"11. Seminario Angela Vinay"
BibliotECONOMIA
L'economia della cooperazione bibliotecaria
Finanziamenti
privati e sponsorizzazioni culturali
di Cesare Annibaldi
Presidente di Palazzo Grassi
In questo secolo il finanziamento delle attività culturali è
stato soprattutto - direi quasi esclusivamente - pubblico, pur se ci sono
stati qua e là interventi anche molto significativi da parte dei
privati, con una logica che fino all'anteguerra è stata prevalentemente
di tipo mecenatistico: basterebbe pensare a figure come Treccani e altre
analoghe personalità. Nel dopoguerra ha cominciato a verificarsi
un certo avvicinamento del mondo delle imprese a quello della cultura, si
pensi per esempio al caso dell'Olivetti, ma si è sempre trattato
di interventi che non possono essere definiti marginali, perché alcune
iniziative sono state di grande rilievo, ma sicuramente eccezionali, in
quanto eccentrici rispetto a quella che era la modalità generalizzata
di finanziamento e di promozione della cultura.
Intorno agli anni '80 c'è stato però un grande cambiamento,
sull'esempio di quello che già era avvenuto all'estero, soprattutto
nell'esperienza anglosassone: il mondo delle imprese infatti ha preso a
considerare la cultura come un campo interessante a cui legare i propri
interessi. Da questo punto di vista peraltro l'esperienza anglosassone è
stata un elemento, un fattore di stimolo, ma certo non ha mai potuto essere
un esempio in senso stretto della parola, in quanto muove da una situazione
completamente diversa: il finanziamento nei paesi anglosassoni è
sostanzialmente privato e solo eccezionalmente pubblico; lo Stato, invece
di provvedere direttamente al finanziamento, favorisce infatti quello dei
privati attraverso il regime fiscale. In fondo un regime fiscale favorevole
diventa un modo indiretto di finanziamento pubblico, perché rinunciando
a ricevere delle risorse dovute, lo Stato fa in modo che nascano maggiori
livelli di convenienza da parte degli operatori privati. Questa non è
certo la situazione italiana, dove non esiste sostanzialmente una scelta
di questo genere da parte dello Stato, e quindi è chiaro che il finanziamento
dei privati è un finanziamento non sostitutivo, ma per sua natura
integrativo, in quanto lo Stato non ha rinunciato ad essere il canale diretto
di finanziamento.
Da un livello molto basso e ristretto di risorse destinate dalle imprese
alla sponsorizzazione di beni culturali, si è passati dunque nel
giro di pochi anni a un volume di centinaia di miliardi, analogo e in certi
casi superiore a quello disponibile nei principali paesi in Europa. Come
succede sempre, è stata un esperienza che, dopo una prima fase di
crescita rapida e un po' tumultuosa - e se si vuole anche un po' casuale
- , con gli anni '90 e soprattutto intorno alla crisi del 1993-94 ha avuto
un momento di raffreddamento, mentre adesso si può dire che si sia
stabilizzata e abbia un suo andamento fisiologico: è in questo momento
quindi che inizia a valere la pena di farne un bilancio. Quali opportunità
possono derivare, soprattutto per quanto ci interessa oggi nel campo relativo
alle biblioteche e alle iniziative a livello locale, dal lavoro dei privati?
Innanzitutto comincio a procedere per grandi esclusioni, cioè considerando
alcune grandi aree molto significative, ma che non hanno un diretto rapporto
con quello di cui discutiamo oggi. Le cosiddette grandi istituzioni sovvenzionano
grandissimi eventi, soprattutto interventi di restauro con l'impiego anche
di investimenti rilevanti, che però riguardano monumenti di fortissima
immagine come il Colosseo, la facciata di San Pietro, i Musei Capitolini,
la Palazzina di Stupinigi. Questi sono esempi di interventi importanti,
a cui le imprese legano i loro nomi perché si tratta di operazioni
da una parte di grandissimo prestigio, dall'altra di grandissima notorietà:
due elementi che possono interessare le imprese. Però l'entità
dell'importo - dell'ordine di decine di miliardi - relativo alla partecipazione
a queste iniziative fa sì che queste si restringano a un numero molto
limitato di interventi, che in un qualche modo sono sostitutivi di quelli
dello Stato, ponendosi allo stesso livello.
C'è poi una seconda area, che costituisce la vera novità degli
anni '90 rispetto agli anni '80, che è quella delle imprese che sponsorizzano
attività collegate con la propria natura produttiva, legate cioè
alla loro natura di azienda industriale o di servizi. In questo caso è
l'azienda che produce, per esempio, oggetti di illuminazione la quale realizza
l'illuminazione di un museo, di un restauro, di un complesso artistico.
