"11. Seminario Angela
Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria
Le ragioni dei Centri
servizi
di Giorgio Lotto
direttore della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza
Mi pare di poter affermare che le ragioni dei Centri servizi nelle biblioteche di ente locale equivalgano in sostanza alle ragioni della centralizzazione nella cooperazione. Poste in un contesto di "Uscite" come avviene nel programma di questo Vinay, poi, tali ragioni si identificano negli elementi di economicità determinati dai centri servizi nella gestione delle reti di biblioteche pubbliche.
Per trattare di ciò peraltro vi è un problema di base da
risolvere. Si tratta di definire cosa siano i centri servizi.
Una collega toscana, pur impegnata nella cooperazione, in risposta ad un
appello della Commissione AIB "Biblioteche pubbliche" di cui sono
parte e che sta cercando di censire queste realtà, mi ha scritto
"non so esattamente cosa intendete designare con questo termine".
In verità non è che io sappia molto di più di quanto dice di sapere questa collega, tuttavia, fatta una disamina della casistica che ad oggi mi è nota, mi verrebbe da concludere che potremmo definire centro servizi quella parte operativa dell'attività di cooperazione che risponde ad esigenze di centralizzazione.
Mi pare di capire, per contro, che in qualche caso questi centri servizi hanno in sé il nucleo pensante della cooperazione. Personalmente trovo la cosa abbastanza rischiosa. Preferirei infatti attribuire ad essi il ruolo di "officina", realtà di servizio, supporto al lavoro delle biblioteche, al servizio impostato in termini di rete interattiva. Quel che temo è che la cooperazione finisca col delineare come priorità la creazione di prodotti biblioteconomici, riproponendo l'errore che ci ha visti per tanto tempo celebrare la centralità del documento al posto di quella dell'utente o cliente che dir si voglia.
L'impostazione "officina" ben si confà al fatto che i centri servizi si configurano come una opportunità per una esternalizzazione. Frequente è infatti in essi l'uso di contratti di fornitura, di contratti per prestazioni di lavoro, incarichi a cooperative, et similia.
Queste strutture hanno oggi assunto un certo rilievo fino a divenire erroneamente
sinonimo di cooperazione a causa della quasi totale sparizione dei consorzi
nel mondo delle biblioteche interbibliotecaria, sostituiti al massimo da
convenzioni tra enti locali. In sostanza dopo la legge 142/90 non si è
più riusciti a garantire veste giuridica alla cooperazione, mentre
è stato possibile ufficializzare uno degli snodi della cooperazione
stessa, quello della produzione di servizi alle biblioteche riconoscendo
l'attività di un ente (Comune, Comunità montana, Provincia)
a favore di altri enti.
Ancora, i centri servizi trovano naturale sviluppo a fianco di una cooperazione
che punta anche alla specializzazione nelle funzioni per qualificare il
servizio.
Di fondo, però, nella loro diffusione, ritengo ci sia la ben nota difficoltà, presente da tempo negli enti pubblici, ad assumere personale in ruolo a tempo indeterminato, per cui coralmente le amministrazioni locali ed i colleghi che a livello locale sono chiamati a gestire le biblioteche chiedono di produrre al di fuori delle loro sedi tutto quanto è producibile a sostegno del loro lavoro senza ledere il servizio. Se poi verificano che la catalogazione centralizzata o altri prodotti realizzati centralmente non solo li facilitano nell'attività quotidiana ma anche migliorano l'offerta della biblioteca e creano economie di gestione, allora non vi è solo consenso ma anche entusiasmo.
Aggiungerei che un altro elemento che sta favorendo la nascita e il consolidarsi dei centri servizi è il fatto che nella logica di razionalizzazione della spesa pubblica si registra la necessità degli enti locali sovracomunali (province e regioni) di eliminare i finanziamenti a pioggia ed avere un referente capace di far fruttare i trasferimenti a favore di progetti di area, capaci di produrre economie di scala.
