"11. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria
La riforma dei servizi pubblici locali e il nuovo CCNL
di settore
di Roberto Grossi
Segretario generale di Federculture
Ho seguito attentamente i lavori fin da questa mattina e, pur non essendo
un esperto in sistemi bibliotecari devo dire che ho tratto degli spunti
interessanti. Vorrei tuttavia riportare, rispetto al tema odierno, un po'
di ottimismo, perché ho sentito alcuni interventi che francamente
rischiano di tenerci in una situazione statica, sulla quale da troppi anni
ormai il dibattito teorico-politico nel nostro settore si blocca. Intendo
un ottimismo della ragione, non solo l'ottimismo del cuore - il coraggio
che deve comunque esserci per stimolare il cambiamento - ma un ottimismo
della ragione, derivante cioè dai fatti concreti che si stanno realmente
verificando.
Ieri ero a Milano, per presentare alla stampa insieme al Touring Club il
"Libro bianco sull'occupazione nel turismo e nella cultura" che
dimostra come non sia vero che in questo settore non nascono posti di lavoro.
Certo, dipende dalla logica degli interventi. Nell'ottica della pura tutela
e conservazione ad esempio - l'ha detto a ragione anche Covatta - è
chiaro che a "bocce ferme" le cose non cambiano, cioè non
si incrementano i servizi, non si creano bacini più ampi né
intersettorialità.
Molte cose sono state già dette da Solimine e da altri questa mattina,
e il Presidente di Palazzo Grassi, Annibaldi in particolare ha sollevato
il problema della gestione. Oggi è, infatti, più facile trovare
le risorse finanziarie per restaurare e ristrutturare piuttosto che per
gestire. E' un problema che investe decine di comuni, che recentemente si
sono rivolti a Federculture e all'ANCI: il Comune di Gennazzano, per esempio,
ha acquistato il Castello Colonna per 300 milioni, ed ha ottenuto numerosi
miliardi per ristrutturarlo con fondi del Ministero per i Beni e le Attività
culturali (tramite il gioco del lotto) della Regione Lazio e il contributo
di Istituti di credito. Ora però il Comune ha il "cerino in
mano", perché in assenza di un progetto organico di gestione
non sa cosa farne, né ha le risorse autonome per gestirlo; probabilmente
si sarebbe dovuto pensarci prima, dimensionando la ristrutturazione anche
in base alla destinazione futura.
Il tema della gestione è veramente il tema del Duemila, e riguarda
i sistemi bibliotecari come quelli dei musei e dei teatri: con l'AGIS stiamo
facendo partire una ricerca sulla struttura dell'offerta dei teatri italiani,
perché non esistono i dati, o meglio li ha la SIAE per suo uso, e
l'ISTAT non li rileva. Né sappiamo esattamente qual è la struttura
dell'offerta dei beni culturali di proprietà degli Enti Locali, anche
se conosciamo tutto quello che riguarda i beni dello Stato; siccome tale
struttura non può che derivare dai bilanci dei comuni, questi sono
infatti impostati in modo tale che tutta una serie di voci relative alla
spesa corrente non siano individuabili.
Ci sono dunque molti problemi di normativa, di carenza di dati e di informazione,
che spesso ci inducono a non rilevare il fenomeno del cambiamento per quello
che è.
Ora sta nascendo un sistema di soggetti gestori, rappresentati da Federculture,
che in due anni ha fatto grandi passi in avanti: non a caso CGIL, CISL e
UIL hanno voluto, per la prima volta, sottoscrivere un contratto collettivo
nazionale di lavoro di natura privatistica presentato qui a Venezia il 3
dicembre scorso con D'Antoni. Anche il mondo del lavoro ha infatti compreso
l'importanza di entrare in campo, per sollecitare poi le politiche economiche
del Governo, delle Regioni e degli Enti Locali: e allora è inutile
discutere su quanto patrimonio abbiamo - anche se nel dettaglio non lo conosciamo
- perché non c'è dubbio che il vero tema da dibattere è
quello di come utilizzare le nostre ricchezze.
