"12. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
dalla cooperazione all'integrazione
Tavola rotonda
PUBBLICO E PRIVATO: INTEGRAZIONE E/O INTERAZIONE?
Alessandro Bertoni
Direttore del Sistema Bibliotecario di Ateneo dell'Università Ca' Foscari
di Venezia
L'obiettivo di fondo dell'odierna Tavola Rotonda potrebbe essere quello di fare finalmente emergere - e forse un economista lo potrebbe fare meglio di me - ciò che le biblioteche nel nostro Paese rappresentano da un punto di vista economico. L'anno scorso ho avuto l'occasione di mostrare a questo stesso tavolo alcuni sintetici dati sulle biblioteche delle università, da cui emergeva chiaramente che le biblioteche accademiche costituiscono già un valore consistente. Un valore rilevante, direi su scale usate nella legge finanziaria, in quanto molto vicino a mille miliardi di spesa, per il funzionamento delle biblioteche del solo settore universitario. Se aggiungiamo i dati relativi alle biblioteche pubbliche, procurati ieri da Domenico Ciccarello, ed operiamo un confronto con la Gran Bretagna, vediamo che anche in quel settore le risorse in campo in Italia sono sicuramente consistenti, pur se inferiori ad altre nazioni. Ancora, se aggiungiamo le biblioteche statali, le numerose biblioteche di altre tipologie, che valori economici rappresentano le biblioteche? Non è certo un'entità indifferente: raggiunge valori tali da poter essere sicuramente scritta nelle tabelle riassuntive di un bilancio dello Stato; questi valori diventano ancora più rilevanti soprattutto se consideriamo ciò che il mondo delle biblioteche muove come indotto, o se iscriviamo il valore delle biblioteche nel settore più ampio di cui esse sono l'indotto.
Infatti le biblioteche acquistano, rappresentando una parte consistente per il mercato. Anche se - e qui apro un inciso volutamente polemico - nel settore multimediale o delle risorse digitali comperano meno di quello che potrebbero, poiché il problema dell'IVA, già sollevato l'anno scorso in questa sede, è ancora irrisolto: è più facile così comperare in edicola un CD-ROM con allegato un dépliant di nome "Espresso" o "Panorama", che non comperare il CD-ROM da solo. Se lo acquisto separatamente devo pagare un'aliquota IVA del 20%, mentre il costo come "allegato" (definizione oramai solamente formale) a settimanali e quotidiani è aumentato in termini di IVA di solo il 4%. Queste considerazioni porterebbero ad affrontare il caso tutto italiano del supporto economico al settore editoriale, che meriterebbe ben altra attenzione di quella che oggi vi possiamo dedicare.
Parliamo sempre più spesso di new economy: ma chi più delle biblioteche si trova all'interno del processo di trasformazione, di nascita e sconvolgimento della new economy; chi prima delle biblioteche ha avuto Internet tra i suoi principali strumenti? Ovunque gli operatori dell'informazione, e primi fra questi i bibliotecari, si sono messi ad operare con la rete, sviluppando abilità ed utilizzi più di altre professioni. Anche in Italia siamo andati più veloci nell'accesso a Internet, come bibliotecari, che non nel realizzare servizi, strutture e infrastrutture adeguate: ma la situazione particolare italiana non sorprende, poiché i nostri patrimoni culturali (non ancora adeguatamente distinti concettualmente dalle attività culturali) sono in realtà un fardello più grande, più pesante di altre nazioni. Ciò è vero anche sul versante bibliotecario: abbiamo infatti enormi patrimoni librari, storicamente stratificati, che stanno in realtà più in depositi che in vere e proprie biblioteche. L'assenza di una politica bibliotecaria nazionale andrebbe colmata con interventi, non centralistici, tenendo doverosamente conto della peculiarità italiana, ed iniziando quindi a fare delle scelte finora rinviate. Non possiamo che rallegrarci di operazioni come quella della BEIC a Milano, che rappresentano anche un momento di rottura rispetto alla stasi cui siamo abituati in questo settore; dobbiamo tuttavia porci il problema se davvero tutte le nostre biblioteche storiche potranno nel futuro continuare a funzionare, e non dico neppure ai livelli migliori. Abbiamo cioè le risorse in questo Paese per far funzionare tutte le biblioteche, o per mettere a servizio tutto il patrimonio di cui disponiamo dal punto di vista librario? Lo pongo come punto interrogativo, non ho ovviamente la risposta. Con estrema malizia, c'è chi dice che in Italia avremmo forse bisogno di un Istituto di patologia delle biblioteche altri che stiamo loro cambiando nome, in mediateche, per dimenticarcene. Possiamo a mio avviso continuare a chiamarle biblioteche, così come accaduto quando dal manoscritto si è passati alla stampa, non inventiamoci termini nuovi sostanzialmente fuorvianti, che rischiano tra l'altro di deviare fondi e finanziamenti verso improbabili mediateche.
