AIB. Sezione Veneto. Congressi
"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera
digitale
Quattro parole chiave per le biblioteche digitali
Riccardo Ridi, Università Ca' Foscari
Trovandomi tra gli ultimi relatori proverò a non dire niente di nuovo,
ma soltanto a sottolineare quelli che mi sembrano siano stati alcuni dei punti
fondamentali emersi dagli interventi di questi giorni, per metterli - se occorre
- in maggiore evidenza: e visto che si è parlato molto di buone pratiche,
approfitterei per esemplificarle in negativo soffermandomi cioè su qualche
cattiva pratica, perché nonostante che su alcuni punti siamo a parole tutti
d'accordo (per esempio sul non ripetere gli errori di SBN, creando, come
è stato detto in maniera molto suggestiva, un progetto moderno in un mondo
postmoderno), temo che invece i primi passi concreti stiano andando esattamente
in senso contrario. E mi sembra che questo accada non tanto per problemi tecnici
o economici - che a volte mi sembrano costituire solo degli alibi - cioè
per assenza di risorse e di tecnologie, questioni di entrate/uscite o costi/ricavi,
quanto per problemi culturali, intesi come forme mentali: certo è più
facile cambiare le tecnologie che le teste, ma almeno dobbiamo provarci.
Riassumendo, quali sono a questo punto le tre parole chiave, le tre priorità
sostanziali? Innanzitutto la cooperazione e il coordinamento, cioè mettersi
d'accordo, non duplicare gli interventi, interagire, praticare l'interoperabilità;
poi la repertoriazione, cioè sapere chi sta facendo cosa e come, insomma
sapere cosa sta accadendo (indispensabile anche per evitare le duplicazioni) grazie
a repertori, elenchi e archivi esaustivi e aggiornati dei progetti e delle realizzazioni
nel settore; infine - e questa terza parola chiave forse è stata un po'
meno ripetuta - la comunicazione, cioè dire quello che si fa, farlo
conoscere, perché altrimenti è quasi inutile farlo.
E adesso qualche recente esempio negativo. Gabriele Lunati ha citato uno studio
di fattibilità che sta per essere consegnato nella nuova versione aggiornata:
la prima versione fu presentata al pubblico specializzato e discussa durante la
terza Conferenza nazionale delle biblioteche nel febbraio del 2001. Questo importante
evento è stato l'inizio della grande avventura della Biblioteca Digitale
Italiana, ma a suo tempo non fu nemmeno annunciato in AIB-CUR, una lista di discussione
che permette, a costo zero e nel giro di due minuti, senza problemi o spese di
investimenti tecnologici, di informare quelli che allora erano 2500 (oggi sono
3500) addetti del settore: un'azienda pagherebbe per avere uno strumento
di questo tipo, eppure nessuno ci ha pensato, e tantomeno ha pensato a mettere
in rete il programma della conferenza, se non mesi e mesi dopo il suo svolgimento.
Per un'altra cattiva pratica si può vedere Internet, all'indirizzo
www.superdante.it. Gabriele Lunati parlava
della necessità di recuperare il denaro, un piccolo investimento, per creare
il sito della Biblioteca Digitale Italiana, perché è stato più
volte ricordato che la Biblioteca Digitale Italiana non ha un sito; ma la verità
è che ne ha troppi, perché già sul sito dell'ICCU, come
ieri è stato segnalato, ci sono alcuni elementi e alcune informazioni.
Se poi andiamo su www.superdante.it, che
è un sito ufficiale del Ministero dei Beni Culturali più volte citato
in questi giorni ... e sarebbe interessante sottoporlo all'analisi di
qualità dei siti web culturali secondo le linee guida Minerva (anch'esse
oggi più volte citate), come significativo termine di paragone ... direi
che già il sottotitolo "Leggere è un'avventura" è
una sostanziale e sconfortante autopresentazione. Senza voler sparare sulla Croce
Rossa entrando nel dettaglio, rileviamo però sicuramente che la Biblioteca
Digitale Italiana è uno dei contenuti principali: è citata nella
homepage a destra e ritorna poi più in basso; se poi ricorriamo
alla funzione di "help" (chiamata in maniera suggestiva "Nuove
istruzioni per navigare felici"), ci viene spiegato che qui ci sarà
un accesso privilegiato ai servizi della Biblioteca Digitale Italiana, naturalmente
attraverso un portale. Ormai infatti il sito c'è l'ha soltanto
il negozio sotto casa, e forse nemmeno quello, perché come minimo bisogna
avere un portale. Io pregherei di fare per la Biblioteca Digitale Italiana semplicemente
un sito: non c'è bisogno di un altro portale, altrimenti alla fine
avremo più portali che porte (e stanze). Sembrerebbe fin qui dunque che
la Biblioteca Digitale Italiana fosse un piatto forte fra i contenuti di SuperDante,
ma in realtà viene solo detto che si sta lavorando ad un ennesimo sito.