Il Comune di Venezia si sta già interrogando se far nascere delle
"istituzioni" per gestire i musei civici e le attività
culturali; a Milano si stanno costituendo le fondazioni di partecipazione;
Roma è diventata una specie di holding, perché c'è
il Sistema bibliotecario cittadino che occupa centinaia di persone, c'è
il Palazzo delle Esposizioni che è un'azienda speciale, c'è
il Bioparco che è una s.p.a., come anche l'Auditorium, i Musei capitolini
sono stati dati in gara da pochi giorni, e vinta da una s.p.a. creata da
ACEA, e così via; c'è dunque un grande fermento, che tuttavia
non si riesce a conoscere compiutamente perché si tratta di tante
situazioni locali che insieme non riescono a comunicare esprimendo la novità,
le dimensioni e le caratteristiche d'assieme del fenomeno.
Abbiamo quindi potuto definire il primo contratto perché esiste una
realtà di imprese che crea nuova occupazione e nuove professionalità.
Stanno nascendo organismi per la gestione dei servizi culturali che prima
non c'erano. Noi cerchiamo di documentare questo fenomeno, perché
altrimenti si fanno le leggi, si definiscono politiche e programmi senza
tenerne conto appieno, sia nei suoi aspetti positivi che nei suoi limiti,
che dipendono poi dai modelli di gestione scelti, dal coinvolgimento del
mondo del lavoro, dei privati e così via.
Perciò credo che bisogna tornare ad esprimere un certo ottimismo
sugli sviluppi del settore, liberandoci dal senso di frustrazione profondo
che su questi temi si trascina da tempo.
Ma veniamo al disegno di legge AC 7042 di riforma dei servizi pubblici
locali.. Il quadro normativo vigente prevede cinque forme di gestione. La
Legge 142/90 è una legge di principio, che stabilisce neutralità
nella scelta da parte dell'Ente locale, cioè lascia libero il Comune
o la Provincia di scegliere una di queste forme a seconda delle sue esigenze
specifiche (teniamo presente che il nostro è un settore che ha bisogno
di grande flessibilità, perché esistono situazioni molto diverse
l'una dall'altra). I principi del ddl Ac 7042 sono la liberalizzazione del
mercato, la modernizzazione delle forme di gestione, il decentramento e
l'autonomia delle decisioni, la separazione di responsabilità e di
ruolo tra Enti Locali e gestori. Le forme previste però sono solo
quattro. Cos'è scomparso? E' scomparsa l'azienda speciale, è
scomparsa la gestione attraverso la concessione a privati che, peraltro,
nel nostro settore è molto utilizzata. Ma vediamo le novità:
il sottosegretario Vigneri questa mattina non ha detto che le forme di gestione
sono tassativamente indicate, e questo è già un grosso problema.
L'abbiamo detto qualche mese fa anche all'allora Ministro Jervolino, portando
i nostri emendamenti: è un errore indicare solamente queste quattro
forme di gestione, rispetto alle quali il comune non ha altra possibilità
di scelta. Secondo il ddl AC 7042 la fondazione di partecipazione, per esempio,
non si potrebbe fare, perché non è prevista, ma il nostro
è un settore che ha bisogno di massima elasticità, e questo
è un primo punto che in qualche modo va risolto.
Gli affidamenti diretti sono ammessi solo per i servizi non industriali;
il disegno di legge prevede poi che il servizio in "economia"
rimanga solo in via del tutto eccezionale, previa addirittura una dimostrazione
di quanto sia congruo mantenerlo, attraverso una relazione economico-finanziaria.
L'amministrazione locale cioè non può più restare nell'inerzia,
com'era fino ad oggi, mantenendo il servizio in economia, ma deve dimostrare
perché questa scelta sia opportuna. Questo è un aspetto importante,
e da un certo punto di vista è positivo, perché costringe
l'Ente Locale se non altro a interrogarsi, facendo dei conti e riflettendo
sulla qualità del servizio. Il superamento dell'azienda speciale
e dei servizi in concessione invece comporta qualche problema, se solo pensiamo
ai tanti casi in cui piccoli e grandi comuni erogano in regime di concessione
a soggetti terzi, come cooperative o addirittura onlus la gestione di musei
o teatri: questa secondo noi è anche una realtà viva del nostro
paese, e non può essere fatta scomparire con un colpo di spugna.
Anche il contratto di servizio è molto importante: questo strumento
tecnico, già disciplinato dalla Legge 142/90, regola in concreto
il rapporto tra l'ente pubblico titolare e proprietario dei beni, che determina
le scelte e gli indirizzi, e i soggetti gestori che erogano i servizi.
