"10. Seminario Angela Vinay"
L'AUTOMAZIONE DELLE BIBLIOTECHE NEL VENETO:
tra gli anni '90 e il nuovo millennio
di Giorgio Lotto
direttore della Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza
Da qualche anno, dopo la pubblicazione dellesperienza di business
information in atto presso la Biblioteca Civica di Schio, biblioteca che
ho avuto la fortuna di dirigere per una decina danni, vengo frequentemente
richiesto di relazionare in merito a questo servizio che risulta innovativo
rispetto alla tradizione della biblioteca pubblica italiana.
In queste occasioni riscontro in genere grande interesse, ma, contemporaneamente,
anche lidea che tale esperienza sia difficilmente riproducibile in
altre biblioteche.
La situazione, il contesto, le scelte gestionali delle biblioteche pubbliche
in Italia, diversamente da quanto accade in Gran Bretagna, piuttosto che
in Danimarca, piuttosto che in Svezia o Norvegia, sembrerebbero non facilmente
coniugabili con un tale tipo di servizio che non è altro, poi, che
un prolungamento al mondo del lavoro dellattività di consulenza
e reference.
Vorrei quindi partire dalla valutazione secondo cui la biblioteca pubblica
in Italia sarebbe strutturalmente datata, vecchia, a rischio di perdere
il passo rispetto alla società dellinformazione malgrado il
moltiplicarsi di postazioni Internet in ogni sede.
Dati AIB oggi in fase di messa a punto sembrerebbero confermare due sensazioni
abbastanza diffuse tra chi opera nelle pubbliche in Italia.
La prima riguarda il fatto che una crescita del servizio continuerebbe ad
esserci, ma rispetto alla rapida evoluzione registrata negli anni Settanta
e Ottanta essa sarebbe abbastanza contenuta. La seconda sensazione si riferisce
in particolare alle realtà risultate trainanti nel recente passato
per le quali questa contrazione nello sviluppo sarebbe ancor più
accentuata.
Se questi dati venissero confermati, come tutto lascia pensare, dovremmo
concludere che la biblioteca pubblica in Italia sta rallentando il passo,
va stancamente arroccandosi su livelli di investimento e di servizio che
conosciamo e che, nel confronto con altre esperienze europee, ci lasciano
decisamente lamaro in bocca.
Proviamo allora a porci come osservatori distaccati del fenomeno.
Esiste anche nel nostro Paese una realtà di servizio definita biblioteca
pubblica, realtà che, dicevamo, non riesce a riscontrare investimenti
adeguati e non riesce ad offrire alle comunità di riferimento quanto
viene proposto in altre nazioni evolute. Dopo decine danni di presenza
sul mercato, fatte tutte le dovute eccezioni, dovremmo dunque
concludere che questa struttura di servizio non riesce a concretizzare le
potenzialità che le sono proprie.
Per capire qualcosa di più vorrei andare oltre in questa breve analisi
e valutare se lesito non soddisfacente del lavoro di quanti si sono
finora impegnati nel settore non sia da collegare allinadeguatezza
tipologica dellofferta. Ciò appare peraltro opportuno anche
in considerazione del fatto che, se gli investimenti non appaiono sufficienti,
la spesa per le biblioteche pubbliche non risulta del tutto insignificante.
Nella sola provincia di Vicenza in cui io opero, per esempio, per unottantina
di biblioteche comunali realmente funzionanti si spendono circa 20 miliardi
lanno, dei quali 1,8 sono destinati allacquisto di libri. Certamente
non siamo sui migliori livelli europei tuttavia non possiamo neppure sottovalutare
tale impegno.
In estrema sintesi definiamo allora che gli obiettivi che la biblioteca
pubblica in Italia si è data sono state e sono sostanzialmente quattro:
la diffusione della lettura, il supporto allattività scolastica,
la conservazione delle memorie locali, la gestione di attività culturali.
Anche le più interessanti esperienze innovative in atto, in fondo,
continuano a muoversi su questi filoni: pensiamo per esempio, una per tutte,
alla biblioteca fuori di sé.
Bene, io ho la convinzione che lattenzione per questa gamma di prodotti
sia in calo e che lo sarà ancora di più in futuro. Non credo
infatti di dire stranezze affermando che i testi li troveremo sempre più
in rete, che lofferta di servizi bibliotecari e di documentazione
da parte delluniversità, della scuola in generale, sta malgrado
tutto migliorando, che la conservazione della memoria, anche quella locale,
è comunque da affidare a strutture bibliotecarie specializzate di
impianto prettamente conservativo, che la gestione di attività culturali
generiche, infine, è da considerare una anomalia del nostro sistema
bibliotecario pubblico e andrebbe curata più proficuamente dagli
assessorati alla cultura.
