AIB. Sezione Veneto. Congressi
"14. Seminario Angela Vinay"
bibliotECONOMIA
la frontiera
digitale
Cristina Celegon, Presidente della Sezione Veneto dell'Associazione Italiana Biblioteche
Buongiorno a tutti. Il mio compito è chiudere la serie degli interventi della
mattinata; interventi introduttivi delle varie Istituzioni che qui hanno preso
la parola. Non parlerò di progetti così come si è parlato finora da parte delle
Istituzioni amministrative e politiche e delle Istituzioni culturali della
nostra regione; vorrei invece riportare per pochi momenti l'attenzione su alcuni
quesiti che, seguendo la dinamica della preparazione di questo seminario, ma
ancor più ascoltando gli interventi di questa mattina, mi risultano abbastanza
problematici e che vorrei sottolineare proprio come Associazione. Preparando
questa breve nota di cui adesso vado a presentarvi il contenuto, rianalizzavo il
comunicato che la curatrice del seminario, Chiara Rabitti, aveva presentato a
noi dell'Esecutivo Regionale dell'Associazione Italiana Biblioteche, col quale
ci chiedeva una riflessione sui lavori, ma anche sul nostro intervento in questa
sede. Quelle indicazioni mi hanno in realtà fatto riflettere ora più di quello
che mi avevano fatto riflettere al momento in cui mi erano state presentate.
Due anni fa ero a Padova, come molti di voi penso, a seguire la Conferenza
delle Biblioteche Italiane, nella quale il professor Sicilia, con l'Istituto
Centrale per il Catalogo Unico, presentava il progetto della Biblioteca
Digitale: il grande progetto nazionale al quale lo stesso professor Sicilia si è
richiamato nel messaggio letto dal dottor Busetto. Già in quella giornata, in
quelle due giornate di lavori, parlando con i colleghi bibliotecari che erano lì
presenti, emergevano in modi più sfumati, in modi forse meno consapevoli, alcuni
dei quesiti su cui stamattina vorrei richiamare la vostra attenzione.
Il
primo di questi quesiti verte sul problema della metodologia con cui il nostro
Ministero, la nostra Direzione generale e i vari Istituti Centrali preposti ad
entrare nel merito della Biblioteca Digitale si ponevano e si pongono
nell'affrontare questo problema. Purtroppo per le motivazioni che abbiamo
sentito stamane, i miei interlocutori ideali non ci sono. Però il professor
Sicilia in quelle due righe ha ribadito dei concetti fondamentali: priorità del
settore librario, priorità dei servizi, priorità e finanziamenti alla biblioteca
digitale italiana. Quindi l'intenzione da parte della Direzione generale di
mantenere questo impegno mi sembra di nuovo confermata. Accanto a questo
immediatamente la puntualizzazione che, purtroppo, le risorse saranno quelle che
saranno. Allora il secondo quesito, i finanziamenti per sostenere tutto questo,
si mette in relazione con il precedente.
Vorrei comunque, e a questo punto lo
faccio lo stesso anche se manca Sicilia, se manca anche Luciano Scala, il
Direttore dell'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, riflettere su questo
problema. Non ero a Ravenna il fine settimana scorso, però da quelle che sono
state le cose riportate, mi pare che anche lì un'obiezione di tipo metodologico
sia stata avanzata. La maggior parte dei colleghi bibliotecari, presenti anche
qui, escono da un'esperienza ormai di tredici anni che si chiama SBN;
un'esperienza sulla quale abbiamo testato la nostra capacità cooperativa;
un'esperienza, per coloro che l'hanno fatta da pionieri fin dall'inizio, molto
faticosa, proprio perché eravamo assolutamente in assenza di un impianto
metodologico. La convenzione alla quale le biblioteche dei vari Poli hanno via
via aderito si basava su due concetti supremi, direi io, supremi nel senso di
molto elevati, molto caricati dal punto di vista motivazionale: la cooperazione
fra istituti nella costruzione di un catalogo unico, quindi nella messa a
disposizione del patrimonio collettivo delle nostre collezioni e, come diretta
conseguenza, il prestito interbibliotecario. Due elementi ai quali tutte le
biblioteche soggiacevano nel momento in cui andavano a sottoscrivere questa
convenzione.
Il percorso che abbiamo fatto tutti per arrivare effettivamente
a rendere possibile questo è stato irto di disagi e di difficoltà. Siamo partiti
con zero standard: all'inizio la Guida, la prima edizione della Guida SBN, per i
colleghi che catalogavano, tra i quali c'ero anch'io, era una sorta di
promemoria di percorso, mancante di tutta una serie di sostegni di tipo
esemplificativo, ma anche di tipo sostanziale, al mestiere del catalogare. I
software che erano stati utilizzati al tempo erano ben quattro, con delle
difformità in ognuno di questi. Le biblioteche che entravano nella cooperazione
raramente avevano indicazioni su quali tipi di materiali sarebbero andate a
immettere all'interno di questo catalogo unico. Per molti anni abbiamo visto
tutti, non soltanto gli operatori, ma anche i fruitori di qualsiasi ordine e
grado, abbiamo trovato all'interno del catalogo e dell'indice descrizioni di
materiali e di supporti di tipo diverso, senza la possibilità immediata e
trasparente di leggere e comprendere la natura di tali supporto. Va tutto bene,
nel senso che tutto questo è servito, a tredici anni di distanza, a portare alla
creazione di una seconda edizione della Guida, a iniziare relazioni di tipo più
stretto con l'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, a costruire tutta una
serie di strutture che consentissero ai colleghi di lavorare meglio.
