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"12. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
dalla cooperazione all'integrazione

Tavola rotonda

PUBBLICO E PRIVATO: INTEGRAZIONE E/O INTERAZIONE?

Note in margine al progetto della Biblioteca europea di Milano

Antonio Padoa Schioppa
presidente dell'Associazione Milano Biblioteca del 2000


Gli interventi che abbiamo ascoltato solleciterebbero tante considerazioni: ma nel breve tempo che ho a disposizione mi limiterò a presentare il progetto che molti dei presenti più o meno direttamente già conoscono, e che è l'unico che mi dà titolo a prendere parte attiva a questo interessantissimo convegno. Personalmente ho sempre ritenuto di partecipare anche al progetto della Biblioteca Europea di Milano - al quale lavoriamo da quattro anni - in primo luogo come utente di biblioteche e come cittadino. In una frase bellissima di Angela Vinay, che poco fa Giovanna Merola ci ha letto, si parla di "diritto del cittadino al libro": per me questa è un'espressione che andrebbe messa in epigrafe.

La fase attuale della lunga storia delle biblioteche è eccezionale, sia in Italia che all'estero. Di fronte alle affermazioni che si sentono ripetere continuamente - e non vi dico quante volte le ho sentite in questi ultimi anni - per cui investendo mezzi ed energie sulla progettazione di nuove biblioteche investe su istituzioni del passato, è agevole dimostrare che la realtà è completamente diversa. Non c'è mai stata tanta riflessione teorica, concreta, progettuale - in Italia e nel mondo - sulle biblioteche di ricerca e di pubblica lettura quanto ora, e alcuni grandi progetti che sono nati e che stanno nascendo ne sono la testimonianza: da Parigi a Londra, da Alessandria d'Egitto a L'Aja, da Lione a Los Angeles, da San Francisco a Tokyo, da Amsterdam sino ai progetti di casa nostra, a Torino, a Bologna, a Milano.
Questa realtà tra l'altro si manifesta anche in una vertiginosa progressione delle professionalità richieste al bibliotecario (e basterebbero già le relazioni di questi due giorni per rendercene edotti), per cui le competenze si moltiplicano e si frastagliano; e la progressione, l'evoluzione delle conoscenze è tale che ritengo che una quota non irrilevante del tempo di un bibliotecario oggi vada e debba andare alla propria autoformazione, un processo che ormai si conosce anche in altre professioni, e questo a me sembra un elemento positivo. Del resto un professionista che si rispetti investe la prima ora della sua mattinata per capire cosa il legislatore ha partorito la notte precedente. Questo investimento richiede del tempo, ma solo investendo in conoscenza si arriva poi a discriminare ciò che è importante dal tanto che non lo è; il che vale sicuramente anche per le biblioteche. In questo senso anche il mondo dei bibliotecari, straordinariamente vivo nel nostro Paese, è un mondo che si sta trasformando sotto i nostri occhi.

Vengo al tema, e dico due parole sulle finalità del progetto Biblioteca Europea. C'è ormai un sito, www.beic.it (BEIC è una formula che poi, se la cosa andrà avanti, sostituiremo con una più elegante attraverso una gara: significa Biblioteca Europea d'Informazione e di Cultura), dove trovare alcuni dei materiali elaborati in questi ultimi tre anni, insieme con molte informazioni. Mi limiterò quindi a dire che l'obiettivo di questo progetto è estremamente ambizioso: creare anche in Italia una grande struttura bibliotecaria a scaffali aperti, con una dotazione a regime dell'ordine di mezzo milione di opere (il che vuol dire circa un volume doppio di pezzi) relativa a tutti i rami del sapere, perché l'universalità è un carattere essenziale del progetto, che prevede una stretta integrazione tra il libro fisico e i moduli informatici. Il libro infatti per fortuna non scomparirà nei prossimi cinquant'anni e auspicabilmente anche più in là, come sanno coloro che hanno studiato la questione, perché consente delle operazioni di lettura, di riflessione sulla carta e sulla parola che nessuna schermata di computer può permettere. Per moduli informatici si intendono non solo le reti di banche dati bibliografici, ma anche le digitalizzazioni full-text; un altro aspetto fondamentale del progetto è infatti quello della digitalizzazione a testo pieno delle opere della cultura mondiale che non siano state ancora digitalizzate e che la nuova biblioteca intenda acquisire. Questo richiederà decenni di lavoro, perché non si tratta solo di fare la digitalizzazione ma di indicizzare e, caso per caso, di usare delle tecnologie differenziate a seconda che il carattere possa essere riconosciuto o non riconosciuto: ci sono infatti infiniti problemi e tutta una serie di opzioni e di tecnologie informatiche da considerare al riguardo, problemi che molti i presenti certamente conoscono
L'obiettivo fondamentale del progetto Biblioteca Europea di Milano si connette con alcune realizzazioni internazionali - tra le quali quella della Bibliothèque de France; naturalmente non mi riferisco all'aspetto di biblioteca nazionale che non ci interessa, perché l'Italia ha già due Biblioteche Nazionali e non è certo il caso di pensare ad una terza, ma al modulo Haut-de-Jardin, cioè al settore di libri a disposizione a scaffali aperti, che pur con i difetti che la Biblioteca di Francia presenta (e che ben conosce chi ha acceduto con qualche fatica e con qualche rischio, anche anatomico, ai suoi locali) è pur sempre una meravigliosa realizzazione. Non conosco, in Italia, un luogo dove si possa altrettanto facilmente accedere ai principali testi di letteratura italiana, e pensate cosa vuol dire questo per la cultura francese che ha la tendenza a pensare che ciò che è al di fuori dell'Esagono non esiste: hanno fatto degli sforzi commoventi, anche se questa limitazione culturale pur sempre esiste.
Chi ha lavorato in una struttura del genere - e ce ne sono diverse a livello internazionale - sa che lì si possono compiere lavori intellettuali che in nessuna biblioteca storica, in nessuna biblioteca universitaria, in nessuna biblioteca civica, in nessuna biblioteca speciale si possono fare altrettanto bene: sono infatti possibili l'incrocio delle conoscenze, la fecondazione incrociata, la ricerca interdisciplinare. Questo significa che il nostro obiettivo sta tra la public library di livello alto e la biblioteca di ricerca, e l'originalità del progetto sta proprio in questa connessione, che è naturalmente problematica. Ovviamente non ci saranno le cento copie di Camilleri; tra l'altro la questione del prestito è molto delicata, e personalmente sono convinto che nel settore a scaffali aperti, quello tematico (perché ci sarà anche un settore di prima accoglienza molto vasto e un settore di deposito), il libro ci deve sempre essere: non si può cercare La critica della ragion pura e non trovarlo perché un signore di Cinisello Balsamo se lo è portato a casa. Il prestito ci potrà essere per quei volumi dei quali si acquistino più esemplari e per i volumi al di fuori della consultazione. E la digitalizzazione full text consentirà di accedere a molti volumi anche da postazioni remote.

