"13. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
fund raising e servizi bibliotecari
DIBATTITO 2
Domanda dal pubblico
Come è stata considerata l'eventuale ripercussione sulla rete bibliotecaria
esistente a Milano (sia sulle biblioteche grandi che su quelle piccole) dell'istituzione
di una struttura di queste dimensioni?
Antongiulio Bua
La domanda è interessante perché si colloca all'interno di un
ragionamento più vasto: che ruolo hanno le istituzioni pubbliche a fronte
della nascita di una biblioteca che è sostenuta dal pubblico, ma che
non è emanazione della pubblica amministrazione? È stato fatto
uno studio molto vasto (credo che anche quello sia pubblicato sul sito www.beic.it,
o verrà pubblicato a brevissimo) su tutto il sistema bibliotecario milanese,
che poi è stato ampliato, per cerchi concentrici, anche sul sistema lombardo.
Ne emerge che i vari attori ritengono che la biblioteca, per come è stata
pensata, copra una grande lacuna, in particolare nella direzione della ricerca
universitaria, nell'area lombarda. D'altra parte noi abbiamo preso in considerazione
1.250.000 utenti annui legati all'area lombarda; molto probabilmente però,
se la biblioteca avrà veramente le dimensioni previste e sarà
a scaffale aperto, l'utenza attratta non sarà solamente lombarda, ma
molto più ampia, soprattutto per quanto riguarda le attività di
ricerca. Per cui noi non pensiamo che la BEIC vada a sovrapporsi alle altre
biblioteche (tanto che, come avete visto, nel progetto economico non prevediamo
cessioni di patrimonio, anche se è inevitabile che la biblioteca comincerà
ad un certo punto, comunque dopo la sua apertura, a raccogliere donazioni),
nemmeno a quelle che fanno prestito pubblico. La nuova biblioteca si qualificherà
rispetto alle altre per il tipo di informazioni fornite e per il servizio di
reference offerto, che saranno finalizzati allo scopo, alla missione della biblioteca,
cioè la ricerca. Sul sito della BEIC si può trovare comunque l'ampio
studio, eseguito da un docente della statale, che esamina le offerte di tutte
le biblioteche milanesi e lombarde e dal quale emerge che non c'è una
sovrapposizione dell'offerta.
Vorrei cogliere l'occasione per approfondire uno stimolo di riflessione a proposito
dell'attività di fund raising svolta dalle pubbliche amministrazioni.
Il nodo della questione, secondo me, sta nel tipo di gestione, diretta o indiretta,
dei servizi pubblici: nell'ultima legge finanziaria abbiamo finalmente un articolo
molto chiaro che dice: "I servizi a carattere non economico possono essere
gestiti in forma diretta, ma anche con convenzioni specifiche attraverso fondazioni,
associazioni". Sulle associazioni, per il tipo di governance che hanno,
sono più dubbioso; sulle fondazioni, che hanno un sistema di governo
molto chiaro, può invece essere esercitato un controllo pubblico stabile.
Vi porto l'esempio della Fondazione Scuole Civiche (anche in questo caso trovate
statuto, regolamento ecc., sul sito www.scuolecivichemilano.it): per un meccanismo
di voto ponderale il Comune di Milano manterrà sempre nel suo Consiglio
di amministrazione almeno il 51% dei voti, anche se nominerà un solo
rappresentante (quest'ultimo avrà un tipo di voto pesante, mutuato da
una logica legata ai patti di sindacato, dalla logica societaria insomma).
Allora il problema non è la caratteristica pubblica del servizio (penso
alla formazione, alle biblioteche, a tutti quei servizi caratterizzati dal controllo
pubblico): credo invece sia importante capire che se si fa raccolta fondi questa
deve essere soprattutto chiara per il cittadino, che deve cioè poter
capire se sostiene un'amministrazione o se sostiene un progetto.
A questo proposito, in maniera molto simpatica, mi ha stimolato ma anche molto
preoccupato l'Assessore quando diceva che a Venezia con la raccolta fondi legata
ai musei si riesce a dare più soldi anche alle biblioteche. Questo è
sicuramente un elemento positivo perché si tratta di liberare risorse
(per quanto riguarda invece la questione degli autobus turistici, secondo me
si tratta di tassazione), ma a mio avviso quello che è estremamente importante
capire è che quando si decide di raccogliere fondi bisogna dotarsi di
strutture la cui missione, il cui bilancio, i cui valori devono essere trasparenti,
dichiarati fin dall'inizio; e che ciò che si chiede a chi per qualunque
motivo condivide un progetto è di sostenere, di cofinanziare il valore
aggiunto di questo progetto, che, in alcuni casi, può essere la sopravvivenza
stessa di un bene (penso, ad esempio, ai progetti di restauro).
