AIB. Sezione Veneto. Congressi
"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera
digitale
Mario Infelise, Direttore del Dipartimento di Studi Storici dell'Università Ca' Foscari di Venezia
Sono lieto di essere presente in questa circostanza per confermare il tradizionale
interesse di Ca' Foscari verso i seminari Vinay, che affrontano sempre temi e
problemi rilevanti anche per la formazione dei futuri responsabili della gestione
degli istituti culturali e che si inseriscono utilmente nei nostri percorsi di
approfondimento. Ritengo che la cooperazione con gli istituti che sul territorio
si occupano della conservazione dei beni culturali sia strategica per l'università
e che ad essa si debba rivolgere molta più attenzione di quanto non si
faccia attualmente. Per quanto riguarda i percorsi di formazione per archivisti
e bibliotecari, mi pare tuttavia che negli ultimi anni si stia sperimentando una
collaborazione particolarmente fruttuosa e che questa sia uno dei nostri punti
di forza. Da anni sappiamo di poter contare sulla collaborazione con la Fondazione
Querini Stampalia, che ci offre le sue competenze e le sue strutture. Un rapporto
analogo abbiamo con l'Archivio di Stato di Venezia, che è altrettanto essenziale
all'interno dei nostri percorsi formativi. Credo che in entrambi i casi si tratti
di un raro esempio di integrazione tra mondo universitario e istituti culturali
e che simile intesa vada ulteriormente perfezionata, evitando tra l'altro il rischio
di relazioni che poggiano più sulla buona volontà degli individui,
che su un consolidato rapporto istituzionale, reciprocamente vantaggioso.
Negli ultimi anni Ca' Foscari, come tutte le università italiane, è
stata investita dal processo di riforma degli ordinamenti di studio. È
noto che la riforma ha imposto una radicale trasformazione della didattica universitaria
che era necessaria, ma che, per come è stata intesa, ha causato non pochi
disagi e critiche. Inoltre essa è stata avviata in assenza di risorse finanziarie
aggiuntive. L'apertura dei nuovi corsi di laurea è pertanto rimasta in
buona parte affidata più alla buona volontà degli individui che
alla possibilità di costituire strutture forti e stabili, su cui appoggiare
la nuova realtà. A ciò è da aggiungere che, per una sorta
di perverso meccanismo di ripartizione tra le risorse all'interno del sistema
universitario, viene sempre privilegiato il dato quantitativo, cioè il
numero degli iscritti, rispetto alla qualità effettiva dei corsi. Di conseguenza,
corsi come quelli riservati alla formazione degli archivisti e dei bibliotecari,
che necessariamente devono essere contenuti in dimensioni ridotte corrono il rischio
di essere penalizzati rispetto - ad esempio - a corsi relativi alla conservazione
del patrimonio artistico, che richiamano un numero maggiore di studenti.
È sin troppo ovvio che l'impiego delle nuove tecnologie e la valutazione culturale
del suo impatto deve necessariamente essere al centro della nostra attenzione
formativa. Anche quindi il tema della digitalizzazione si presta ad interessanti
considerazioni. E' uno di quegli aspetti su cui può valutarsi positivamente
il rapporto tra mondo della ricerca e realtà delle biblioteche. La digitalizzazione
infatti investe molteplici competenze e ambiti, inducendo ad affrontare una serie
di questioni comuni da prospettive diverse. Non da bibliotecario, ma da storico,
sono personalmente sensibile alle questioni della diffusione e della fruizione
dell'informazione. Negli ultimi anni mi è capitato varie volte di partecipare
a discussioni su temi di questo genere, regolarmente scadute sull'argomento del
tutto futile e stucchevole del futuro del libro. E' chiaro che gli strumenti dell'informazione
si sono sempre trasformati, subendo e assorbendo le evoluzioni tecnologiche. In
ogni epoca le nuove tecnologie hanno imposto sfide irrinunciabili per la biblioteca.
Ritengo però la sfida possa essere vincente solo se si saprà contestualmente
integrare e potenziare tutta la nostra tradizione con le nuove forme di produzione
e trasmissione dell'informazione. Non penso cioè che ci debbano essere
settori destinati soltanto all'informatizzazione e settori riservati al libro
tradizionale, ma che le diverse risorse vadano sistematicamente accostate e gestite
in modo complementare.
