AIB. Sezione Veneto. Congressi
"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera
digitale
Sonia Guetta Finzi e Piero Lucchi, Comune di Venezia, Gruppo di coordinamento fra Biblioteche di pubblica lettura e Biblioteche specialistiche
Sonia Finzi
Ringrazio Chiara Rabitti di avermi invitato, anche se confesso che in un primo
momento mi sono chiesto quale esperienza avrei potuto portare in questa sede,
dato che mi occupo solo di pubblica lettura. Come pubblica lettura infatti possiamo
tutt'al più digitalizzare qualche fondo locale di particolare interesse,
come stiamo facendo per gli spartiti dell'ex banda musicale della città
di Venezia; tuttavia una volta digitalizzati e messi in rete quei 600 pezzi la
cosa finisce, perché non rientra in una programmazione organica.
Ma in realtà io sono qui in particolare come coordinatrice del Gruppo di
coordinamento fra Biblioteche di pubblica lettura e Biblioteche specialistiche
del Comune di Venezia: infatti da due anni la Biblioteca Civica di Mestre, prima
sempre dipesa dall'Assessorato alla Pubblica Istruzione, è passata a quello
della Cultura. Questo ci ha molto favorito sotto diversi aspetti, non da ultimo
proprio il fatto di far emergere questa singolare sinergia tra una biblioteca
come la Civica di Mestre, relativamente piccola, nata solo nel '53 e dotata di
una notevole esperienza e strumentazione informatica - che ci consentono di fungere
da centro servizi catalografico per la Provincia di Venezia - e biblioteche come
quelle Museo Correr, del Museo di Storia Naturale, di Casa Goldoni, di Palazzo
Mocenigo, di Ca' Pesaro: tutte entità bibliotecarie estremamente importanti,
finora però sempre messe in ombra dal fatto di essere un tutt'uno con i
loro musei. Stiamo dunque cercando ora di farle emergere, cominciando dal sito
web dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Venezia, dove le biblioteche dei
Musei Civici non avevano alcuna visibilità. Questo Gruppo di coordinamento
mette insieme le biblioteche specialistiche dei Musei e quelle di pubblica lettura
del Sistema Bibliotecario Urbano, assegnando alla Biblioteca Civica di Mestre
una funzione di leader. In questa prospettiva di coordinamento e di integrazione
delle risorse bibliotecarie, il tema della digitalizzazione assume una dimensione
di specifico e rilevante interesse.
Prima di passare la parola a Piero Lucchi vorrei proporre due brevissime riflessioni.
Innanzitutto penso che se vogliamo investire le nostre forze nella digitalizzazione,
bisognerebbe puntare su interventi in ambiti precisi, come per esempio quello
dei quotidiani, dato che la nostra emeroteca è ormai ridondante e siamo
costretti a buttare "Il Gazzettino" (che peraltro conserviamo, consultatissimo,
in microfilm). Altre esperienze di digitalizzazione sono in corso nell'Archivio
comunale, di cui pure mi occupo, per quanto riguarda il fondo Giacomelli, molto
importante per Venezia; ascoltando Cristina Celegon e Lia Artico mi chiedevo peraltro
se questa operazione sia adeguatamente standardizzata, cioè se sia coerente
con quanto altri stanno facendo intorno a noi. Credo che l'omogeneità di
trattamento sia fondamentale, per non ritrovarci in una situazione analoga a quella
creatasi con l'avvio dell' automazione dei cataloghi delle nostre biblioteche.
Vorrei prima di tutto ringraziare per avermi dato l'occasione di parlare al
Seminario Vinay, ricordando che in Emilia-Romagna, mia regione di origine dove
avevo imparato ad apprezzare il lavoro di Angela Vinay per le biblioteche italiane
fin dai tempi ormai lontani della nascita del polo SBN di Ravenna, e che a Bologna
Angela Vinay si era trasferita dopo aver lasciato l'ICCU e in quella città,
credo, ha concluso la sua esistenza. Vorrei anche dire che forse non è
tanto importante per queste scelte che Angela Vinay fosse di sinistra, quanto
che fosse un'italiana piuttosto eccezionale ed insolita, che ha avuto e sofferto
molte difficoltà, come peraltro è avvenuto ad altri direttori
di biblioteca e funzionari dello stato (penso per esempio a Emanuele Casamassima,
e alla sua vicenda successiva all'opera eroica in difesa della Biblioteca Nazionale
di Firenze nei giorni e nel periodo successivo all'alluvione); per aggiungere
ancora qualcosa di significativo, forse si potrebbe ricordare che era la moglie
del pastore Vinay.
