"12. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
dalla cooperazione all'integrazione
Tavola rotonda
Ruberò qualche attimo alle cose che desidero dire sul tema della Tavola Rotonda - penso d'altra parte che ormai il pubblico sia abbastanza stanco, e meno cose si dicono, e più sono varie, meglio è - per fare una brevissima parentesi sentimentale a proposito del libro dedicato ad Angela Vinay.
Ricordo l'incontro (non saprei dire se fu l'unico) che ho avuto con lei: credo corresse l'anno 1982, sotto i portici dell'Università di Pavia, in una giornata umida. Siamo in tempi in cui i ministri piangono pubblicamente, e dunque si è stabilito che non è disdicevole commuoversi; la commozione che mi ha preso nel sentir parlare di Angela Vinay, e che provo nel ripensare a quell'incontro, mi fa sospettare che forse di questa donna mi sia innamorato, e che questo abbia probabilmente determinato in qualche misura anche il mio allora nascente interesse per le biblioteche.
A proposito del nostro tema, invece, faccio prima di tutto una brevissima dichiarazione
di carattere generale, come quella che ha fatto poco fa Lozza, e che Padoa Schioppa
ha ripreso. Credo anch'io che quando si parla di pubblico e di privato sia ovvio
che non si debba badare tanto alle forme istituzionali (la Querini è
privata, ma indubbiamente è pubblica) quanto guardare agli obiettivi.
Va anche ricordata la differenza che operava Lozza tra interessi privati e capacità
pubblica di regolazione, cioè capacità di definire una linea politica
complessiva: quello che in alcuni casi è mancato in Italia in maniera
clamorosa, con la confusione tra strumenti diversi: costituzione di organismi
di coordinamento, indicazione di obiettivi generali, predisposizione di incentivi.
E su tutto una prevaricazione centralistica, che ha spesso svuotato di senso
gli interventi. Sicuramente tutto ciò ha avuto un ruolo molto sgradevole
e penoso nell'evoluzione delle possibilità e dell'offerta del nostro
sistema bibliotecario, per parlare solo di questo.
In quello che dirò nei pochi minuti che ho a disposizione non ci sarà niente di originale, ma solo un tentativo di mettere a punto alcune idee. Credo che ci possiamo trovare tutti d'accordo nel classificare i rapporti tradizionali pubblico-privato nell'area delle biblioteche e dei servizi bibliotecari secondo uno schema semplice: sono compiti del pubblico (nel senso detto prima) la raccolta, la conservazione, la garanzia dell'accesso e - cosa che forse si dimentica - quella che si può definire regolazione dell'accesso. Una biblioteca, nella sua fisicità e attraverso il materiale che mette a disposizione, rappresenta anche un programma culturale: traccia i limiti della conoscenza e delle indagini possibili. Insomma, visto che un bibliotecario può assomigliare a un cameriere, il menù decreta di cosa si nutrirà il cliente. E' dunque inevitabile che tra le funzioni della biblioteca vi sia una componente di regolazione, di controllo sia pure indiretto, che naturalmente si può esplicare in diverse forme, una delle quali è il rapporto tra bibliotecario e utente.
Al privato rimane la gestione di certi strumenti, la fornitura del libro, naturalmente, da parte chi lo edita, di chi lo stampa e di chi lo vende, di chi lo rilega e via dicendo. Il diritto d'autore è in un certo senso il ponte fra queste due funzioni, tra questi due mondi.
Ma ultimamente che cosa è successo? Di certo tre sviluppi importanti: innanzitutto l'aumento enorme dei costi, che genera un bisogno di ricorrere direttamente al privato o a criteri di gestione privatistici in una gamma di situazioni - si va da operazioni invasive come quella della Sala Borsa, a interventi privatistici limitati solo a certi aspetti della gestione, facendo salvi gli obiettivi pubblici, come abbiamo visto ieri con Ciccarello relativamente al pagamento di alcuni servizi. Tutto questo è ormai entrato nell'ordine delle cose accettate.
Un secondo elemento importante è l'aumento della complessità tecnica, che induce a delegare al privato la predisposizione degli strumenti: un caso clamoroso è proprio quello di SBN. Forse bisognerebbe fare un convegno a porte chiuse su questo, fingendo che non ci siano i rappresentanti dell'ICCU, per discutere e capire i problemi di controllo da parte dell'organismo pubblico su privati che hanno una competenza quasi impenetrabile, temo, in questi settori. Non si tratta davvero di accusare i controllori di inefficienza, ma di chiedersi come costruire meccanismi istituzionali di controllo più efficienti; argomento che meriterebbe troppo tempo per svolgerlo anche solo a grandi linee.
