L'esternalizzazione ovviamente costa, ancora di più per i paesi che sono tagliati fuori dal ciclo della comunicazione scientifica, come è il caso dell'Italia. Anche le funzioni che rimangono ancora bibliotecarie stanno per essere delegate: le acquisizioni rimangono ancora nel campo delle biblioteche, ma sono affidate ai consorzi; la catalogazione e l'identificazione potrebbero, con progetti come il DOI o ONIX essere affidati anch'esse agli editori. La fornitura avviene secondo sistemi di licenza offerti alle biblioteche, ma gli editori possono anche vendere direttamente le loro pubblicazioni attraverso i sistemi pay per view. L'archiviazione, l'antico possesso del documento, cede ora il passo all'accesso; il servizio di reference rimane al bibliotecario, ma gli strumenti di ricerca sono approntati dagli editori. Questi ultimi, insomma, stanno conducendo una strategia riuscita e bene articolata che fa breccia nel lavoro delle biblioteche.

I progetti di digitalizzazione delle collezioni, come quelli di cui ci ha parlato Gabriele Lunati, vengono tutti realizzati su materiale in possesso di biblioteche. Ma esistono anche altri esempi: il progetto, spesso menzionato, JSTOR. Qui il modello economico seguito è di estremo interesse - e non a caso è stato inventato da William Bowen, fondatore insieme a William Baumol dell'economia della cultura. Nel modello JSTOR, per esempio, riscontriamo uno slittamento del possesso di contenuti verso le biblioteche, giacché è il consorzio JSTOR che si occupa di vendere i contenuti attraverso meccanismi di abbonamento alle biblioteche. Se è vero dunque che selezione, pubblicazione e distribuzione rimangono a carico del settore editoriale, la fornitura e le acquisizioni sono prerogativa delle biblioteche. Nella catena della comunicazione globale, inoltre, almeno due funzioni - archiviazione e ricerca - vengono duplicate: esse sono svolte sia dagli editori sia dalle biblioteche JSTOR, che diventano così, anche se tramite il versamento di royalties, proprietarie del contenuto.

Nella scaramuccia, che sarebbe poi più giusto definire libera concorrenza, tra bibliotecari ed editori, tre sono gli elementi su cui si misurano le posizioni dei due attori: la detenzione del diritto d'autore, il possesso del documento contro l'accesso e la maggiore o minore convenienza dell'esternalizzazione delle funzioni bibliotecarie. Sarebbe interessante a questo punto vedere come nel caso degli e-print i bibliotecari stiano cercando di recuperare anche delle funzioni editoriali, ma il tempo stringe e converrà lasciare questo tema ad un prossimo convegno.

[1] I temi esposti al Convegno sono stati ripresi in forma più ampia nell'articolo "La comunicazione scientifica e il suo mercato". Biblioteche oggi, giugno 2003, p. 37-57.

Copyright AIB 2004-09-11, ultimo aggiornamento 2004-10-05 a cura di Marcello Busato e Giovanna Frigimelica
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/vitiello03.htm


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