Sonia Finzi ha già accennato agli incontri che si sono succeduti in questi
mesi, fra i partecipanti al Gruppo di coordinamento di cui lei è responsabile,
per avviare una comunicazione fra due mondi (come le Biblioteche di pubblica
lettura che fanno capo al Sistema Bibliotecario Urbano che ha sede presso la
Biblioteca Civica di Mestre e le diverse biblioteche specialistiche annesse
ad alcuni Musei civici), che pur convivendo nella stessa città, sotto
la stessa amministrazione comunale e da qualche tempo all'interno della stessa
Direzione centrale Beni e Attività culturali, sono sempre stati molto
lontani e ancora oggi in realtà faticano a costruire occasioni di lavoro
comune e di sinergie: l'obiettivo come ha indicato Sonia è quello di
coordinare almeno i siti internet per presentare ai lettori, ai cittadini e
agli studiosi di tutto il mondo l'insieme dell'offerta comunale nel campo dei
servizi bibliotecari. (Lo stesso andrebbe sottolineato a livello cittadino con
altri enti e amministrazioni che gestiscono biblioteche quasi ignorandosi anche
quando hanno la stessa natura (penso ai sistemi di biblioteche universitarie
dello IUAV e Ca' Foscari o fanno parte dello stesso Polo SBN). Internet, e in
modo particolare il Web, è certamente oggi "la frontiera del Digitale"
o almeno una delle frontiere di una vera rivoluzione culturale in atto dopo
l'avvento dell'informatica insieme con i nuovi media e la digitalizzazione,
intesa come procedimento di traduzione e trasferimento veloce di immagini su
supporto numerico.
Immagino che ai bibliotecari venga subito da chiedersi se la digitalizzazione
rappresenti una "frontiera" dopo tante altre frontiere che si sono trovati davanti
negli ultimi decenni, quasi come la corsa all'oro del Klondike poteva rappresentare
un'altra illusione dopo la conquista del West. Molti di noi si sentono dei militanti,
o forse dei reduci, dopo tante campagne sociali e culturali , questa nuova prospettiva
che ci troviamo di fronte ci trova esausti - come una casalinga che, credendo
di aver finito il suo lavoro, scopra di avere ancora una stanza da pulire. In
realtà il mio parere che si tratti invece di qualcosa di completamente
diverso, qualche cosa che non è paragonabile alle molte frontiere che
abbiamo passato in questi anni.
Mi piacerebbe iniziare leggendo un brano apparentemente fantascientifico, in
cui si dice che un giorno non si andrà in biblioteca ma si potranno trovare
le informazioni da casa, collegandosi dal proprio tavolo con una macchina straordinaria:
è una descrizione del progetto Memex del 1945, scritta da un certo Vannevar
Bush (questo nome ci sembra familiare ma forse non lo abbiamo mai sentito),
quella macchina fantascientifica (come in parte le macchine immaginate da Leonardo
da Vinci e da Giulio Verne) in realtà si è già realizzato,
tanto che oggi, ad esempio, è più facile e più veloce trovare
notizie su un libro (o su un film o un disco), soprattutto recente, sul suo
contenuto o il suo autore cercando direttamente su Google invece che consultare
un Opac o recarsi in biblioteca.