Ricordo
SBN perché mi auguro che il problema metodologico nell'affrontare il discorso
della Biblioteca Digitale tragga esperienza dalle fatiche di tredici anni e che
effettivamente, come aveva già ricordato il dottor Busetto a commento di uno dei
primi interventi, gli Istituti preposti a dare indicazioni di tipo metodologico
alle biblioteche a loro afferenti si assumano, ma molto onestamente, questo
impegno.
Il secondo problema, dove non mi addentro perché tecnico io non
sono, ma sul quale invece mi auguro di trarre conforto e elevarmi dalla mia
ignoranza durante queste due giornate, è il problema delle tecnologie. Possiamo
sempre trarre dei benefici dall'esperienza di SBN anche in questo. Quindi non
solo standard metodologici, ma anche standard tecnologici, perché c'è di tutto e
poiché mancano degli obiettivi e dei metodi: anzi tutti stanno facendo
tutto.
E allora il terzo punto. Se soldi non ce ne sono, perché tutti stiamo
facendo tutto? Il Ministero ha una responsabilità, o meglio la Direzione
Generale ha una responsabilità, secondo me: quella di finanziare comunque e in
maniera consistente il progetto Biblioteca Digitale. Non se ne può sottrarre
avendolo essa messo in opera. Però mancando questi due elementi, e non è che sia
molto d'accordo con l'affermazione dell'assessore Peres sui grandi progetti, nel
senso che i grandi progetti vanno bene come percorso e obiettivo, ma questi
grandi progetti devono avere delle tappe intermedie previste, perché comunque,
lo hanno ricordato tutti qui, il problema per noi rimane in ogni caso il
servizio e quindi la nostra utenza; e se devo dire la verità, poco mi preoccupa
che sia un'utenza di base, un'utenza specialistica, che sia il professor
universitario oppure lo studente. Ma è fondamentale che questo sia posto nel
corso dell'individuazione dei metodi e non al momento finale: al momento finale
l'utenza può essere qualunque; l'importante è che qualunque utenza tragga
beneficio e informazioni da questo progetto.
La stessa cosa sul problema
delle finanze l'ha detta la Regione, l'ha detta la Provincia. L'assessore
Ferrazzi nel suo candore ha rimandato la palla delle priorità ai tecnici e ci ha
detto: "Beh, speriamo che voi ci sappiate dire, ci sappiate dare delle
indicazioni di merito. Che cosa dobbiamo fare noi come Provincia? Credo che la
cosa che debbano fare istituzioni politiche, la nostra Regione stessa e anche le
Province, sia appunto, insieme agli organismi centrali, ragionare su quelli che
devono essere, ascoltando i tecnici, gli obiettivi di questa Biblioteca
Digitale. Certo è vero, un obiettivo fondamentale, ce lo ricordava ieri il
professor Federici in un'altra sede, in un altro contesto, è la conservazione;
indubbiamente. Materiali come quelli ricordati dal professor Infelise, i
giornali della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento, sono un patrimonio
di tutti, dal punto di vista del supporto e dal punto di vista del contenuto
rappresentato, per i quali dobbiamo porci il problema della salvaguardia.
Personalmente non finirò mai di cercare di trovare risorse a Venezia per salvare
la Gazzetta di Venezia, per esempio. Il Gazzettino è quasi scomparso; noi ne
deteniamo forse il nucleo più consistente anche se la collezione intera non
esiste, anche mettendo virtualmente insieme tutti i tronconi presenti nelle
biblioteche della città e non esiste nemmeno presso la sede del Gazzettino.
Questo sì potrebbe essere un minimo progetto con un minimo obiettivo da poter
realizzare per esempio in questa città con il sostegno della Regione, con il
sostegno della Provincia, senza andare a interpellare istituti più alti.
Gazzetta di Venezia e Gazzettino sono quotidiani che vengono consultati, questa
è la mi esperienza diretta, da utenze di tipo assolutamente diverso, dallo
storico, dal ricercatore, dal cittadino che attraverso il quotidiano ripercorre
momenti della sua vita e della sua storia familiare. Quindi per esempio una cosa
di questo genere, senza andare a chiedere lumi più alti, potrebbe essere un buon
esempio di pratica digitale calata nella realtà e nella richiesta di una città.
Non ho ovviamente nessun genere di soluzione universale. Posso solo
ricordare che come sempre l'Associazione, con colleghi e rappresentanti
sicuramente più abili della sottoscritta, partecipa ai progetti, un esempio
Minerva, nazionali e internazionali che si occupano di digitalizzazione e come
Associazione, come associazione di professionisti, continuiamo a renderci sia
disponibili al confronto scientifico e operativo, sia al "controllo" di quelli
che sono poi i risultati, gli obiettivi in funzione dei servizi delle nostre
biblioteche.
Personalmente, e chiudo, devo dire che nutro il timore che il
fervore si traduca nella banalizzazione della Biblioteca Digitale; in realtà
purtroppo in alcuni casi già si vede navigando in Internet: creazione di grandi
vetrine, di grandi negozi di balocchi, grandi musei virtuali, e intendo museo
nel senso più ampio del termine, attraverso i quali, invece di consentire e di
facilitare la fruizione delle informazioni, riusciamo in maniera poco
professionale ad allontanare i nostri utenti possibili dal trovare quelle che
sono le reali informazioni di cui abbisognano; una sorta quasi di travisamento
di quello che è il loro obiettivo finale.
Copyright AIB 2004-09-08, ultimo
aggiornamento 2004-09-28 a cura di Marcello Busato e Giovanna
Frigimelica
URL:
http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay14/celegon03.htm