Il terzo elemento è costituito dalla rivoluzione dell'informazione e della comunicazione: qui dal punto di vista dell'economista il primo, più straordinario impatto è lo spostamento del ruolo rispettivo dell'editore e della biblioteca. Il mercato cambia, e come diceva poco fa Ellis Sada, la gestione dell'informazione elettronica è profondamente, strutturalmente diversa dalla gestione del libro: il libro lo si va a comprare in libreria, l'editore deve renderlo disponibile in tanti punti vendita. La sua distribuzione è enormemente frammentata; e per contro il prezzo è unico, e a tutti noto. Nell'informazione elettronica c'è invece una tipica situazione oligopolistica, e spesso di oligopolio bilaterale, con un rapporto uno a uno, e una contrattazione che si deve svolgere di volta in volta. L'informazione è asimmetrica. Chi vende ha informazioni molto più precise di chi compera: l'università media non sa neppure quali dei suoi dipartimenti stanno utilizzando (e pagando) una certa risorsa elettronica, e tanto meno sa quali altre università e quali altri dipartimenti al di fuori lo fanno; il venditore invece lo sa perfettamente. Tutto questo comporta un cambiamento forte nelle relazioni tra biblioteche ed editori, e conosciamo tutti alcune delle ricette che potrebbero aiutarci ad uscire da questa situazione.
Il cambiamento influisce su altre questioni, come per esempio la conservazione dei documenti. La conservazione cambia, credo, almeno in due modi importanti. Il primo è che l'editore di risorse elettroniche tende a diventarne anche il conservatore e il gestore per l'eternità, mentre la biblioteca rischia di perderne il controllo; senza contare le difficoltà tecniche che pure sono tutt'altro che trascurabili; il secondo è che la necessità di integrazione tra biblioteche e la crescita del patrimonio rendono impossibile, insensata e antieconomica la conservazione di tutto da parte di tutti: bisogna decidere chi conserva che cosa. Chiunque sia coinvolto in imprese consortili di acquisto di risorse elettroniche sa che questo è un problema non da poco: va bene, siamo d'accordo che va tenuta una sola copia cartacea, ma naturalmente è la mia.
Consideriamo un altro aspetto. Nel nuovo mondo è vero che la biblioteca piccola può acquistare una visibilità uguale a quella della biblioteca grande, ma è vero anche che sia la piccola che la grande perdono in qualche misura il controllo del loro posseduto: una volta messo in linea in full text viene visto non importa da chi, non importa da dove. La biblioteca può forse diventare anche un portale, un luogo di accesso non più ai libri che vi sono collocati ma all'informazione che sta dappertutto; e allora cambia la funzione del bibliotecario, in particolare la funzione di regolazione di cui si parlava prima, la biblioteca non regola più, o regola in modo diverso. Il bibliotecario può diventare così non tanto la guida alla sua biblioteca, quanto la guida al mondo delle biblioteche; questo nel caso delle università o delle biblioteche scientifiche diventa particolarmente importante, perché se il docente non è più capace di districarsi, lo studente lo è ancora meno. Qui riemerge, e credo meriti almeno un accenno, il punto che veniva sollevato ieri sulla democrazia e l'accesso: chi è fuori è fuori, e chi è dentro è dentro. E' allora un dovere primario di chi gestisce le risorse documentali aiutare lo studente, e qualunque utente, a muoversi nel mondo della rete, a trovare quello che gli serve davvero. La funzione di reference del bibliotecario diventa fondamentale anche per il docente.
Se queste sono le conseguenze dei cambiamenti nel rapporto tra biblioteca ed editore, va ancora aggiunto che le università hanno forse qualche possibilità di approfittare delle nuove tecnologie per modificare la situazione a loro vantaggio. In particolare, possono cercare di riprendere il controllo della produzione dell'informazione: qualcuna lo sta già facendo, molte non ci riescono ancora, ma questo oggi è uno sviluppo possibile.
Le combinazioni della sequenza di parole che una mente diabolica ci ha proposto come tema (pubblico e privato, integrazione e/o interazione) potrebbero essere sviluppate in direzioni infinite. Per fare un solo esempio che tocca l'università, meriterebbe parlare dei rapporti nuovi rispetto al passato tra gestione della biblioteca e didattica: il modo in cui un docente viene coinvolto dalle scelte della biblioteca e il modo in cui la biblioteca è coinvolta dalle scelte del docente nelle indicazioni agli studenti sta diventando molto diverso da quello che era in passato.
Ma vorrei concludere con una domanda. Oggi le funzioni fondamentali che elencavo
all'inizio (l'acquisizione, la conservazione, la regolazione dell'accesso) stanno
ancora insieme nelle biblioteche: con la condivisione delle risorse elettroniche,
quando ci muoveremo tutti sulla rete, sarà ancora così o si divideranno?
E ci sarà qualcuno che conserva, qualcun altro che fornisce l'accesso,
qualcun altro che lo regola, inventando portali e svolgendo funzioni di reference?
Lo abbiamo visto col telefono, la luce elettrica, i servizi ferroviari: funzioni
che abbiamo sempre pensato come necessariamente connesse si stanno dividendo;
può darsi che anche le funzioni svolte tradizionalmente dalle biblioteche
si dividano, e non è detto che questo sia un male.