Tutto questo avviene in un contesto che da tempo descriviamo in cui l'esigenza dell'utenza è diventata più qualificata e più articolata mettendo in difficoltà le strutture minori; la tecnologia ci ha offerto strumenti complessi nella loro applicazione creando la necessità di aiuti esterni alle biblioteche; l'esplosione del mondo dell'informazione richiede maggiore impegno nell'attività di mediazione; sono aumentati i costi di gestione delle biblioteche e conseguentemente anche la dimensione territoriale su cui ottimizzare l'investimento nel settore.
Peraltro la citata presunta sinonimia tra centro servizi e cooperazione
rischia di farci perdere l'idea di sistema, di un tutto in cui le parti
si muovono in modo ordinato verso obiettivi comuni.
Se si vuole si può anche passare dal termine sistema al termine rete,
facendo attenzione a non confonderlo con la rete telematica. A supporto
di una simile scelta vi sarebbe, tra l'altro, anche il fatto che, diversamente
da altri insiemi di biblioteche, quello delle pubbliche si presenta con
un tasso di ridondanza maggiore, con un livello di complementarietà
minore, quindi, di quello, per esempio, dei sistemi di ateneo.
Si può anche cambiare nome, dicevo, senza però dimenticarci
che questo centro servizi non è una bottega, un corpo estraneo alla
rete ed agli obiettivi delle singole strutture di base. Con un'espressione
di sintesi direi che ci può essere cooperazione senza centro servizi,
ma non l'inverso.
Tra l'altro è importante non dimenticare, avvicinandoci al cuore del nostro discorso, che l'efficienza, e, conseguentemente, a parità di spesa, una maggiore efficacia, si raggiungono aumentando il livello di coesione dell'insieme, di integrazione tra le biblioteche.
A questo proposito, e continuando a soffermarmi sulle parole, vorrei evidenziare
come, in particolare da alcuni mesi a questa parte, la parola integrazione,
parallelamente al termine globalizzazione, abbia assunto una valenza negativa.
Ciò in particolare in economia ed in sociologia, dopo i fatti di
Seattle [1].
Umberto Eco in una recentissima Bustina di Minerva [2],
stigmatizzava questo atteggiamento generalizzato, ricordando che importanti
strumenti di dialogo e di sviluppo sociale sono possibili solo in una logica
di globalizzazione.
Ad ogni modo, non vorrei che fraintendessimo: da noi centralizzazione, integrazione non significano negazione dell'istanza locale. Le nostre biblioteche pubbliche sono e rimangono centrate sulla comunità locale di riferimento. Nell'organizzazione di rete la diversità locale viene anzi letta come ricchezza dato che l'obiettivo del servizio rimane di tipo culturale e che la public library continua a mantenere nei propri cromosomi il carattere di istituto della democrazia.
Ma torniamo coerentemente al mandato che mi è stato qui attribuito, cioè a parlare di efficienza nella produzione del bene pubblico servizio bibliotecario.
Sergio Conti ama dire che, visti i bassi tassi di resa delle nostre biblioteche,
sarebbe il caso di puntare tutta la nostra attenzione sull'efficacia del
nostro agire professionale [3].
Non per confutare la tesi di Sergio Conti che ha anche intenti provocatori,
ma vorrei sottolineare che contenimento della spesa pubblica e sviluppo
dei servizi non possono convivere se non in una logica di razionalizzazione
degli investimenti.
Gianni Lazzari intitolava qualche tempo fa un suo intervento La cooperazione:
strumento dell'efficienza dei servizi [4]. Ma cosa
e quanto offre la centralizzazione in questa prospettiva rispetto ad altre
forme di cooperazione ?
In assoluto ho difficoltà a rispondere in quanto non credo alle formule
buone comunque. Anche in questo caso di volta in volta si dovrà decidere
se convenga andare con l'aereo, il treno, l'auto o addirittura a piedi a
seconda della distanza da percorrere e delle caratteristiche del percorso.
Nella scelta di cosa centralizzare verrebbe spontanea una prima scansione
tra back-office e front-line, scansione che è però
di metodo più che economica. Nella seconda metà degli anni
Ottanta, in cui ci siamo anche interessati di marketing nelle biblioteche,
abbiamo imparato per esempio che i prodotti quali la consulenza vengono
creati hic et nunc, in dialogo con l'utente. La centralizzazione
nella realizzazione di un tale prodotto rischierebbe pertanto di risultare
motivo di inefficacia.