Queste valutazioni mi porterebbero a pronosticare per la biblioteca pubblica
un futuro meno roseo se non fossi convinto, per altro verso, che questa
istituzione pubblica ha le proverbiali sette vite e che quella che ha finora
vissuto è probabilmente solo la prima. Invito tutti, dunque, a rimboccarsi
fiduciosamente le maniche per cercare nuove vie e per rifondare la biblioteca
pubblica anche in Italia.
Ma come? con quali obiettivi? Per rispondere a quali esigenze?
Se non è una inversione a U quella che intendo proporvi, si tratta
comunque di una bella sterzata per compiere la quale le già citate
esperienze straniere potrebbero ben indicarci da quale parte girare proficuamente
il volante.
Proseguiamo con ordine.
Probabilmente è una forzatura, ne sono cosciente, tuttavia a me piace
dire che la biblioteca conservativa è in quanto ha, mentre la biblioteca
pubblica è in quanto sa.
Mi spiego. È noto che la biblioteca conservativa vive della ricchezza
delle proprie raccolte che nel tempo non riducono il loro valore. La biblioteca
pubblica, che ha come linee guida del proprio agire i concetti di generalità
e contemporaneità, non può invece far conto sul proprio patrimonio
che ha una durata informativa sempre più contenuta e che appare sempre
meno adeguato a rappresentare luniverso attuale dellinformazione.
Dunque il bibliotecario della biblioteca pubblica i documenti dovrebbe saperli
trovare sempre più altrove, dovrebbe sapervi accedere, dovrebbe saper
validare le informazioni, dovrebbe saper costruire le risposte.
Così facendo la biblioteca pubblica svolgerebbe un servizio sicuramente
molto gradito, quello di mediatore tra le informazioni e gli utenti, come
andiamo auspicando da tempo, e i bibliotecari svilupperebbero il know-how
di documentalisti pubblici o meglio, come dice da tempo Michael Malinconico,
degli ingegneri della ricerca dei dati. Così facendo la stessa biblioteca
riconfermerebbe, tra laltro, quel ruolo di istituto della democrazia
sottolineato da Virginia Carini Dainotti offrendo a tutti la possibilità
di fruire utilmente di strumenti assai complessi quali sono le reti, i computer,
i motori di ricerca, ma anche ed ancora, i libri, le riviste, ecc.
Chi è già impegnato su questo fronte sa che simili affermazioni
non sono tirate per i capelli: molti sono in grado di navigare come tutti
sono capaci di aprire un libro, ma quanti sono dotati di conoscenze tali
da assumere un atteggiamento critico rispetto ai modi e quindi ai contenuti
del Web tanto da poterlo usare con sicurezza come fonte affidabile?
Ed è peraltro cosa preziosa questa capacità per un mondo che
fa delle informazioni, dei memi come direbbe Richard Dawkins, un bene vitale
per ogni momento dellattività umana, un mondo che spesso non
trova il tempo per fermarsi ed imparare.
Quello che si prospetta è dunque un ruolo socialmente importante,
capace di dare spessore culturale, di innervare capillarmente, arricchendola,
ogni attività umana.
Ora posso tornare più puntualmente al tema affidatomi affermando
che allora, ma solo allora, quando cioè questo ruolo saremo in grado
di svolgerlo, non risulterà più strano che la biblioteca risponda
nei modi e nei tempi di una società che corre, forsanche troppo
in fretta, a domande quali:
(imprenditore) Mi servirebbero informazioni dettagliate di tipo tecnico
e commerciale per avviare un allevamento di lumache;
(studio legale) Abbiamo bisogno di sentenze relative al concetto di
vincolo paesaggistico;
(ufficio tecnico di una USL) Stiamo cercando norme sulla gestione
dei centri diurni allestero;
(azienda che opera nel settore della sicurezza nei luoghi di lavoro) Dobbiamo
disporre delle norme, dei criteri e delle procedure adottate per la classificazione
di reazione al fuoco e lomologazione dei materiali ai fini della prevenzione
incendi.
Queste e migliaia daltre ancora che potrei riportarvi sono richieste
realmente pervenute ed alle quali è stata fornita adeguata risposta
in una biblioteca pubblica veneta, quella di Schio, appunto, una biblioteca
certo non è senza peccato, che ha avuto forse, però,
il merito di credere di dover svolgere la funzione di centro di informazione
per la collettività in una realtà territoriale ad alta densità
imprenditoriale. A questo forse andrebbe aggiunto il riconoscimento di aver
investito come raramente accade sulla professionalità del personale,
una professionalità nuova e costantemente aggiornata.
