"11. Seminario Angela
Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria
A volte (ri)tornano:
le deformità delle biblioteche negli atenei italiani
di Alessandro Bertoni
direttore del Sistema Bibliotecario di Ateneo dell'Università Ca' Foscari
di Venezia
Il mio intervento mira direttamente all'universo frastagliato e consistente
delle biblioteche degli atenei italiani, cercando di mostrare come anche
pochi dati possano bastare a ben rappresentare i forti limiti dei servizi
bibliotecari di supporto alla formazione e alla didattica universitaria.
Una gamma più ampia di informazioni numeriche e di raffronti - da
cui questo mio contributo prende spunto - è fornita dal Rapporto
preliminare del gruppo di ricerca su Misurazione e Valutazione delle Biblioteche
Universitarie, istituito dall'Osservatorio per la Valutazione del Sistema
Universitario del MURST, reperibile via rete all'URL http://www.murst.it/osservatorio/ricbibl.htm.
Nel chiedermi con quale titolo iniziare la mia esposizione, ho pensato di
rispondere all'interrogativo della Tavola Rotonda con un riferimento ironico
al filone filmico dei "morti viventi", richiamando alla mente
una certa "mostruosità" delle situazioni da analizzare.
Nei fatti si tratta più di una deformità, o deformazione se
si vuole essere più pacati, dei modelli adottati nelle biblioteche
accademiche italiane. Sono da parecchi anni alle prese con i quotidiani
problemi di gestione delle biblioteche universitarie italiane, problemi
di cui si può cogliere l'essenza già ragionando attorno ai
valori medi e ad alcuni altri dati raccolti nel lavoro appena citato. Da
pochi numeri si possono infatti trarre considerazioni fondamentali, nel
caso si volesse finalmente iniziare ad attuare una politica bibliotecaria
in un settore - quello accademico - che rappresenta, come vedremo, una quota
elevatissima del sistema-biblioteche italiano.
Del mondo bibliotecario universitario italiano non si sapeva gran che, in
quanto fino a poco tempo fa le statistiche specifiche erano praticamente
inesistenti, limitate a qualche raro studio, come quello del Ministero della
Pubblica Istruzione, che nel 1983-84 pubblicò un Annuario sulle biblioteche
delle università che tradì subito il proprio titolo rimanendo
senza alcun seguito. Dati non emergono nemmeno nelle statistiche nazionali,
culturali o finanziarie che siano; l'ISTAT considera solo quelli sulle biblioteche
statali, come se esistessero solo quelle del Ministero per i Beni e le Attività
culturali. Inoltre, generalmente, la misurazione dei propri servizi bibliotecari
non è molto di casa negli atenei italiani o nei loro nuclei di valutazione
interna. Appena fuori dai confini nazionali, invece, si scopre che le biblioteche
universitarie sono state il laboratorio ove si sono sviluppati gli indicatori
di attività, quelle misure della performance prodotte da studi che,
già negli anni '60 e '70 con le prime analisi sui prestiti, segnarono
importanti punti di svolta nella ricerca della qualità e dell'efficacia
di servizi notoriamente assai costosi.
In Italia gli unici dati di questo tipo disponibili prima dello studio fatto
per l'Osservatorio del MURST erano il frutto di tre indicatori usati dalla
CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), sostanzialmente
legati al numero di studenti, docenti e superfici delle biblioteche, con
una debolezza dovuta alla carenza di indicazioni per la creazione dei dati.
All'inizio degli anni '90 qualche accenno di interesse in questo campo preludeva
all'istituzione, avvenuta nel 1991, della Commissione Biblioteche e Documentazione
da parte del neonato Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica.
La Commissione, che lavorò ancora nell'anno seguente, era presieduta
da Paolo Bisogno, e marcava una folta presenza di docenti, a scapito di
componenti più professionali; essa cercò comunque di fare
un primo discorso complessivo su un argomento mai precedentemente affrontato
con lo stesso piglio, lavorando anche per compiere una prima stima della
spesa annuale per acquisizioni. Da un campione di dodici università
si valutò - anche se in modo molto rudimentale - in circa 100 miliardi
di lire la spesa di tutti gli atenei per acquisti librari nel 1990.
Solo cinque anni dopo riprese corpo l'obiettivo di approfondire gli argomenti
e le problematiche accennate ancora debolmente nel rapporto finale pubblicato
nel 1992, che ebbe purtroppo poca circolazione. Ministro Luigi Berlinguer
e Sottosegretario all'Università Luciano Guerzoni, venne nominato
nel 1997 un Gruppo di Lavoro sul Sistema Bibliotecario delle università
(GLSB), composto da quattro professori e quattro bibliotecari, di cui ho
avuto l'onore di far parte. Un ampio ma consapevole piano di attività
(alcune delle quali hanno potuto avere risonanza mediante un convegno) ed
un serrato calendario di incontri non raggiunse del tutto gli obiettivi,
poiché il gruppo non venne rinnovato con il cambio di guardia ministeriale
nell'ottobre 1998, neo-Ministro l'Onorevole Ortensio Zecchino.