Vengo ora all'ultimo punto, il rapporto tra pubblico e privato, con alcune brevissime considerazioni: mi sento abbastanza in consonanza con le osservazioni di Maurizio Lozza, nel senso che ritengo che le finalità di un simile progetto (ma lo stesso discorso vale per altri aspetti, comprese le biblioteche universitarie e le biblioteche storiche) sono finalità perseguibili solamente con un'assunzione di impegno di carattere pubblico. Del resto è così in tutto il mondo e non può essere diversamente, perché per poter mantenere strutture bibliotecarie con alcune centinaia di collaboratori occorrono mezzi adeguati. Una biblioteca del tipo di quella che noi sogniamo costerà circa 30 miliardi all'anno, che sono poi alla fine pochi, perché una piccola università italiana, delle 70 che esistono, costa 150 miliardi all'anno solo di stipendi; è chiaro che per una struttura di livello internazionale, che colma una grande lacuna del sistema bibliotecario nazionale, si può fare la scelta politica di spendere 30 miliardi all'anno, ma ci vorrebbe un capitale di 1000 miliardi per garantire interessi adeguati alla copertura di una spesa di gestione di questa entità. Bisogna allora immaginare fondazioni di partecipazione con apporti continui. Questo vuol dire, allora, che deve intervenire solo il pubblico? No, in due sensi: prima di tutto, c'è il modello gestionale (come è stato detto da Busetto): io sono convinto che attraverso lo strumento, per esempio, delle fondazioni - ma ce ne sono anche altri - noi dobbiamo innestare in un panorama di istituzioni che hanno una finalità pubblica, - e che hanno un sostegno politico e finanziario degli enti pubblici: non solo lo Stato, ovviamente, ma anche Comuni, Province, Regioni - elementi di efficienza che indubbiamente la struttura privatistica garantisce meglio. Ciò non deve impedire tuttavia di tener presente che ci sono finalità di carattere pubblico che volutamente vanno al di là del rapporto domanda-offerta, offrendo anche cose che la domanda attuale non richiede ma che potrà richiedere domani, se si ritiene che nell'ottica della centralità della cultura non si debba solo rispondere alle domande puntuali e presenti ma anche dare una prospettiva potenziale: questo è un elemento che una struttura di tipo pubblico può garantire meglio.
D'altra parte ci deve essere anche una partecipazione diretta di privati (del resto in un certo senso dobbiamo ormai considerare private anche le fondazioni come la Cariplo, pur se ovviamente si tratta di un privato molto particolare rispetto alle imprese). La detassazione a cui ha ora accennato l'onorevole Castellani può e deve costituire uno strumento a questo fine. Ritengo però che siamo ancora molto indietro, in quanto c'è un elemento culturalmente molto discutibile nella scelta affidata al livello politico di quali debbano essere le istituzioni buone e quelle cattive; inoltre il tetto stabilito è assolutamente insufficiente, perché 270 miliardi sono una piccola cifra; ci sono insomma dei grossi limiti che vanno superati. Ma la logica è giustamente quella dell'incentivazione, perché i privati saranno interessati alla detassazione.
Non illudiamoci però - come molti si illudono - che una struttura come una biblioteca possa col project financing trovare dei ritorni tali da potersi automantenere; questo andrà bene per il Teatro alla Scala, che forse dovrebbe automantenersi perché è un teatro, offre degli spettacoli, vende dei biglietti: tuttavia non lo fa, non riesce a farlo e non so se lo potrebbe fare. Ma in una biblioteca, se è giusto che alcuni servizi siano venduti, molti altri non lo devono essere; e comunque un ritorno del 10% rispetto alle spese sarebbe già un miracolo. Bisogna tener presente dunque che è inutile illudere e illudersi che il project financing possa risolvere il problema. Con tutto ciò l'approccio di cui si è detto è utile, perché aiuta a programmare tenendo conto del valore ancora troppo trascurato dell'efficienza.


Copyright AIB, 2002-02-21, ultimo aggiornamento 2002-02-21 a cura di Marcello Busato
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/veneto/vinay12/padoa01.htm

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