Con la nuova disciplina delle istituzioni, come è stato detto stamattina
dall'Onorevole Vigneri, queste passano da organismo - quindi da braccio
operativo del comune - a ente, assumendo una propria personalità
giuridica, requisito molto importante per la possibilità di riferirsi
direttamente all'esterno. Oggi se un'istituzione per un investimento deve
chiedere un finanziamento alla Cassa Depositi e Prestiti, oppure al Fondo
di rotazione per la progettualità, non lo può fare in prima
persona, ma deve passare attraverso l'Ente Locale; domani invece l'istituzione
stessa diventerà un soggetto capace da solo di chiedere e ricevere
danaro. Questo è soltanto un esempio, ma molti sono i negozi giuridici
che potranno essere gestiti direttamente: i revisori dei conti oggi nelle
istituzioni sono gli stessi del comune, mentre la nuova istituzione avrà
propri revisori dei conti, rispondendo quindi al comune solamente sulla
nomina degli amministratori, quali il presidente e il consiglio di amministrazione;
avrà inoltre un direttore scelto dal consiglio di amministrazione,
e un proprio bilancio, di cui è tenuta al pareggio. Non è
prevista la disciplina transitoria per i servizi non industriali, il che
significa che teoricamente, dal momento in cui viene approvato in sede parlamentare
il provvedimento, scatta il conto alla rovescia e quindi si pone l'obbligo
della trasformazione. Ovviamente noi sappiamo che ci sono tanti problemi
aperti, come quelli delle gestioni sovracomunali, per le quali l'istituzione
non appare un soggetto appropriato. Infatti, per esempio, che cosa succederà
al Consorzio Bibliotecario di Abano Terme, che è un consorzio di
27 comuni? E' immaginabile che 27 comuni si mettano d'accordo per far nascere
l'istituzione? E chi nominerà il presidente del consiglio di amministrazione?
E il bilancio? Il capitale di dotazione? Sono questi problemi nuovi, che
la legge lascia del tutto irrisolti. Poi c'è la questione delle economie
di scala, che non viene risolta; e ancora quella molto importante del rapporto
di lavoro, di cui parlerò illustrandovi il contratto.
Come abbiamo detto anche all'Onorevole Vigneri: a Federculture potrebbe
essere utile una interpretazione secca, come quella che è stata data
questa mattina, per cui tutte le istituzioni devono assumere obbligatoriamente
il contratto di tipo privatistico: in questo modo infatti tutte le istituzioni
si dovrebbero associare per applicare il nostro contratto. Tuttavia non
sarebbe giusto, perché se in un'istituzione come quella di Roma,
che ha 220 dipendenti e un bilancio che oscilla quest'anno intorno ai 25
miliardi, ci sono buone ragioni per applicare un contratto privatistico,
in un'altra istituzione che ha magari tre dipendenti (e che pure funziona
meglio di un servizio in economia) questo tipo di contratto francamente
diventa difficilmente applicabile. Bisognerebbe, dunque, lasciare all'Ente
Locale che costituisce l'istituzione la facoltà di inserire nello
statuto l'applicazione o meno del contratto privatistico.
Restano poi altri problemi aperti. C'è ancora del tempo per concludere
l'iter parlamentare. Abbiamo già presentato, ovvero abbiamo fatto
presentare da alcuni senatori, una serie di emendamenti, ma c'è ancora
qualche settimana per fare un po' di lobby. Cercando dunque di superare
l'autoreferenzialità, faccio qui una proposta: raccogliamo in base
alle vostre esperienze i problemi che il ddl 7042, così come è
configurato, comporta e comporterebbe qualora diventasse legge; facciamo
poi in modo di far pesare queste indicazioni, che poi sono comuni alle nostre
posizioni, a quelle dell'AIDA e a quelle di altri che rappresentano i soggetti
gestori; altrimenti rischiamo poi di doverci lamentare, ritrovandoci fra
qualche anno, a non poter disporre di uno strumento normativo idoneo.