Che la business information, relativamente alle biblioteche pubbliche, abbia
trovato in Italia la sua prima realizzazione nel Nord-Est non è senza
significato. Il modello imprenditoriale di questarea è infatti
la piccola azienda, caratterizzata normalmente da alto livello tecnologico,
da spiccata vocazione allexport, ma anche dalla mancanza di quelle
strutture di supporto produttivo, quali i centri di documentazione, normalmente
presenti nella grande azienda. È chiaro peraltro che la biblioteca,
qui come altrove, non si prefigge di essere unico riferimento informativo
per queste aziende: si affianca alle associazioni di categoria, alle organizzazioni
sindacali e quantaltro in una logica di complementarietà. Non
dimenticando di essere una istituzione culturale, essa garantisce oltretutto
valore aggiunto ai suoi prodotti supportandoli con altri dati, con riferimenti
ad altre fonti, fornendo indicazioni per possibili percorsi di approfondimento.
La tipologia della domanda riscontrata nelle biblioteche che nel mondo hanno
proposto questo servizio è stata ovunque condizionata dalla presenza
di altre realtà informative sul territorio. Nel caso di Schio fin
dallinizio a fare la parte del leone è spettato alle richieste
di carattere giuridico (fino a 70%) seguite molto a distanza da quelle di
carattere fattuale, dai quesiti legati alle norme tecniche, ai temi di carattere
economico e fiscale e, per chiudere, alle ricerche bibliografiche e di mercato.
Tali richieste di servizio vengono normalmente, e con sempre maggiore frequenza,
avanzate alla biblioteca tramite telefono, fax o posta elettronica. Ed alla
biblioteca viene richiesto di fornire risposte tramite le stesse vie. È
ovvio che è un modo diverso di fare consulenza informativa: tutte
le varie fasi di questa attività bibliotecaria vanno ridefinite in
questa prospettiva.
È altrettanto ovvio che la risposta dovrà essere fornita negli
stretti tempi proposti dal mondo del lavoro (più del 60% vengono
fornite in meno di 15 minuti). Ciò comporta che lintera macchina
biblioteca assuma i ritmi giusti. Non avrebbe alcun senso infatti
attribuire la massima efficienza allufficio consulenza e poi non garantirgli
il supporto di un altrettanto efficiente strumentazione per la comunicazione
o il supporto di una gestione delle raccolte documentarie attenta a mantenere
costantemente aggiornate le fonti.
È inutile sottolineare come in questo modo laccelerazione ed
il potenziamento che viene impresso allintera biblioteca vada a vantaggio
non solo del mondo del lavoro ma di ogni tipologia di utenza.
Una precisazione che mi viene regolarmente richiesta riguarda quanto costi
questo servizio tenute presenti le componenti personale, documentazione,
attrezzatura e quantaltro. La misurazioni effettuate mi portano ad
indicare un + 18 % rispetto al costo di un normale prodotto di consulenza
bibliografica. È anche il caso di dire che la messa a punto di prodotti
di business information è meno oneroso per la biblioteca di quanto
non lo sia per una agenzia di servizi informativi che non può avere
alle spalle il patrimonio documentario e, permettetemi, anche le professionalità
di per sé presenti in biblioteca.
Non vorrei qui inoltrarmi sulla dibattutissima questione delle tariffe nelle
biblioteche pubbliche, ma è evidente che questo maggior costo del
servizio di business information può avere come contropartita le
entrate previste dalla legge italiana per i servizi definiti a domanda
individuale.
Sempre nella logica di coprire la maggior spesa, per quanto mi riguarda
ho potuto verificare che una cooperazione bibliotecaria adeguatamente dimensionata
sul territorio e che coinvolga anche lattività di consulenza,
permette un più facile ammortamento degli investimenti necessari
a questo servizio.
Mi piacerebbe tuttavia che nel valutare la business information si riuscisse
ad andare oltre gli aspetti di costo per soffermarsi sul valore sociale
dello stesso, così come siamo abituati a fare per le iniziative legate
alla pubblica lettura o alle attività culturali in genere. Mi piacerebbe,
in sostanza che là dove le caratteristiche della collettività
giustificano una tale scelta essa venisse messa in atto con la coscienza
che si tratta di un servizio di istituto, un servizio che deve cioè
essere presente in una biblioteca pubblica che ha fatto propri i principi
della public library.
