"11. Seminario Angela
Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria
Intervento di
Giuseppe
Giulietti
deputato
Vorrei evitare di fare come quei parlamentari che si appropriano
delle competenze che non hanno, quindi rispondo e faccio delle proposte solo
in merito alle questioni che conosco, proprio perché una delle cose
che trovo più sconvenienti in politica è l'invenzione.
Di conseguenza credo che iniziative di promozione del libro come quelle di
cui si è parlato in questi giorni non creeranno un solo lettore in
più, né diffonderanno in alcun modo la pratica della lettura,
ma mi paiono più fondate su una vecchia cultura dell'immagine. Provenendo
dall'ambiente televisivo, diffido infatti delle politiche che si basano sugli
effetti, sulle interviste, sugli annunci, perché questi raramente sono
seguiti da fatti concreti e interventi strutturali.
La percezione di questo settore come residuale e antico, legato ad alfabeti
non più esistenti, da parte dei molti che ne parlano senza conoscere
il sistema delle reti e delle infrastrutture, dà già origine
troppo spesso a una serie di grosse sciocchezze; quindi prima di avanzare
proposte so di dover capire e conoscere qual è lo stato del settore,
delle sue leggi, ascoltando i contributi più diversi dal punto di vista
economico, dei contenuti, dell'organizzazione, della differenza tra le diverse
biblioteche: solo così potrò fare poi il mio mestiere, evitando
discorsi generici che comprendono tutto e il contrario di tutto, senza portare
ovviamente a nessun approdo legislativo.
Come ben sapete, esistono poi anche divisioni tra le associazioni, le organizzazioni
di categoria e i sindacati, per cui un cosa è la descrizione di un
fenomeno, un'altra è la capacità di raccogliere il consenso
degli operatori più diversi intorno ad un provvedimento legislativo.
Se non mi preoccupassi di fare tutto questo, potrei tranquillamente dirvi
che condivido quello che qui ho sentito, salutare e andarmene sapendo che
non accadrà nulla.
Ho fatto invece queste premesse perché mi permetto di aggiungere alcune
questioni a quelle già poste, e di sottolineare quali sono secondo
me i punti che si possono affrontare in questa fase.
Il primo è quello a cui poco fa facevo riferimento: condivido infatti
le riflessioni già proposte anche dal Presidente Castellani e da Giorgio
Busetto, ma sono ben consapevole che stiamo parlando di un settore che viene
ancora vissuto nel sentire comune - ma secondo me anche dal legislatore -
non come parte dell'innovazione possibile, ma come parte di un mondo che si
è concluso. Penso che questo sia un errore grave, ma critico in primo
luogo me stesso; non sto criticando altri né intendo approfittare delle
assenze per fare comizi, essendo abituato più a individuare i miei
errori e i limiti della mia organizzazione che non quelli degli altri. Metto
perciò in capo a me stesso tutte le critiche, così non ci possono
essere equivoci di alcun genere.
Parlavo dunque di un grave errore di analisi: se si trattasse davvero di un
mondo superato, che non genera ricchezza, non solo dal punto di vista culturale,
ma anche dal punto di vista della produzione e dell'occupazione, allora ciò
che dirò non sarebbe giustificato, e dovrei entrare in un altro meccanismo,
applicando se mai delle politiche di assistenza pubblica affinché un
settore in esaurimento e senza prospettive di sviluppo possa comunque continuare
ad esistere. Anche questo si può fare, e già lo si fa per esempio
in altri grandi settori industriali del Paese riconosciuti in decadenza rispetto
alle tendenze generali. Non credo però che sia questo il caso, se solo
sappiamo interpretare correttamente questa euforia tecnologica che ci circonda
nell'era della new economy.
Sulla new economy si è detto tutto e il contrario di tutto,
giungendo ad affermare che per svilupparla basta liberalizzare le reti. Ma
la liberalizzazione delle reti, a prescindere dai contenuti che vi si inseriscono,
in realtà deriva da una visione sbagliata e miope, da un'opinione che
non reggerà: perché se l'Italia in questo campo ha un futuro
è proprio quello di essere la grande piattaforma europea della produzione
dei contenuti.
Il cuore delle reti non sarà la proprietà, ma il contenuto.