Se uno dovesse fare un elenco delle sponsorizzazioni degli ultimi anni,
vedrebbe che la quota di sponsorizzazioni legate alle proprie attività
è molto alta, e sviluppata su due versanti: uno è quello in
cui l'azienda mette direttamente a frutto le proprie capacità, con
un rapporto diretto tra la sua identità di azienda produttiva e l'intervento
di sponsorizzazione; l'altro, che può essere più esteso e
flessibile e quindi interessare anche le biblioteche, non prevede questo
rapporto diretto ed è quello di un'azienda che produce, per esempio,
siderurgia e che si occupa quindi anche degli aspetti sociali e industriali
di questo settore promuovendo pubblicazioni, ricerche storiche, raccolte
di bibliografie, biblioteche specializzate. In questo caso le attività
culturali vengono realizzate dai soggetti competenti, con il supporto dell'impresa
che ha così modo di sostenere anche la miglior conoscenza e lo sviluppo
del campo in cui opera. Quest'area di intervento è importante perché
consente la presenza delle piccole e medie imprese, mentre il primo tipo
di sponsorizzazione è tipico delle grandi imprese, che come è
noto in Italia sono veramente poche; visto dunque che invece la nostra grande
ricchezza sono le medie e le piccole imprese, bisognerà sviluppare
quelle forme di sponsorizzazione che sono a queste più congeniali.
C'è poi un'altra forma legata al rapporto con la comunità,
alla presenza nel territorio: oggi più che mai le imprese sentono
infatti l'esigenza di dimostrare ai cittadini di avere sensibilità
e interesse per i temi e le attese che sono propri delle comunità
in cui sono inserite. Da questo punto di vista non si persegue né
notorietà né prestigio, ma un processo di integrazione; questo
tipo di interventi era proprio una volta delle grandi imprese, mentre oggi
è svolto anche, con più limitato impegno economico, da imprese
di piccole e medie dimensioni. Forse, anzi, sotto un certo profilo è
più facile trovare questa sensibilità in imprese di medie
proporzioni che non in un'impresa più grande, la quale ha un rapporto
a volte più labile, più debole con uno specifico territorio
avendo una sua collocazione sul piano nazionale e in qualche caso anche
sul piano internazionale. Basterebbe analizzare le risposte che le imprese,
grandi e piccole, hanno dato alla richiesta di partecipazione alle fondazioni
degli enti lirici italiani: c'è stata infatti un'adesione ingente,
molto più forte di quello che si sarebbe potuto pensare. Questo non
tanto perché ci fossero poi dei ritorni in immagine molto precisi,
dal momento che si trattava della partecipazione di un numero anche molto
alto di imprese - e far parte di un pacchetto di quindici imprese non è
in sé un fatto di grande prestigio - quanto perché era comunque
un modo per rispondere a una richiesta, a una proposta che veniva dalla
società, un modo per non rompere un rapporto positivo che si intendeva
avere con il territorio.
Quelle che invece non sono in crescita, ma anzi vanno diminuendo, sono le
sponsorizzazioni legate alla visibilità, per cui, ad esempio, si
ringrazia con un cartello chi ha sostenuto il restauro di un monumento.
Questo genere di sponsorizzazioni o nasce da un'esigenza di rapporto forte
con il territorio, e allora rientra in quelle appena citate, oppure è
legato semplicemente, come negli anni '80, a un aspetto di notorietà;
in questo caso è destinato a sparire, perché ci sono oggi
forme di sponsorizzazione molto più proficue, come quelle sportive
che, specie attraverso il mezzo televisivo, danno una visibilità
più sicura e prolungata.
Da questo quadro che ho cercato di delineare, quali indicazioni si possono
trarre per quanto riguarda le tematiche che ci interessano?
Prima di tutto, che oggi non basta più una pura e semplice dazione
economica - per usare un termine che è stato di moda per un po' di
tempo - perché il soggetto si senta soddisfatto. Chi dà il
denaro ha bisogno di sentirsi partecipe in qualche modo delle iniziative,
cioè deve avere un ruolo nel loro svolgimento e nel loro esito. Questo
comporta che bisogna professionalizzare la ricerca della sponsorizzazione,
cioè fare quello che avviene negli altri paesi, dove non è
sufficiente - come avveniva una volta - chiedersi, tra le imprese presenti
nell'area, quali sono quelle che si possono raggiungere, magari attraverso
una qualche conoscenza personale: questo sistema ormai raramente dà
dei risultati. Bisogna anzitutto costruire un progetto, analizzare quali
ruoli i vari soggetti che vi partecipano debbano avere, stabilire tra questi
qual è il ruolo anche piccolo - l'importante è che sia preciso
- che si intende attribuire all'impresa; quindi fare un elenco di tutte
le imprese del territorio, esaminarne le caratteristiche, individuare quali
possono per la loro attività o la loro storia avere delle concordanze
di interesse con il progetto, procedere in via sistematica presentandosi
dalla prima all'ultima con una documentazione adeguata non solo a spiegare
il progetto stesso, ma soprattutto a suggerire quale vantaggio l'impresa
possa trarne.