Avrei poi voluto rendere omaggio a Riccardo Ridi, che è stato mio docente
in un corso di formazione su Internet in Biblioteca promosso nel 2000 dalla
Provincia di Venezia e dalla Fondazione Querini ma ce l'ho qui di fronte e mi
trovo in difficoltà a presentarlo come il mio maestro (anche perché
vista la sua giovane età per poco non potrei essere suo padre); vorrei
comunque invitarvi ad ascoltare la sua intervista trasmessa il 17 gennaio 2003
su Radio 3 poiché tra l'altro Internet ci permette anche di ascoltare
una trasmissione radio già passata e che sarebbe perduta per sempre:
l'intervista riguarda un progetto, pilotato dalla Microsoft, che mi sembra la
continuazione di quel Memex di Bush e si chiama "My life's bits", ovvero "Tutti
i bit della mia vita". Nell'intervista Riccardo Ridi parla al telefono con Franco
Carlini, giornalista scientifico esperto di internet che tra l'altro fu invitato
dalla Soprintendenza ai beni librari della Regione Emilia-Romagna una conferenza,
il 23 ottobre 2002 a Bologna sull'"effetto Google" e su "come cambiano le strategie
di ricerca in rete" (avrei voluto avere un figlio in questi anni per chiamarlo
Google: non ho mai apprezzato i romagnoli che mettevano ai figli nomi come Idea
o Progresso, però questo mi sembra veramente qualcosa che sta cambiando
la realtà). Nel corso di quella conversazione che si può riascoltare
in rete, sul sito di Radio3Scienza, con quella bella improvvisazione che io apprezzo di più della parola
levigata e finita, ad un certo punto dice: "In realtà non è possibile
riprodurre la vita: infatti anche se avessi una telecamera, una web camera che
mi segue sempre - e ormai siamo vicini ad una rappresentazione a scala 1 a 1
della realtà, mettendo insieme i tabulati dei cellulari e le web camera
che sono dappertutto - c'è un piano della realtà che, ammesso
che sia possibile, è comunque molto difficile da definire". E' vero:
che c'è innanzitutto una realtà oggettiva; ma poi c'è il
piano dei documenti - Le Goff direbbe documenti-monumenti - delle tracce intenzionali,
artistiche, volute, o di quelle che involontariamente si lasciano nella vita;
e infine c'è un altro piano, che ho sentito per la prima volta definire
da Riccardo che lo ha chiamato dei metadocumenti ( non metadati). Mi è
sembrato il miglior contributo teorico alla biblioteconomia di questi ultimi
tempi; ci riporta infatti a rivalutare l'importanza di ciò che è
più piccolo e quindi più accessibile, come lo sono gli indici,
i titoli, i soggetti, le descrizioni. Questo è quello che è sempre
accaduto; il titulus era quel cartellino che veniva appeso al papiro
mentre era depositato, arrotolato dentro lo scaffale di una libreria; il titulus
era già una scheda, e lo schedario era già la biblioteca in ordine
classificato, per materie o alfabetico. E forse, tornando all'intervista di
Carlini a Ridi, si potrebbe dire che in realtà oggi non è più
necessario discutere tanto sugli indici e sulle classificazioni, anche perché
ci bastano l'alfabeto e Google. (certamente non mi nascondo che il lavoro che
c'è dietro, e che in parte non è noto, è simile alle operazioni
di catalogazione, indicizzazione, classificazione del bibliotecario tradizionale
ma i risultati che è possibile ottenere oggi debbono fare riflettere
tutti, considerando il rapporto costi-benefici soprattutto nel momento che le
risorse sono sempre più ristrette e ormai si parla di servi bibliotecari
a pagamento o privatizzati)
Comunque vorrei sottolineare questa riduzione di quantità che è
rappresentata dai cataloghi, dagli indici, dalle descrizioni, parlando anche
del digitale in quanto abbinato ai cataloghi e alle descrizioni di documenti
che possono essere o no riprodotti integralmente e che possono essere resi accessibili
attraverso Internet. Caratteristica del digitale è soprattutto quella
di riunire alle parole le immagini: nella storia della comunicazione umana questo
era sempre avvenuto, e anche quando il sapere scientifico legato alla parola
scritta si divide dal sapere dell'immagine c'è comunque la descrizione,
la raffigurazione, ci sono i trattati di Leonardo da Vinci, gli almagesti pieni
di disegni, i libri popolari illustrati. Lia Artico ci ha spiegato poco fa illustrando
gli ottimi risultati del progetto di digitalizzazione dei manoscritti musicali
conservati presso la Chiesa di S. Maria della Fava, che è anche possibile
fare delle digitalizzazioni spendendo poco, e ottenendo qualcosa che può
raggiungere immediatamente un numero sterminato di lettori potenziali in tutto
il mondo: questo non era mai accaduto prima.
Mi riferisco quindi alle esperienze in corso presso la biblioteca di cui sono
responsabile, la Biblioteca del Museo Correr an,s senza insistere su quello
che ha già portato nella pratica quotidiana dei servizi l'avanzare della
frontiera digitale: come in molte biblioteche stiamo già facendo alla
buona ma efficacemente Document delivery, semplicemente inviando per
posta elettronica scansioni di una o poche pagine o concedendo ai lettori, senza
particolari difficoltà (se lo richiedono), l'autorizzazione a riprendere
immagini dai documenti che leggono con la fotocamera digitale con l'impegno
di darne una copia alla biblioteca e fatti salvi i diritti di stampa.