Per quanto riguarda la sostanza, fino a qualche tempo fa nelle pagine della Biblioteca
Digitale Italiana si trovava almeno l'unica cosa veramente utile che c'è
a oggi, cioè lo studio di fattibilità. Ora non c'è più,
il vecchio studio è scomparso, forse in attesa di avere quello nuovo.
Riccardo Ridi
Allora io faccio una proposta operativa. Si potrebbero fare lunedì prossimo
due link reciproci, uno da SuperDante e uno dalla BDI...
Gabriele Lunati
No, ormai non li fai più da nessuna parte, perché anche Superdante
di fatto non esiste più, è chiuso, e sarebbe fuorviante. La risposta
alla domanda "quant'è costato?" è molto semplice:
nulla, perché il Ministero non ha speso una lira per Superdante, quindi
non c'è stato spreco di risorse; hanno investito le aziende che
lo volevano fare e che si sono ritirate quando hanno visto che non c'era
la propensione a proseguire e, giustamente, la cosa è finita lì.
Riccardo Ridi
Però continuiamo a vedere che ci sono ogni tanto delle novità.
Ad esempio, nella homepage di SuperDante c'è una sorta di
evento speciale, "I libri e le città", un altro progetto del
Ministero, e se uno ha la pazienza di leggerselo tutto trova, alla fine di una
paginata complicata e retorica, la scoperta dell'acqua calda, cioè
la reinvenzione dei metaopac, che sostanzialmente vengono proposti e forse finanziati,
non so da chi, come, e quando, per le singole località: ma sono cose
che l'AIB e il CILEA (e anche altri soggetti) fanno da tempo, e questo
è l'ennesimo caso di duplicazione costosa e inutile.
Ancora un altro cattivo esempio: la homepage del CIBIT, Biblioteca Italiana
Telematica, che è stato ... non so che tempo verbale usare ...
uno dei più grossi progetti italiani di Biblioteca Digitale effettivamente
realizzati, riporta già da diversi mesi (peraltro senza data) la frase:
"Il servizio di consultazione e ricerca è temporaneamente sospeso".
Non si sa da quando, non si sa fino a quando. Ci sono varie voci di corridoio,
fra gli addetti ai lavori: finirà, si trasformerà, si dividerà,
confluirà, ... Stiamo cercando di abituarci a non cercare il possesso
e a fidarci dell'accesso: ma poi capita che l'accesso scompaia da
un giorno all'altro. Allora forse è meglio il possesso, che per
lo meno è garanzia di accesso nel tempo.
Per tutte queste cose non c'è bisogno di investire, cercando di
recuperare denaro: basta avere la testa e pensarci, basta comunicare, prima
agli addetti ai lavori e poi agli utenti finali, quello che si sta facendo.
Riguardo al plurale e al singolare, io la penso come Claudio Leombroni; allo
stesso modo ci sono informatici che in questo momento inseguono il mito del
Web semantico, al singolare e con la maiuscola, con un'ingenuità
pazzesca. Ovviamente i web semantici, al plurale e con la minuscola, esistono
già, e bisogna cercare di farli dialogare fra loro nel modo migliore
possibile; così per la Biblioteca Digitale non facciamo lo stesso errore:
esistono le biblioteche digitali, come esistono le biblioteche, e tra di esse
andranno rafforzati tutti gli elementi di coordinamento.
Concludendo voglio fare solo un accenno a quella che potrebbe essere la quarta
parola chiave, che già alcuni hanno ricordato: il servizio. Non dimentichiamoci
che una biblioteca non è fatta solo dalle sue collezioni, ma anche dai
suoi servizi: quindi la biblioteca elettronica, digitale o virtuale, ha un fronte
nella direzione delle collezioni ... è quello su cui ci siamo concentrati
maggiormente in questi due giorni ... ma anche un altro in quella dei servizi.
Fra questi uno è rappresentato dai cataloghi, gli opac, dei quali si
è parlato molto e sui quali esiste una certa tradizione; un altro, ancora
agli inizi, è quello del reference service e quindi dei progetti
di virtual reference service, che se da una parte rientrano in quanto
abbiamo detto prima su repertori e elenchi (in sostanza strumenti per trovare
le cose) dall'altra non possono prescindere dal vero e proprio servizio
personalizzato all'utente, e cioè l'istruzione e l'assistenza.
Anche questo si può fare per via elettronica, e questa probabilmente
sarà la prossima frontiera.
[1] Vedi nota al precedente intervento di
Gabriele Lunati
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