Mi viene ad esempio in mente il problema della conservazione dei periodici di
cui molti si parla negli ultimi tempi. I quotidiani rappresentano infatti una
fonte fondamentale ma di facile deterioramento, tanto è vero che molti
dei quotidiani del ventesimo secolo sono già definitivamente perduti. Credo
che proprio in questo campo sia assolutamente importante avvalersi delle nuove
tecnologie, tenendo peraltro conto del rapporto che ci deve essere tra la conservazione
materiale degli oggetti - perché gli oggetti hanno una loro funzione e
un loro ruolo specifico nello studio storico - e una forma diversa di conservazione
dei contenuti, orientata alla fruizione virtuale. Ma questo è solo uno
degli aspetti possibili: è chiaro che nel campo delle fonti storiche le
questioni e le soluzioni possono essere tante che potrebbero essere in citate
in questa sede. Tra l'altro esistono esempi di successo di integrazione tra forme
differenti, tradizionale e no. Mi viene ad esempio in mente il sito Gallica
della Biblioteca Nazionale di Francia, dove sono disponibili in formato digitale
tutta una serie di materiali relativi alla cultura francese, di straordinario
interesse e di grande facilità d'uso. Auspico dunque che questo Seminario
possa innescare, come sempre è avvenuto in passato, un processo positivo
all'interno del settore, capace soprattutto di uscire fuori dal ristretto ambito
degli addetti ai lavori. Il ruolo dell'Università è anche quello
di estendere a un pubblico diverso, e soprattutto ai futuri tecnici e ai futuri
fruitori delle biblioteche e del sistema documentario, il dibattito e la riflessione
sui temi e gli sviluppi più attuali del lavoro nei beni culturali.
Giorgio Busetto
Ho trovato molto interessante l'accenno di Mario Infelise al trasferimento dell'
idea di cooperazione all'interno del sistema formativo, ed effettivamente credo
che su questo terreno sia importante estendere la partecipazione a tutti gli
istituti cittadini. Ricordo che Giuseppe Mazzariol, mio predecessore alla direzione
della Fondazione Querini Stampalia, ma successivamente anche Preside della Facoltà
di Lettere, fu tra coloro che più si batterono all'interno dell'Università
per la creazione del Corso di laurea in Conservazione dei beni culturali immaginandolo
come qualche cosa di assolutamente radicato all'interno degli istituti dei beni
culturali, e quindi molto poco accademico in senso tradizionale. La mia esperienza
in questo ambito mi ha fatto intendere che invece l'Università si è
orientata piuttosto a duplicare gli insegnamenti di Lettere, mantenendo le docenze
ex cathedra e faticando a scendere sul terreno del rapporto concreto
con i materiali e con la materialità delle organizzazioni che li conservano.
Debbo dare atto a Mario Infelise che la sua attività in questo senso
è stata veramente infaticabile, e lo ha reso un importante punto di riferimento
per tutti noi rispetto a questa comunione tra Università e istituti dei
beni culturali, che speriamo sia possibile sviluppare ulteriormente anche nella
direzione dei master.
Sono dunque molto opportune le precisazioni di Infelise. È chiaro che
nei nostri mestieri - ma forse anche negli altri - gli ignoranti funzionano
male, cioè che è indispensabile avere a che fare con operatori
colti: questo è tanto più vero quanto più le tecnologie
progrediscono e mettono a disposizione una massa di informazioni all'interno
della quale va trovato un bandolo, un percorso, e allora davvero o se ne sa,
oppure non se ne esce. Il saperne suppone evidentemente un background
adeguato e un'adeguata competenza di natura tecnica; una delle debolezze del
nostro sistema è quella di non dare sufficienti strumenti al sistema
educativo nel suo insieme, per cui la ricaduta è veramente pesante. La
mia esperienza mi dice che effettivamente arrivano all'Università molti
ragazzi che non hanno letto abbastanza, cioè che non sanno abbastanza
bene l'italiano e non hanno sufficienti riferimenti di natura culturale generale,
per cui diventa oggettivamente difficile appoggiare sulla loro incerta conoscenza
ulteriori informazioni e ulteriori conoscenze. Io lavoro al biennio specialistico,
e ho l'impressione che ci sia una differenza nella preparazione tra i miei studenti
di oggi e quelli che frequentavano prima il mio corso in modo più indifferenziato.