Non a caso le grandi imprese di comunicazione americane, tedesche e francesi
si stanno ponendo questo problema; e non a caso da noi un'azienda decotta
come la RAI è diventata all'improvviso una delle aziende con il valore
più alto (anche se non quantificabile, perché non quotata in
Borsa) e proprio perché possiede le teche di cinquant'anni di storia
del costume, del cinema, della musica, del teatro italiano. L'industria culturale
diventa così in questo nuovo gioco un punto strategico per il Paese.
Vengo allora a porre una domanda a me stesso: il mondo degli archivi, dei
musei e delle biblioteche va visto solo così come superficialmente
appare, o già si sta ponendo seriamente, da quanto capisco, dalle cose
che vedo e che voi mi raccontate, il problema di come mettere i suoi contenuti
dentro la rete, magari organizzando un portale Internet per l'accesso alla
produzione culturale italiana? So che le biblioteche già stanno agendo
in questa direzione, e non solo le Biblioteche Nazionali ma tutto il sistema
bibliotecario italiano, anche con esperienze specifiche come quella della
Fondazione Mattei all'interno della Biblioteca della Fondazione Querini. È
dunque vero o no che c'è un interesse crescente?
Personalmente io lo avverto come un interesse non solo economico e industriale.
Sono convinto infatti che un Paese libero non può ragionare soltanto
sui profitti, ma deve tenere in conto anche l'elemento della gratuità,
permettendosi di investire anche solo in quanto lo ritiene giusto. Proprio
per questo insisto però sull'altro aspetto, sostenendo che anche se
non fosse per ragioni di fede, di convinzione profonda e teorica, esiste pure
a mio giudizio una forte motivazione di interesse materiale.
Perché dunque ho fatto questa premessa? Mi permetto di rivolgermi al
Presidente Castellani, che è persona di straordinaria sensibilità,
per suggerire le cose che in base proprio alla premessa noi possiamo fare.
Penso che sarebbe di grande importanza, in modo informale o formale, avviare
un'audizione, una serie di consultazioni con l'associazione dei bibliotecari
e con altre associazioni per aprire una discussione e una riflessione comune.
Il sottosegretario Stefano Passigli sta elaborando per il governo in questi
giorni un documento che credo ci interessi da vicino: il Piano di azione
per la società dell'informazione e dell'informatica. Questo documento
dovrà essere consegnato a Lisbona, su richiesta del Presidente dell'Unione
Europea Prodi, in occasione non di un seminario teorico ma di una sessione
speciale dei Governi e dei Presidenti del Consiglio, dedicata sostanzialmente
alla diffusione delle nuove tecnologie nella società dell'informazione,
con particolare riferimento alla scuola. Toccherà quindi tutte le questioni
che riguardano l'introduzione del computer e la relativa formazione, ma soprattutto
il tema fondamentale di come si consegnano ai cittadini i nuovi alfabeti,
che passano pur sempre attraverso quelli tradizionali. Per un'astuzia della
storia infatti il computer non elimina affatto il libro: può modificarsi
la forma dell'acquisto, può modificarsi la forma del prestito, può
modificarsi la forma della lettura e della comunicazione, ma passerà
sempre attraverso quell'alfabeto, e fonderà comunque i nuovi saperi
su un giacimento che già esiste, che è ineliminabile.
In quel Piano di azione che si sta preparando, e sarà presentato
ad aprile, uno dei punti riguarda proprio questo tema, che credo possa essere
l'oggetto di un incontro, per aprire un nuovo capitolo nel rapporto con le
associazioni che operano in questo settore. La riflessione dovrà comprendere
tutte quelle cose di cui abbiamo parlato nei loro diversi aspetti, ma in particolare
con riferimenti concreti, perché quando nel Piano d'azione si sostiene
il completamento delle reti civiche nel segno del servizio universale, non
v'è dubbio che la biblioteca fa parte integrante e sostanziale di questo
servizio.
Se ci si pone infatti il problema della diffusione delle nuove tecnologie,
perché questo dovrebbe riguardare solo le scuole e non deve interessare
invece da subito l'integrazione tra la scuola e la biblioteca che è
un servizio fondamentale per la scuola, concepita dai tre anni in su come
momento permanente di formazione? Questo è un dei punti in discussione
nel prossimo semestre, e mi permetto di sottoporlo qui perché mi piacerebbe
aprire un confronto con voi e con le altre associazioni del settore, dal momento
che avverto una forte sofferenza anche nel mondo degli archivi e dei musei.
Si discute infatti ancora separatamente su una serie di materie che dovrebbero
invece portare a una integrazione, e che vengono gestite come se fossero materie
sindacali, per cui si contratta con i singoli settori quasi in un rapporto
tra pochi, in assenza di un disegno complessivo, culturale e industriale.