Vorrei dedicare ancora qualche parola al contratto di lavoro che, per chi
lo desidera può richiedere a Fedeculture. Abbiamo ritenuto di impegnarci
in un confronto con le OO.SS. dei lavoratori perché in questo settore
sono nate 150 imprese negli ultimi cinque anni, in un contesto di grande
cambiamento. Come sapete, un recente provvedimento impone ai teatri storici
e agli enti lirici di trasformarsi in fondazioni; anche l'ETI, l'ente teatrale
italiano, di cui ho incontrato il direttore nei giorni scorsi, per legge
dello stato potrà diventare s.p.a. se sarà approvato l'apposito
disegno di legge; la stessa Biennale, con tutti i limiti, è una società
di cultura che applica il contratto del commercio. E questo è il
paradosso, l'assurdità che si verifica oggi in Italia: strutture
culturali di ogni tipo, fondazioni di partecipazione, aziende speciali,
istituzioni e così via, utilizzano i contratti del commercio o quello
degli Enti Locali. Federculture ha voluto dare corpo ad un nuovo contratto
perché riteniamo che il lavoro, la professionalizzazione sia il fattore
centrale del processo di cambiamento. Ma a chi si applica questo contratto?
La scelta è stata fatta con i sindacati, con ANCI, UPI e anche con
il Ministero: i settori di applicazione sono, tra gli altri, biblioteche,
musei, teatri, società di cultura, imprese turistiche che gestiscono
servizi sportivi e del tempo libero. E non solo quelli degli Enti Locali,
ma anche quelle di emanazione regionale e dello Stato. perché al
semplice cittadino non interessa questo tipo di distinzione. Bisogna fare
un salto di qualità, bisogna avere il coraggio anche di spendere
di più, per avere delle figure professionali che corrispondano al
mercato e un contratto flessibile ed efficace sia per l'azienda che per
il lavoratore.
Ecco dunque le novità: flessibilità e orientamento al cliente,
riorganizzazione e nuovi sistemi di orario lavorativo.
E' prevista per esempio una banca delle ore, per cui tutto l'orario in più
può essere retribuito, oppure utilizzato per permessi; anche il monte
ore è stabilito annualmente: non si parla più di 36, 35 o
38 ore settimanali, ma di oltre 1300 ore annuali. Si lascia così
spazio, settore per settore, ad accordi tra l'azienda e i lavoratori, secondo
le specifiche necessità di distribuzione del lavoro, nel corso della
settimana o dell'anno.
Importantissimi poi sono i sistemi di inquadramento, i livelli e i meccanismi
incentivanti per i lavoratori. I sistemi di inquadramento sono aree nelle
quali sono individuate le diverse categorie professionali, in modo non esaustivo
ma indicativo, perché possono nascerne continuamente di nuove. Non
sono previsti gli automatismi di anzianità, perché non ha
senso che la progressione, come avviene spesso negli Enti Locali, sia semplicemente
legata al passare degli anni. Se cresce l'ampiezza delle funzioni e la responsabilità
di un lavoratore, questo infatti passa immediatamente nell'area contrattuale
superiore e quindi guadagna di più: sono inoltre previsti diversi
incentivi sulla produttività e sulla qualità.
Concludendo, credo che il nostro mondo debba avere il coraggio di riconsiderare
se stesso in modo diverso. Devo dire che uno dei grossi limiti all'applicazione
di questo contratto viene, talvolta, dai lavoratori stessi, che se da un
lato vogliono che sia riconosciuta la professionalità e la dignità
del lavoro svolto, dall'altro però pretendono di avere la stessa
sicurezza del pubblico impiego; questo peraltro è un contratto collettivo
nazionale, che, ad esempio, non prevede modalità di licenziamento
se non quelle contemplate dalla legge e da tutti i sistemi contrattuali.
Ritengo, dunque, che anche da parte dei lavoratori ci debba essere una spinta
in questa direzione. Il privato in questo senso dev'essere non solamente
l'impresa che interviene, finanzia e svolge determinate attività,
ma anche e soprattutto un modo, un'attitudine diversa di inserirsi nel mondo
del lavoro e di concepire la propria attività.. Da parte del settore
pubblico ci sono dei segnali molto interessanti, e gli Enti Locali stanno
facendo ormai grandi passi in avanti.
Secondo me la sfida dei prossimi anni sarà veramente quella di creare
delle convergenze da parte dei lavoratori, del mondo delle imprese e degli
Enti Locali verso questo processo di rinnovamento gestionale; ma se ancora
continueremo a creare ostacoli e steccati, temo che per ogni passo avanti
rischieremo di farne due indietro.