Certamente, tra gli infiniti disagi del nostro tempo e del nostro mondo, si
avverte come greve anche questo disagio della scuola e dell'Università:
credo che come sempre la radice del problema sia l'insufficiente moralizzazione
dei singoli rispetto a quelli che sono i loro compiti e alla loro posizione
all'interno del mondo, all'interno delle relazioni con gli altri. Questo riguarderà
gli adulti come i ragazzi, ed è qui la debolezza complessiva del messaggio
che diamo alle generazioni che ci seguono. Io ho un bambino di cinque anni,
e sono molto curioso di vedere come crescerà da questo punto di vista.
D'altra parte tutte le esperienze che faccio attraverso il servizio e il contatto
con il mondo dei giovani che frequentano la Biblioteca, il Museo e l'Università,
mi lasciano molto perplesso: li vedo infatti completamente disarmati, per nulla
caricati rispetto alla loro collocazione in mezzo agli altri.
Devo dire, per esempio, che il fatto di non disporre di abbastanza denaro per
avere sufficiente personale ha, all'interno di questa struttura, una pesante
ricaduta in termini di debolezza educativa: la Biblioteca infatti era congegnata
in modo tale da fungere come luogo di educazione perché educava a sedere
sulle sedie di legno, a stare in ambienti con gli stucchi e gli affreschi, a
entrare attraverso il restauro di Carlo Scarpa, a servirsi in un certo modo
dell'insieme delle cose che venivano rese disponibili. Al di là dello
strumento tecnico, che poteva essere lo scaffale aperto o il catalogo o il magazzino
dei libri o dei periodici, il sistema di percorsi offerto era militarmente sorvegliato
in una certa maniera, e induceva quindi all'apprendimento di modi e forme di
una cultura che nasceva insieme ai materiali che rendeva fruibili. Voglio dire,
per esempio, che non ci si può sedere su una poltroncina di legno mettendo
la coscia appoggiata al bracciolo, perché si spezza il bracciolo: non
è un problema di educazione formale, ma di adeguamento al rapporto con
i materiali e con la lavorazione stessa dei materiali. Tutto questo veniva insegnato
dalla Biblioteca, che era uno strumento aperto a tutti, purché tutti
la sapessero usare in un certo modo. Questo tipo di educazione è molto
allentato a causa della minore disponibilità dal punto di vista finanziario
rispetto al passato.
Questo è solo uno degli infiniti esempi che si possono dare del nostro
sistema. Certo oggi il personale è trattato meglio: una volta veniva
pagato meno, ma proprio per questa ragione alla fine lo si poteva adoperare
di più. C'è sempre il pro e il contro in tutte le questioni: non
abbiamo ancora saputo riorganizzare il nostro sistema trovando una collocazione
adeguata a tutti i mutamenti che sono necessariamente, e in generale direi anche
opportunamente, intervenuti negli ultimi anni. Questo ha però determinato
in qualche modo una caduta della moralità diffusa, cioè non c'è
nell'impostazione del nostro vivere quotidiano un'adeguata moralizzazione rispetto
a quello che noi possiamo fare, a quello che noi possiamo rappresentare nei
termini della nostra collocazione all'interno delle relazioni con il nostro
prossimo. Si tratta di un argomento che riguarda molto da vicino l'intima natura
del nostro lavoro: personalmente ho sempre pensato che questa natura fosse di
tipo educativo anziché semplicemente informativo, cioè che una
delle conseguenze dell'informazione - e dell'educazione all'uso dell'informazione
- fosse appunto quella di rendere la Biblioteca uno strumento necessariamente,
fatalmente educativo.
Copyright AIB 2004-07-26, ultimo
aggiornamento 2004-09-28 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
URL:
http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/infelise03.htm