Diverse sono invece le considerazioni se parliamo di gestione delle raccolte,
di produzione di cataloghi o, per altro verso, di acquisire le strumentazioni
funzionali ad offrire nuovi servizi.
Per esempio,(e qui per essere concreto, devo rivolgermi ad un caso reale, acquisire centralmente (non intendo parlare di scelta effettuata dal centro servizi alle spalle delle singole biblioteche), come avviene ad Abano, significa assumere ben altra massa critica di fronte al mercato ed aumentare di almeno 6-7 punti in percentuale lo sconto concesso dai fornitori. Dovrei presentarvi una quantità di ulteriori precisazioni per circostanziare questa impostazione (numero dei fornitori, tempi e modi di scelta e consegna, ecc.) ed evidenziarne vantaggi e svantaggi. Mi limito a dire che per le pubbliche del Vicentino una simile scelta rappresenterebbe un risparmio di circa 150 milioni annui.
Ancora per esemplificare in riferimento al Vicentino, con 30.000 movimenti annui circa, una gestione centralizzata (con auto) del prestito interbibliotecario ci fa risparmiare circa 40 milioni l'anno rispetto all'adottare soluzioni di non centralizzazione (peraltro giustificate dal più contenuto "giro d'affari") quale quella applicata a Belluno e Trento che si servono del servizio postale. E se il numero di movimenti, come tutto fa presumere, aumenterà, trattandosi di un prodotto con una struttura di costo semifisso, il risparmio sarà ancora più sensibile.
Non occorre che io mi riferisca ad un caso concreto, invece, per sostenere
che se potessimo fruire su tutta la rete di personale professionalmente
qualificato il livello di efficienza della stessa sarebbe di gran lunga
più elevato.
In realtà le biblioteche dei piccoli o piccolissimi centri sono gestite
spesso con personale raccogliticcio. Se la gestione del personale fosse
centralizzata, se almeno i comuni minori affidassero al centro la gestione
biblioteconomica delle loro biblioteche, come stanno iniziando a fare nella
mia zona nella logica dell'integrazione, potremmo evitare non pochi intoppi,
incomprensioni, incongruenze organizzative, ritardi.
Un'applicazione del disegno di legge 4014, oggi in Commissione al Senato,
che permettesse di formalizzare l'integrazione delle biblioteche di un territorio
sufficientemente ampio, tramite la formula dell'istituzione "consortile"
o addirittura tramite la società per azioni qualora si potesse prevedere
la partecipazione finanziaria anche di privati, potrebbe dare la stura a
scelte di questo tipo.
Non sono in grado di valutare il risparmio che ne deriverebbe, certo è
che se lo potessi fare l'unità di misura per esprimerlo non sarebbero
né la lira né l'euro, ma una "moneta" ben più
"forte", quella rappresentata dalla forza lavoro qualificata,
merce sempre più rara nei nostri uffici che invece si sono riempiti
di obiettori, stagisti, volontari, di tutto insomma meno che di bibliotecari
professionali.
Detto ciò, però (non me ne vogliano gli organizzatori di
queste due giornate), vorrei dire che le ragioni vere della centralizzazione
più ancora che in un fatto di maggiore efficienza, di riduzione della
spesa, stanno nella maggiore efficacia, nella maggiore capacità di
dare servizio, di creare nuovi servizi.
Oggi riesco a progettare un servizio di bibliobus per le zone montane in
sostituzione delle esorbitanti spese rappresentate dalla gestione di sedi
peraltro poco frequentate, solo perché come centro servizi faccio
massa critica dal punto di vista "politico" o di immagine, e posso
pensare di trarne cospicui trasferimenti.
Posso garantire un catalogo di rete che comprenda e metta in gioco anche
il posseduto dai centri più piccoli facendo fruire loro dei vantaggi
della cooperazione a tutti gli effetti solo nella logica della catalogazione
centralizzata.