L'esperienza che ho visto fare in questo campo dimostra che è un
percorso faticoso, ma dà dei risultati; ovviamente per seguirlo ci
vuole un professionista, una persona che fa esclusivamente questo mestiere,
non certo qualcuno che di solito si occupa di qualcos'altro.
Il caso delle biblioteche apparentemente è più complesso,
però non è da escludere che si possa proporre di costituire
una sezione speciale della biblioteca, o sostenerne una già esistente,
su una tematica che interessi a un certo tipo di azienda, la quale ovviamente
provveda a fornire dello risorse. Lo sforzo è sicuramente è
più difficile, ma via via si possono aprire nuove strade.
C'è poi un nuovo settore che riguarda i privati, che è quello
dei servizi: è ancora oggi un campo piuttosto limitato, perché
per servizi si intendono per lo più alcune funzioni molto marginali
come il bookshop o il ristorante, però il concetto di servizio si
va ormai allargando e si comincia ad affidare a terzi - anche attraverso
la forma ormai diffusa di outsourcing - una serie di funzioni che tradizionalmente
erano svolte dalle istituzioni titolari dell'attività culturale principale.
Ci sono casi in cui addirittura viene dato in outsourcing l'intero personale.
A questo punto più si allarga il concetto di gestione, più
si può pensare che i privati non solo formino delle società
per gestire servizi in termini di profitto, ma anche possano costituire
dei soggetti interessati a farlo come attività sia economica che
di supporto e sponsorizzazione.
Quali sono i cambiamenti che possono derivare, o sono già derivati
da questo contesto? Quelli che sono già derivati, vengono in realtà
soprattutto dall'entrata in campo delle fondazioni ex bancarie, che a differenza
degli altri soggetti fin qui considerati - imprese ed enti che solo in maniera
indiretta affrontano le tematiche culturali - hanno l'interesse culturale
come scopo fondamentale della loro attività. E' chiaro quindi come
il dialogo aperto e da aprire con questo mondo possa dare grandi opportunità.
Un'altra prospettiva, tutta da realizzare, che potrebbe rappresentare la
condizione per fare un vero salto di qualità in questa materia è
quella della defiscalizzazione da parte dello Stato. Come è noto
esiste già una legge che ha avuto un'applicazione molto parziale,
un po' perché era parziale l'importo della defiscalizzazione, un
po' perché non è mai stato emanato il relativo regolamento,
un po' perché in realtà si è applicata soprattutto
all'interno dello Stato, dove era più facile strutturare gli accordi.
Ma ci sono invece tantissime forme, che poi sono le forme stesse della gestione,
nelle quali la defiscalizzazione potrebbe essere applicata: bisognerebbe
però convincere il Ministero delle Finanze a considerare lo strumento
fiscale uno strumento flessibile, non rigidamente destinato solo ad aumentare
le entrate dello Stato.
Questo sarebbe particolarmente importante, perché oggi l'orientamento
generale non è più quello degli investimenti fissi: ormai
infatti non siamo più nella condizione di 15-20 anni fa, il restauro
e il recupero del nostro patrimonio stanno procedendo abbastanza bene e
non rappresentano più un punto critico, anche se ancora abbisognano
di finanziamenti adeguati. Il vero problema tuttavia è oggi la gestione
perché un edificio, una volta restaurato, finisce inevitabilmente
per deperire qualora non venga gestito, mentre tutte le attività
che vi si vengono a creare a loro volta richiedono sempre maggiori risorse,
moltiplicando gli oneri invece di alleggerirli.
Per arrivare a una gestione economica, prima di tutto ci vuole dunque in
tutti i sensi maggiore spazio per il ruolo dei privati, perché oggi
si accoglie più facilmente chi vuole semplicemente dare un contributo
per un restauro, mentre viene visto con molto sospetto chiunque intenda
gestire qualcosa: in questo campo d'altra parte lo scarico fiscale non opera
nella maniera più assoluta. Questa invece credo sia proprio la direzione
su cui si deve cercare di far orientare le politiche future. Grazie.