Parlerò più direttamente della descrizione dei manoscritti, un
progetto che beneficia di finanziamenti della regione Veneto, a cui è
impegnato un gruppo cui partecipano (con altri giovani laureati collaboratori
esterni) Paolo Eleuteri, come direttore scientifico, Barbara Vanin e Francesco
Bernardi. Già dal 1998 ci eravamo orientati all'uso del programma di
catalogazione Manus, sviluppato dall'ICCU che già aveva indicato le scelte
di metododa seguire nella Guida per la catalogazione del manoscritto.
Grazie all'impegno di dirigenti e funzionari (ricordo qui solo la dr. Lorena
Dal Poz) ormai il progetto viene realizzato in collaborazione con la Regione,
come ha ricordato qui il dott. Massimo Canella stamattina. Dall'esperienza della
Biblioteca Correr è nato un più ampio progetto regionale che interessa
molte biblioteche pubbliche, religiose e private che conservano manoscritti.
Il programma Manus per la descrizione dei manoscritti è prodotto dal
Laboratorio del Manoscritto diretto da Massimo Menna, con la collaborazione
di Lucia Merolla che abbiamo avuto occasione di conoscere alla Biblioteca Correr
proprio nel corso di una sua ricerca.
Manus prevede che ad ogni campo della descrizione, sia esterna che interna,
come pure dalla bibliografia, sia possibile associare una o più immagini
che documentino le scelte catalografiche. In realtà le immagini portano
moltissime informazioni: se prendiamo per esempio una miniatura come questa
di un tempietto del doge Loredan, è evidente che la descrizione non può
dare tutte le informazioni che si hanno vedendo l'immagine, anche se è
molto utile per arricchirne il significato. Il senso della seconda parte del
mio intervento, che illustro con l'aiuto di alcune slides riunite nel
Power point "La digitalizzazione nella
catalogazione del manoscritto e del libro antico" (vale dire nella catalogazione
delle edizioni a stampa anteriori al 1831, ma lo stesso vale per tutti i fondi
storici di biblioteca) è che accanto o preferibilmente rispetto alla
riproduzione integrale di manoscritti o volumi dovrebbero essere integrate le
schede bibliografiche descrittive con immagini di pagine o particolari della
coperta e dell'interno dei documenti scelti ed ordinati secondo criteri distintivi.
Non potendo riprodurre qui gli esempi illustrati (consultabili in rete nel sito
della Querini) nella serie di esempi illustrati lascio immaginare quello che,
appunto, le parole non riescono a mostrare al lettore.
La scheda di questo manoscritto (Cl. II 308) reca la seguente descrizione: "Carta
1 recto. Riquadratura sottilissimo nastro dorato contenente cornice architettonica
su sfondo paesaggistico. Elementi strutturali realizzati in bianco, grigio ed
oro, ad imitazione di marmo e bronzo. In alto frontone racchiudente una sorta
di edicola sfondata con Vergine in trono e bambino che consegna la commissione
ducale a Domenico Contarini, inginocchiato a destra, inscritto nel timpano clipeo
con leone di San Marco in moleca. Alle spalle dei personaggi parapetti in ferro
battuto dorato su colonnine". Tutti questi elementi aiutano a leggere l'immagine,
che a sua volta arricchisce le informazioni che si possono ricavare da una descrizione.
È chiaro che qui siamo al confine tra il catalogo come metadocumento
e il catalogo come documento, e in ogni caso è un confine questo che
si può anche superare.
Per quanto riguarda questa miniatura (Cl. III 19), penso che un catalogo debba
tener conto anche degli elementi informativi che essa contiene, perché
la miniatura è una parte integrante del testo: in questo caso ad esempio
c'è l'immagine di Venezia come giustizia o del leone, o lo stemma di
Pasquale Gradenigo, oltre a tutti gli elementi stilistici che completano la
descrizione del manoscritto. Un caso come questo presenta un'iconografia piuttosto
insolita e curiosa relativa a Venezia, che ha comunque un grande peso culturale
rispetto al documento stesso, alla sua committenza, al suo uso: San Marco, Venezia
come seduta in trono.
In un'altra raffigurazione che riguarda Venezia c'è il leone coi piedi
sia sul mare sia sulla terra, che sembra in movimento - è detto infatti
"leone andante" - dal mare verso la terra; e le due cortigiane, connotazioni
classiche della prudenza e della giustizia, rappresentano virtù di Venezia
attribuite allo stemma del personaggio raffigurato. Qui troviamo, come spesso
in questi documenti, il ritratto del personaggio, il suo stemma, i suoi santi
favoriti. In altri casi troviamo il santo omonimo: questi sono San Rocco e San
Sebastiano, che come sapete godevano di una devozione popolare enorme. Nel caso
della decorazione, ogni descrizione dà degli elementi tecnici per definire
il tipo di cornice, la presenza di oro etc.; però se non la si vede non
si capisce di cosa si tratta, e soprattutto vedendola a distanza si possono
riconoscere altri manoscritti veneziani opera dallo stesso autore. Qui vediamo
un monogramma che è la forma di firma autorizzata o autentica - perché
potrebbe non essere autografa - del Cancellier Grande, un grande personaggio,
Andrea dei Franceschi , controfirmata dal suo notaio, Angelo Sanson.