Quasi subito dopo la costituzione del GLSB, si verificò la fortunata
coincidenza di attenzione alle biblioteche anche da parte dell'ente preposto
alla valutazione del sistema universitario; l'Osservatorio del MURST costituì
verso la fine del 1997 un gruppo di lavoro specifico, coordinato dal sottoscritto
(e quindi - segnale oltremodo significativo - da un bibliotecario), sul
tema Misurazione e Valutazione delle Biblioteche Universitarie, con il compito
di approfondire le problematiche della raccolta dati, ma soprattutto quelle
relative all'identificazione di una metodologia di valutazione utile sia
ad un controllo della qualità dei servizi bibliotecari nei singoli
atenei, sia alle comparazioni nazionali ed ai confronti internazionali.
Si tratta quindi - la ricerca è ancora in corso, quanto pubblicato
all'inizio del 1999 è solo un rapporto preliminare - di fornire valori
assoluti, aggregati, medie, rapporti, metodi di raccolta ed analisi basati
su insiemi definiti di indicatori, per tentare - si spera e si auspica -
di attivare politiche di sostegno e di incentivazione al miglioramento e
agli sviluppi, non solo tecnologici, di servizi che sono alla base delle
attività di alta formazione e ricerca.
La chiusura del GLSB, con cui la sinergia era più che evidente, non
ha facilitato il lavoro; il passaggio dell'iniziativa in questo campo alla
CRUI, che ha avviato nel 1999 una Commissione di delegati rettorali per
le biblioteche (docenti ma anche bibliotecari responsabili di sistemi di
ateneo) permette un pur cauto ottimismo: siamo ancora infatti ben distanti
dalle situazioni inglesi, in cui questo tipo di attività ha dato
un fortissimo impulso all'innovazione (e a programmi concreti, con fondi
non considerevoli quanto i risultati raggiunti).
Il Rapporto del gruppo dell'Osservatorio (predisposto insieme a Jacopo Di
Cocco, Elisabetta Pilia, Marisa Santarsiero, Alberto Sdralevich, Giovanni
Solimine, Anna Maria Tammaro, Anna Galluzzi) ha prodotto un primo e consistente
intervento di rilevazione a tappeto, raccogliendo dati relativi al triennio
1995-97 (l'ultimo anno con maggiore ricchezza e precisione).
Il campione ampio su cui sono stati condotti i calcoli del rapporto è
assolutamente affidabile, in quanto rappresenta, in termini di docenti e
studenti, circa il 70% dell'universo-università italiano. Partendo
cioè dai numeri forniti da ben 42 università statali e 7 non
statali, possiamo ora affermare che nel 1997 il sistema delle biblioteche
accademiche, in 67 atenei, possedeva più o meno 46 milioni di volumi,
aveva 267.000 abbonamenti in corso, con circa 1,8 milioni di volumi acquistati
nei 12 mesi. Questi primi dati sono impressionanti, soprattutto se si considera
la prevalenza di materiali librari di provenienza internazionale, non facilmente
disponibili nelle altre tipologie bibliotecarie. Questo sistema accademico
offriva, nel suo complesso, 82.500 posti di lettura, in biblioteche che,
sommate, occupavano 560.000 mq., con quasi 6000 addetti.
Una prima importante debolezza si ritrova, prima ancora che nel dato in
quanto tale, nella assenza di rilevazioni delle operazioni di prestito o
di altri servizi pur fondamentali; nel caso dei prestiti interbibliotecari,
abbiamo con fatica ricostruito un valore di circa 63.000 unità di
servizio senza tentare stime nazionali, negli altri casi la bassa propensione
alla misurazione non ha permesso di ricostruire un dato attendibile; l'ordine
di grandezza dei prestiti potrebbe oscillare attorno ai 4-5 milioni, ma
è praticamente un parere più che un dato, una interpretazione
di un numero di operazioni che, come ben sappiamo, sono condotte spesso
in magazzini o librerie interne ai dipartimenti o agli studi dei singoli
docenti, ove l'uso del patrimonio librario si manifesta certo a self-service,
ma assolutamente al di fuori di sale di consultazione o di strutture da
potersi anche solo apparentare alle biblioteche.
Ma già i dati dimensionali non sono buoni, ben sapendo inoltre che,
ad esempio, i posti di lettura spesso corrispondono al numero delle sedie,
senza tener conto se il tavolo rispetta standard minimi. Rapportare le superfici
al numero di studenti (che costituiscono la stragrande maggioranza degli
utenti istituzionali) porta a valori di non elevata qualità, e così
via.