Credo che come bibliotecari e come amministratori si sia ormai capito che all'interno di ciascuna istituzione la biblioteca va intesa non più come patrimonio, ma come struttura di servizio. Ma così come le auto per muoversi da una città all'altra hanno bisogno dell'autostrada, questa struttura di servizio ha bisogno di infrastrutture di supporto a livello nazionale. Su questo piano forse, senza fare polemiche, dovremo ragionare anche sulle mancate integrazioni, sulle mancate interazioni, su evidenti errori del passato, quando - non avendo voluto inventare quell'uovo di Colombo che sarebbe stato la catalogazione ex ante - abbiamo costretto per decenni, in assenza di una bibliografia nazionale tempestiva, una marea di bibliotecari a occuparsi di catalogazione e non di servizi all'utenza.
Abbiamo bisogno non tanto di sovrastrutture di livello nazionale, ma di strutture e di infrastrutture che potenzino le reti, il circuito di conservazione, il livello di comunicazione, il rapporto informativo e documentale con l'estero, in una prospettiva europea. Tuttavia il nostro sistema-Paese non ne sembra convinto, le assenze su questo piano sono più che evidenti a chiunque operi - e a qualunque titolo - in biblioteca.
Concludo ritornando al mio primario compito di rappresentare il Rettore che mi ha delegato: vorrei qui mostrare cosa vuol dire concepire le biblioteche come struttura, e non più come semplici luoghi di raccolta del patrimonio e di erogazione di servizi di basso profilo. L'Università Ca' Foscari ha sviluppato un programma di intervento che ha come obiettivo principale la riduzione delle proprie biblioteche a quattro grandi strutture di area, che troveranno spazio in tre edifici (quindi con le massime economie di scala). Questo intervento - illustrato sinteticamente dalla presentazione in powerpoint disponibile nella saletta accanto - si colloca all'interno di un piano di reinsediamento urbano che mira a risolvere i problemi comuni a tutti gli atenei italiani, prevalentemente inseriti in contesti cittadini storici; Venezia tuttavia ha il vantaggio di presentarsi più che altre città come un campus naturale, priva com'è di traffico automobilistico. Il raggruppamento in biblioteche di area di servizi bibliotecari ora frammentati in un disomogeneo insieme di microstrutture è testimonianza di un fatto sostanzialmente innovativo: il problema delle biblioteche è affrontato nel mio Ateneo con l'obiettivo di fondo di una soluzione strutturale. I numeri delle nostre biblioteche sono elevatissimi in confronto a quelli delle biblioteche universitarie inglesi (come ricorderà chi era presente l'anno scorso): noi abbiamo 2200 cosiddette biblioteche, mentre in Inghilterra, anche se le università sono molto di più delle nostre, ce ne sono 600. Ebbene, Ca' Foscari sta lavorando per costruire 14.000 mq di strutture bibliotecarie che, se rapportate alla dimensione del nostro Ateneo, sono un obiettivo difficile ed impegnativo. Obiettivo che fa parte di traguardi che non possono essere raggiunti senza l'adozione di politiche d'intervento nelle singole istituzioni, e senza quel progetto di interazione e di integrazione interistituzionale che è il tema di questa mattina.
Un'ultima considerazione viene immediatamente spontanea dal raffronto con altri
settori: è notizia di questi giorni l'idea di affidare a Renzo Piano
lo sviluppo di un modello delle strutture ospedaliere cui fare riferimento a
livello nazionale, con un'operazione del Ministero della Sanità insieme
al Ministero per i Beni Culturali. Perché - analogamente - non avviare
lo studio di modelli per strutture e infrastrutture bibliotecarie? Non negli
stessi termini, ovviamente, non certo affidandolo ad un architetto come si trattasse
di sole opere edilizie o urbanistiche. Apriremmo forse un tema che in realtà
dovrebbe essere affrontato su ampia scala, trattandosi di sviluppare un sistema
di sistemi; ma credo che forse noi bibliotecari, per primi, abbiamo ancora poca
cultura organizzativa a questo livello.