Un esempio nel campo del libro a stampa: per una biblioteca molto studiata da
Dorit Raines, quella di Giovanni Rossi, far vedere l'immagine dell'ex libris
permetterà di ritrovare altri esemplari conservati in altre biblioteche,
altrimenti legati solo ad un nome piuttosto comune.
Vediamo ancora un altro uso del digitale che aiuta il bibliotecario nella lettura:
nelle pagine di guardia e nella coperta che, come ogni codicologo insegna, sono
le portatrici di maggiori informazioni sulla storia del manoscritto, si trovano
delle note che si leggono a fatica; però usando lo scanner ed elaborando
al computer l'immagine si possono ricavare queste informazioni: "Anno terzo,
sotto il governo della nobil donna e reverenda madre, suor Maria Giustiniana
Dandolo, abbadessa, 1759". Naturalmente voi sapete che nei fogli di guardia
si trovano i tesori più inimmaginabili, dai palinsesti a libri greci
e ebraici.
Questo poi è un cartellino che in realtà ha delle dimensioni piccolissime
e che apparentemente sembra insignificante: solo se lo si guarda da vicino si
può capire che raffigura due fronde diverse, una di olivo e una di palma.
È il contrassegno della biblioteca di San Michele di Murano, che è
stata dispersa e che è oggetto della ricerca che ha portato Lucia Merolla
a Venezia, al Correr e in Marciana; ma questi cartellini si trovano anche in
Vaticano e in altre biblioteche, e questo modo di scrivere il numero corrisponde
al numero che si trova nel catalogo a stampa del 1780 di Mittarelli e Costadoni.
Il lavoro di Lucia Merolla è stato pubblicato nel 1997 nei "Nuovi annali
della scuola per bibliotecari ed archivisti", una rivista prestigiosissima,
ma non credo nota a tutti
E' importante dunque poter integrare la descrizione in rete anche con questi
dati, per esempio la scrittura della sottoscrizione del copista, o questa iniziale
filigranata (che aiuta anche spiegare cosa vuol dire filigranata, cioè
decorata solo a penna in un modo così fantastico) di un autore conosciuto
e identificato, per cui un domani qualcuno potrà riconoscere la stessa
mano in un altro manoscritto, recuperando tutte queste informazioni.
Si tratta in altre parole di spostare il baricentro dell'informazione sulla
ricerca, e riconoscersi in un soggetto collettivo che è la comunità
degli scienziati che fanno ricerca, degli umanisti, degli amanti della verità.
Ecco ancora un manoscritto di San Michele, che però non ha più
nessuna traccia di cartellino perché è stato restaurato e legato
nuovamente in biblioteca, anche se in un modo bello, con una carta a mano. Questo
è il segno dell'ex libris della biblioteca della seconda metà
dell'Ottocento; ce n'è un altro austriaco. Qui è stato recuperato
tuttavia un cartellino con la scrittura di Mittarelli e con le note di Cicogna,
che a matita scrive: "E' proprio il codice 158", identificando il manoscritto,
che riporta storie di santi, di religiose e di monache, con un manoscritto di
San Michele.
Questo è un altro indice contenuto nel volume; se si identificherà
questa scrittura, che potrebbe essere di Costadoni, sarà più facile
riconoscerla in altri libri.
Questa è la mano di Cicogna, sempre per far vedere come le postille possono
essere descritte da un'immagine digitale: Cicogna qui fa una critica filologica,
sostiene che il testo originale dice magister e non magistero.
E questo è un disegno probabilmente di Anselmo Costadoni, che descrive
un convento degli agostiniani di San Girolamo: ovviamente non può essere
se non riprodotto. E questa infine è un'immagine a stampa incisa, che
non rientra nel catalogo dei manoscritti, ma in qualche modo va segnalata perché
è un documento informativo importantissimo, anche perché interessa
la storia dell'arte riferendosi a un quadro bruciato nel 1705.
Copyright AIB 2004-08-25, ultimo
aggiornamento 2004-10-05 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
URL:
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