Su questo io sono molto categorico, soprattutto se pensiamo a donazioni che
siano anche tributariamente detraibili, altra questione fondamentale da inserire
in questo ragionamento.
Oggi noi chiediamo alle imprese di donare per fare una determinata cosa, e credo
che chi dona abbia diverse motivazioni, tra cui l'immagine, il business, il
dialogo con l'amministrazione; ma se creiamo domani un grande mercato delle
donazioni basato essenzialmente sulla detraibilità, con la crescita delle
fondazioni universitarie, sanitarie ecc. rischiamo di bruciare il fund raising
delle piccole istituzioni che invece hanno una specifica missione, un valore
da salvaguardare.
Giorgio Busetto
Vorrei dire qualcosa su questa questione della Fondazione e della maggioranza
con il voto ponderale.
Io ho l'esperienza di questa Fondazione, e non ho dubbi che sia un'esperienza
forte, un caso molto interessante perché c'è un servizio pubblico,
c'è un'amministrazione che è nominata da enti pubblici, ci sono
dei denari pubblici che vengono usati per dare il servizio pubblico, però
non ci sono i vincoli procedurali del pubblico, e quindi c'è una strumentazione
corrente molto semplice. In più c'è una struttura che mette in
capo al management tutta la responsabilità sull'entrata oltre che sull'uscita,
e collegare entrata e uscita secondo me è un fatto fondamentale; non
solo, ma mette in capo allo stesso anche la politica di personale, che è
un altro fatto fondamentale. Quindi non c'è dubbio che questa è
una strada interessante e la fondazione di partecipazione la allarga moltissimo,
in realtà.
Però il discorso non è comunque così semplice, nel senso
che il fatto di avere il controllo del Comune, per esempio, che cosa vuol dire
sotto il profilo istituzionale? Cioè che cosa è il Comune, che
struttura è? È la Giunta, è il Consiglio, è l'insieme
della Giunta, del Consiglio, dei dirigenti e così via. Ma chi è?
Perché poi le persone giocano un ruolo molto importante, e più
ancora la cultura delle persone. Per esempio noi oggi, in presenza di un governo
di destra, vediamo che il concetto di democrazia può essere radicalmente
differente tra destra e sinistra. La destra ritiene che il voto abbia un peso
sufficiente a giustificare qualsiasi cosa, senza limiti; la sinistra ritiene
che la democrazia non sia soltanto un fatto di voto, ma anche di segnalazione
di percorsi, e che ci siano pesi e contrappesi di natura istituzionale che producono
in una democrazia matura una notevole frammentazione di poteri. C'è una
grossa differenza, che si ripropone automaticamente, per esempio nel caso citato.
Chi è che decide? È il Sindaco, o bisogna dire che è il
Comune, che è la maggioranza? Non è cosa, secondo me, di poco
momento. Le tavole statutarie di questo tipo di organizzazioni sono fondamentali.
I Comuni in generale non applicano abbastanza le leggi di decentramento, perché
c'è una fortissima resistenza da parte dei dirigenti a separare le loro
strutture dalla casa madre; a me molte volte dei colleghi, anche di grande valore,
hanno fatto dei ragionamenti che si concludevano col dire: "Preferisco
avere a che fare con l'Assessore di turno, piuttosto col trombato Tal dei Tali
che verrebbe messo a presiedere i musei o le biblioteche o la cultura e così
via". Ripeto, secondo me non è cosa di poco momento.
Anche qui alcune esperienze straniere sono molto interessanti: a volte esistono delle magistrature di governo a vita, per esempio, nel caso delle istituzioni culturali, proprio per evitare in qualche modo di avere delle oscillazioni determinate da circostanze particolari. Quindi io credo che la strada sia quella, e vada allargata e allungata sempre di più, però è una strada che richiede ancora la costruzione di una cultura. E credo che su quella strada vada portato tutto il servizio che adesso è gestito dalla pubblica amministrazione: non ha senso cioè che l'amministrazione pubblica gestisca i musei, le biblioteche, gli archivi, i servizi culturali e così via, così come non ha senso secondo me che queste strutture non abbiano una loro autonomia assolutamente radicale, perché altrimenti si genera molta confusione. Nel sistema dello Stato, per esempio, la gestione del museo si mescola al servizio di tutela, mentre si tratta di due funzioni che vanno assolutamente tenute distinte, anche se nella gestione rientrano comunque tutta una serie di elementi di tutela.