Io mi fermo qui, lasciando agli amministratori la scelta se mantenere questa
istituzione culturale sulle linee tradizionali di servizio o se tentare
altre vie. Eventualmente, se si deciderà di rifondarla questa biblioteca
pubblica, ai tecnici, ai colleghi lascio (solo come espressione retorica
in quanto dovrei dire che con loro condivido) il compito di raggiungere
rapidamente un livello di professionalità adeguata a questa nuova
sfida che aggiungerebbe spessore al ruolo sociale delle nostre biblioteche
e garantirebbe a grosse soddisfazioni, oltre che ulteriore motivazione rispetto
ad una professione, quella del bibliotecario pubblico, che non permette
di non essere al passo con i tempi.
Bruno Bernardi
Io sono rimasto molto impressionato da queste comunicazioni , e per
ragioni di vicinanza di mestiere ho appuntato quello che diceva Lotto poco
fa sulla attività di business information.
La mia domanda è questa: non ritieni che un servizio come questo,
più che avere come interlocutori i singoli operatori, debba avere
come partner e interlocutori le associazioni di categoria, le quali sono
delle realtà per lappunto associative e quindi non-profit?
Questo lo dico in considerazione di due aspetti ai quali prima si era accennato
e sui quali concordo in pieno: il primo è che queste operazioni hanno
significato in quanto non siano sporadiche, ma siano invece collegate in
maniera sistematica alle necessità, ma anche alle occasioni di frequentazione
proprio tra operatori presenti nella zona; il secondo è che per ragioni
di economia fiscale, anche se ormai non sono più di moda, mi pare
improbabile che una struttura per forza di cose piccola come una biblioteca
si debba specializzare in una tale quantità di settori che vanno
dallorafo al dolciario; forse avere come filtri le associazioni potrebbe
essere una scelta più produttiva, e lo chiedo a chi ha vissuto la
cosa in prima persona.
Giorgio Lotto
Per motivi di brevità nel mio intervento ho cercato di spiegare
che con le varie associazioni di categoria, con i sindacati, la Camera di
commercio etc. non ci sono stati motivi di frizione o di competizione. Posso
aggiungere che prima di iniziare quellesperienza abbiamo cercato ed
ottenuto il dialogo con tutti. La biblioteca non andava cercando un
posto al sole, voleva solo verificare se cerano esigenze informative
cui nessuno si proponeva di dare risposta. Peraltro i circa 1500 quesiti
provenienti dal mondo del lavoro giunti mediamente negli anni successivi
confermarono che questo dubbio era lecito.
Dunque, dialogo cè stato come cè stato lincoraggiamento;
per onestà non posso dire però di aver ricevuto aiuti. Anzi
in camera caritatis qualcuno mi fece capire che il fatto di offrire a chiunque
come istituzione pubblica informazioni che spesso risultavano merce
di scambio tra gli addetti ai lavori avrebbe rovinato la piazza.
Ricordo che questo ci diede ulteriore convinzione rispetto allopportunità
di perseguire il nostro progetto: in un paese civile le informazioni per
lavorare dovrebbero essere facilmente reperibili da tutti; la differenza
sul mercato la dovrebbero fare la professionalità e la grinta.
Che laiuto non ci sia stato non ha significato però una mancanza
di scambio di collaborazioni con gli uffici-informazione di queste organizzazioni.
Daltro canto era impensabile che il dialogo con loro potesse soddisfarci
rispetto alle nostre esigenze di servizio pubblico. In genere, infatti,
la fruizione dei loro servigi è caratterizzata da restrizioni quali
iscrizioni o il versamento di importi ben più elevati delle nostre
tariffe.
Per quanto concerne il secondo quesito che mi è stato implicitamente
posto, cioè quello della specializzazione, devo precisare che i consulenti
in una biblioteca non sono, non vogliono essere e non saranno mai di volta
in volta medici, ingegneri, commercialisti etc. Non si permettono di entrare
nel merito dei dati che forniscono allutente. A loro spetta reperire,
fornire il dato e validare la fonte.
Sicuramente nel far questo necessitano di una conoscenza geografica
della materia trattata oltre che delle fonti stesse. Anche in questo caso
il lavorare in cooperazione con altre biblioteche è daiuto.
Allinterno della rete delle pubbliche esistono infatti specializzazioni
legate alle peculiarità delle singole aree servite ed anche, tra
i colleghi, i più diversi background professionali. Ciò senza
contare che anche i bibliotecari incaricati nelle nostre strutture dellattività
di consulenza spesso si riferiscono, per richiedere indirizzi nelle ricerche,
a biblioteche o centri di documentazione specializzati, i quali normalmente
accettano volentieri il dialogo nella logica della reciprocità,
Per le richieste più impegnative, quindi, la risposta è in
genere frutto di un serio confronto professionale.