Voglio rispondere poi a un'osservazione che veniva fatta in apertura e che
ho ritrovato in un documento qui presentato sul Sistema Bibliotecario di Ateneo.
Sarà presentata al prossimo Consiglio dei Ministri la riforma dell'editoria,
che è ferma al 1981, cioè a 20 anni fa. Il testo ha ormai superato
l'esame dell'Unione Europea che l'aveva bloccato sull'aspetto che riguarda
i sussidi e l'eventuale alterazione della libera competizione. Perché
lo faccio presente in questa sede? Perché mi par di capire che un altro
dei vostri problemi, o almeno di quelli sui quali io posso intervenire con
competenza, senza fare affermazioni generiche, è la creazione di un
ecosistema favorevole alla crescita dei nuovi lettori. La legge del 1981 non
comprende il libro, ma si riferisce esclusivamente al giornale e al periodico,
senza considerare in alcun modo, neppure nella dizione iniziale, l'esistenza
del mercato del libro, per non parlare dell'editoria elettronica. Quella legge
conteneva peraltro delle misure per quanto riguardava la diffusione della
lettura nelle scuole, con alcuni primordiali elementi proprio sulla concezione
del cittadino lettore
Ora, dato che ho la sensazione che la legge quadro stenti a prendere forma,
credo che su alcune questioni che invece riguardano aspetti specifici dell'organizzazione
del sistema della lettura nelle biblioteche, come gli acquisti e l'IVA - perché
ci si scontra non solo con i grandi scenari, ma anche con problemi molto pratici
-, si debba verificare la possibilità dell'inserimento in un provvedimento
omogeneo, che oggi può arrivare in discussione e che credo sarebbe
sbagliato non considerare.
A questo proposito riprendo anche la questione della defiscalizzazione che
qui è stata posta da Busetto, un tema delicato su cui è certamente
difficile pronunciarsi. Il problema della defiscalizzazione delle uscite d'altra
parte ha sempre trovato posizioni diverse nei diversi Ministeri, perché
se alcuni sono favorevoli, altri, e soprattutto i Ministeri di spesa, si oppongono
nettamente. Nei prossimi giorni verrà presentata una proposta di legge
che ha qualche elemento di attinenza con la questione di cui si parla e che
credo - mi rivolgo in questo a Lorenzo Bianchi e anche a Marco Causi - vada
analizzata con una certa attenzione: è una proposta che riguarda un
settore diverso da questo. Parlo della deducibilità dalle imposte dei
versamenti fatti alle fondazioni per la ricerca, e in particolare per le ricerche
in campo medico. Secondo me vale qui lo stesso principio, lo stesso meccanismo,
per cui viene riconosciuta la pubblica utilità di un investimento;
non saprei dire ora con quale formulazione, ma ritengo che in questo senso
potrebbe essere aperto un varco importante.
Perché le cose dette - non in termini di parte né di partito
- possano avere una prosecuzione, credo dunque che la Commissione Cultura
possa essere il luogo in cui - nei modi e nelle forme che il Presidente, se
è d'accordo, deciderà - avviare un confronto, mettendo in successione
le questioni aperte, non con una logica di schieramento, ma al fine di stimolare
l'interesse e costruire il consenso all'interno del Parlamento.
C'è infatti un problema culturale che dobbiamo porre a noi stessi,
e io stesso per primo mi pongo: se avessimo dedicato un centesimo dell'attenzione
rivolta a ciascuna delle polemiche scatenate intorno alla televisione ad uno
dei grandi temi della politica culturale di questo Paese, penso che avremmo
già portato a risoluzione la legge quadro. Questo è un appunto
critico, pesantemente autocritico che faccio anche a me stesso perché
ho la sensazione che l'inseguimento del modello televisivo sia un obiettivo
perdente sia sotto il profilo culturale che sotto il profilo politico, mentre
una riflessione sui temi che abbiamo cercato di affrontare oggi ci porta proprio
nel cuore della vita culturale della democrazia.
Concludendo, dopo anni di discussioni, certo mi sono ormai convinto che i
parametri economici sono fondamentali e non sono variabili indipendenti; tuttavia
continuo a dire me stesso che qualità e libertà non sono parametri
vecchi da mettere in soffitta, e forse andrebbero sostenute con un po' più
di orgoglio e un po' più di forza.
In questo, perdonatemi, sono un impenitente.