Antongiulio Bua
Su questo problema io posso portare la mia esperienza, cioè il modo in
cui mi sono comportato in tutte le occasioni in cui sono stato chiamato ad affrontare
questa situazione. In particolare nell'ultima esperienza della Fondazione Scuole
Civiche (può essere considerata un'esternalizzazione), che ha 200 dipendenti
dei quali 140 arrivano dal Comune, mi sono trovato ad affrontare il problema
del rapporto coi dirigenti; spero che in BEIC la cosa non si ripeta, nel senso
che si assumerà tutto il personale da zero e quindi con una diversa logica.
Credo però che la ricetta per risolvere una parte dei problemi posti
sia la questa: le convenzioni che regolano il rapporto tra amministrazioni e
fondazioni che gestiscono i servizi devono avere un orizzonte molto ampio, devono
nascere cioè con la prospettiva di sopravvivere all'alternanza.
Nel caso delle Scuole Civiche abbiamo stipulato una convenzione (che regola
tra l'altro la qualità del servizio) di durata trentennale: il Consiglio
che l'ha adottata sapeva che, molto probabilmente, questa convenzione sarebbe
stata gestita in parte dall'opposizione e in parte dalla maggioranza. È
stata forse l'unica o una delle pochissime delibere che siamo riusciti a costruire
all'unanimità, pur nel rapporto difficilissimo in Commissione (e portare
una delibera all'unanimità nel Consiglio di un Comune un po' burrascoso
come quello di Milano non era una operazione facile). Per cui il governo della
Fondazione è fortemente collegato al governo della città, nel
senso che gli amministratori sono espressi dal Sindaco. Questi ultimi d'altra
parte hanno solo potere di indirizzo, perché è il Consiglio comunale
che decide gli scopi, e il Direttore generale (in questo caso io) ha poteri
molto ampi, come nella gran parte delle fondazioni. Però all'interno
del bilancio preventivo io ho il vincolo assoluto al pareggio del bilancio e
al raggiungimento degli obiettivi della convenzione (altrimenti il 30% dello
stipendio se ne va). La convenzione tuttavia è trentennale, in una logica
in cui gli amministratori cambiano; ora la Fondazione è giovane, e il
suo primo Presidente ha dovuto dimettersi dopo nove mesi, perché nominato
Assessore; ma di norma il suo Consiglio di amministrazione resta in carica cinque
anni, come il Consiglio comunale, e il Sindaco vi nomina i rappresentanti di
competenza del Comune, mentre gli altri sono nominati dall'Assemblea di partecipazione.
Tornando al tema del fund raising (che mi sembra molto interessante), credo
che uno strumento importante sia l'associazione alla fondazione di partecipazione.
Per esempio nel nostro caso tra i possibili soci della Fondazione, oltre ai
più importanti (fondatori, sostenitori ecc.), ci sono sia i dipendenti,
sia gli studenti. Si tratta secondo me di un interessante elemento di raccolta
fondi, e quindi di una potenzialità della fondazione di partecipazione.
Però occorre chiarire che non siamo all'interno di una vera e propria
associazione: io partecipo perché condivido un progetto e posso, eventualmente,
suggerire dei nomi che possono dare un contributo ed entrare nel Consiglio di
amministrazione, ma non governo la struttura. La Fondazione di per se stessa
ha un tipo di governo molto rigido, dettato dallo statuto, non è come
l'associazione che può cambiare i suoi scopi o i suoi indirizzi, sia
nel caso delle grandi associazioni come WWF, FAI, Italia Nostra, che in quello
delle più piccole, come l'associazione della squadra di calcio, o del
club di sci o di vela: la Fondazione richiede alla sua associazione di condividere
un progetto e di lavorare per quello, ma non permette di governare la Fondazione.
Il governo della Fondazione, come ripeto, è legato ad uno statuto molto
rigido, con maggioranze rigide e rapporti di poteri molto rigidi tra il Consiglio
di amministrazione e il management della Fondazione stessa, che può essere
cambiato solo con meccanismi ugualmente molto rigidi e radicali se non corrisponde
a determinati risultati. Se la convenzione non ha una prospettiva temporale
ampia la sopravvivenza diventa complicata e difficile da gestire, perché
giorno per giorno c'è l'incidenza sul progetto, e senza un progetto culturale
di un certo respiro il fund raising non si può fare.