Va però considerato che, nel suo insieme, la spesa che gli atenei
destinano alle proprie biblioteche è stata da noi valutata in 522
miliardi nel corso del 1997, di cui 167 solo per acquisizioni. Tale dato
riteniamo ampiamente sottostimato, in quanto quasi sempre non emergono nella
rilevazione valori sensatamente validi per i costi di funzionamento e di
gestione (energetici, fitti, pulizie
); lo stesso dicasi per le attrezzature,
il rinnovo degli arredi, le collaborazioni studentesche ecc. Anche le spese
per l'edilizia bibliotecaria, per l'acquisizione di programmi ed elaboratori
per l'informatizzazione, chiaramente, in alcuni atenei non vengono imputate
ai servizi bibliotecari. In realtà, quindi, la spesa è da
considerarsi ben al di là dei 522 miliardi, forse vicina ai 900,
rappresentando pertanto una quota non marginale della spesa nazionale complessiva
per l'intero sistema universitario.
Evidentemente, le risorse finanziarie sono più consistenti di quanto
si potesse ipotizzare; in altre parole, non è così vero che
la scarsa qualità imputabile ai servizi bibliotecari delle università
dipenda direttamente dalla scarsità degli input impiegati. Lo si
può desumere anche da un confronto con altre realtà, come
ad esempio quella inglese, di indiscussa efficacia in termini di servizi
offerti.
Per questo tipo di confronto, i dati vanno messi in relazione al numero
di studenti, utilizzando il criterio dello studente a tempo pieno (full
time equivalent), di difficile calcolo in Italia, visto l'alto numero di
iscritti non frequentanti. Una specifica metodologia sviluppata dall'Osservatorio
del MURST, basata sul numero degli esami sostenuti in funzione dei diversi
ambiti disciplinari, rende però disponibili valori soddisfacenti,
ed è stato così possibile un confronto che dà alcuni
risultati interessanti: gli spazi sono carenti in Italia, ma la differenza
di posti per studente non è così drammatica. Anche per le
acquisizioni non vi sono grandi distanze (2,4 libri e 0,34 abbonamenti in
Italia, contro 2,8 e 0,36 in Gran Bretagna). Addirittura il numero di studenti
per ogni addetto è minore in Italia (125) del dato inglese (138).
Più si approfondiscono i risultati del lavoro svolto, più
si può affermare che le risorse non mancano. Dove sta quindi la diversità?
Principalmente sul versante strutturale. In Italia abbiamo valutato, in
67 atenei, la presenza di oltre 2200 biblioteche, mentre nelle 104 università
inglesi le biblioteche sono molto meno, 556. Quindi la parcellizzazione
del nostro sistema bibliotecario universitario è alla base dei problemi
di cui soffre; ed infatti in media uno staff di una biblioteca inglese ha
più di 13 addetti, mentre in Italia - sempre in media, si badi bene
- il numero si riduce a 2,7; il che vuol dire, come risulta dai dati raccolti,
che un elevato numero di biblioteche è privo di addetti. Ed ancora,
mentre la media dei posti di lettura da noi è attorno ai 37 per biblioteca
(realmente impressionante), nelle sedi inglesi supera ampiamente i mille.
Ed ecco inoltre che i soli prestiti interbibliotecari assommano a 1,2 milioni
di operazioni (quasi tutte supportate dal servizio nazionale di Boston Spa).
Credo non serva aggiungere molti altri dati per sostenere che frammentazione,
cattiva distribuzione delle risorse (finanziarie, strutturali, umane), disomogeneità
e sottodimensionamento delle strutture siano i mali principali di cui soffrono
i servizi bibliotecari nei nostri atenei. Per ragionamenti più compiuti
ed approfonditi, rimando quindi al testo pubblicato sul sito del MURST.
Va però sottolineato che le cose si stanno evolvendo, e che la situazione
è destinata a mutare. La ricerca ha dimostrato la presenza di situazioni
ben al di sopra delle non esaltanti medie nazionali circa i problemi strutturali.
Vi sono atenei che evidentemente hanno puntato sulla riorganizzazione, sull'accorpamento,
su dimensioni ottimali per ottenere efficienza ed efficacia dei servizi;
che stanno organizzando staff centrali e periferici puntando ad una maggiore
professionalità e specializzazione degli addetti. Non resta quindi
che sperare, ma soprattutto continuare a lavorare per abbattere i limiti
ancora esistenti. Con queste convinzioni stiamo operando anche all'Università
di Ca' Foscari, ove puntiamo a realizzare un progetto ambizioso, accorpando
nel giro di alcuni anni le attuali 26 biblioteche, suddivise in oltre 30
sedi, in quattro strutture di servizio che ci auguriamo di poter inaugurare
in tempi non biblici, garantendo in questo modo quella qualità che
è ormai indispensabile agli utenti del mondo universitario.