Riesco a mettere in atto le premesse per la catalogazione dei libri in lingua
araba e nelle maggiori lingue slave (colmando un buco ormai inaccettabile)
solo perché mi muovo su 50 biblioteche e come tale posso prendere
accordi con la rete di Abano e l'Università Ca' Foscari di Venezia
che si trovano ad avere problemi uguali o molto simili.
Molto più banalmente riesco a gestire a livello di territorio provinciale
il catalogo on-line delle biblioteche della rete solo perché
come centro servizi ho la capacità di coordinare l'attività
delle biblioteche afferenti.
Si può pensare di far avere servizio di qualità alle realtà
più disperse nel territorio solo perché esiste un centro che
cerca soluzioni e muove a favore di queste realtà, non meno meritevoli
di altre, energie possibili in un'ottica di rete.
Per chiudere, però, vorrei precisare che questa mia convinzione,
se volete questo mio entusiasmo, non sono un assegno in bianco, ma un assegno
datato e, se possibile, circostanziato. Intendo dire che esistono non pochi
"se" che fanno della centralizzazione, come di ogni altra opzione
gestionale un'ipotesi di lavoro da verificare di volta in volta, realtà
per realtà, prodotto per prodotto.
Collegandomi a quanto sopra detto evidenzierei due supporti fondamentali
a questa soluzione organizzativa. Il primo è proprio quello della
flessibilità: la capacità di cambiare in relazione ai mutamenti
tecnici, demografici o più semplicemente della domanda. Il secondo
è rappresentato dalla capacità di essere coerenti rispetto
al territorio servito.
Due antidoti a queste patologie, che ho trovato messi in atto qua e là e che ho provveduto ad inserire nella rete vicentina, sono rispettivamente la commissione tecnico-biblioteconomica e i bacini di servizio.
La Commissione si propone come strumento di studio. E' formata da bibliotecari della rete ed ha il compito in particolare di tenere monitorata la cooperazione, di valutare le situazioni di disagio, di inefficienza o di inefficacia e proporre soluzioni per migliorare le stesse. Nel caso di Vicenza essa avrà (si sta costituendo proprio ora) il compito di realizzare questi obiettivi all'interno di un più ampio progetto di costruzione di una carta dei servizi di rete, una charter adottabile cioè, almeno nelle sue linee generali da tutte le biblioteche.
La creazione di bacini di servizio, scanditi sulla articolazione di aree
geograficamente omogenee presenti sul territorio, garantisce una definizione
dell'offerta (raccolte documentarie, servizi di consulenza, iniziative promozionali
e culturali) sulla base delle esigenze locali. Questo avviene anche grazie
agli incontri periodici (in genere settimanali) intesi a realizzare la selezione
coordinata per singolo bacino degli acquisti. Nel caso di Vicenza queste
scelte locali trovano poi un ulteriore livello di coordinamento centrale.
Vorrei sottolineare come queste collaborazioni locali rappresentino linfa
vitale per la cooperazione: catalizzano la voglia di fare di molti, determinano
una continua spinta in avanti, migliorano il dialogo e quindi l'efficienza
degli scambi, evitano una fredda "delega" al centro relativamente
alla gestione della rete.
Per oggi, anche per motivi di tempo a disposizione, non vado oltre. Queste riflessioni, frutto in parte dell'analisi delle esperienze in atto di cui ho conoscenza, desunte in parte dai dati acquisiti per l'impegno diretto nel settore, potranno, mi auguro, essere arricchite o magari riviste alla luce della citata verifica che stiamo effettuando come Commissione Biblioteche pubbliche AIB. Nel nostro programma di lavoro, dopo aver messo a punto una mappa dei centri servizi esistenti, è previsto il dar vita ad un dialogo tra gli stessi con un incontro che dovrebbe aver luogo a Vicenza nei prossimi mesi.
Mi riservo quindi, magari in qualche altra sede, di ritornare sull'argomento.
[1] Il riferimento è alle proteste che hanno accompagnato il vertice dell'Organizzazione mondiale per il commercio svoltosi nella città americana dal 30 novembre al 3 dicembre 1999.