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"10. Seminario Angela Vinay"
L'AUTOMAZIONE DELLE BIBLIOTECHE NEL VENETO:
tra gli anni '90 e il nuovo millennio

Cooperazione bibliotecaria e globalizzazione del mercato dell'accesso all'informazione e alla conoscenza

di Claudio Leombroni
responsabile dell'Unità operativa Biblioteche e servizi informativi della Provincia di Ravenna

L'argomento sul quale siamo chiamati a discutere è il modello italiano di cooperazione, di lavoro cooperativo fra servizi bibliotecari. Non so se il caso italiano possa far emergere un 'modello' o almeno quel livello di strutturazione, di consapevolezza organizzativa che tale concetto evoca. Certamente in quest'ultimo decennio, oltre ad un ricco dibattito in seno alla professione - che peraltro ha trovato eco in svariati Seminari Vinay - abbiamo visto crescere e consolidarsi significative pratiche di cooperazione bibliotecaria accanto all'esperienza, che nonostante tutto continuo a ritenere straordinaria, del Servizio Bibliotecario Nazionale.
In questa realtà, che rimane comunque variegata, gli spazi della cooperazione sembrano delimitati dall'intersezione fra la gerarchia attribuita a tre distinte concezioni del lavoro cooperativo - una bibliotecaria, una tecnologica e una burocratica - e l'appartenenza o meno a SBN.
Generalmente la grande vitalità di sistemi o reti bibliotecarie non appartenenti a SBN, diffusi soprattutto nel Veneto, in Lombardia e in Emilia Romagna, si fonda sul significato più proprio che la nostra professione riconosce al termine 'cooperazione', ossia sulla percezione strategica da parte delle biblioteche e dei singoli bibliotecari che la condivisione di risorse bibliografiche, esperienze, strumenti e modalità di lavoro consente di soddisfare al meglio i bisogni conoscitivi e informativi della comunità. In questo contesto gli attori, gli elementi propulsivi della cooperazione sono innanzitutto le biblioteche. Ad esse si aggiungono successivamente gli altri livelli strumentali della cooperazione: un atto amministrativo, tipicamente una convenzione o un accordo di programma, tra gli enti 'titolari' delle singole biblioteche (cooperazione inter-istituzionale o burocratica); apparati tecnologici e programmi informatici per rendere più efficiente la condivisione di servizi e risorse (cooperazione tecnologica). In questi casi felici generalmente la volontà del decisore politico si conforma alle modalità e agli orizzonti delle pratiche cooperative poste in atto dalle biblioteche, poiché il robusto radicamento nei bisogni della comunità rende quelle stesse pratiche 'politicamente' significative. Ciò spiega come diversi sistemi bibliotecari, magari tecnologicamente non avanzatissimi, siano tuttavia capaci di offrire servizi notevolmente efficienti e di condizionare anche il livello della cooperazione burocratica, individuando, difendendo e imponendo (vedi Abano Terme) le figure giuridiche della cooperazione ritenute più idonee.
Nel caso di SBN la gerarchia dei livelli di cooperazione è stata ed è tuttora esattamente opposta. Per convincersene basta riflettere sui quindici anni che abbiamo alle spalle. Alla base dell'avvio del progetto vi fu un atto (protocollo di intesa) di cooperazione burocratica tra Stato e Regioni. Dal punto di vista delle biblioteche pubbliche si trattava degli Enti territoriali più distanti. Gli altri possibili attori della cooperazione burocratica - le Province, ma soprattutto i Comuni sui quali grava istituzionalmente gran parte dei costi dei servizi bibliotecari - rimanevano sullo sfondo, a parte compiti e ruoli fissati dalle singole leggi regionali. Il loro coinvolgimento era incardinato nell'ambito dei sistemi regionali in cui si intendeva articolare il Servizio Bibliotecario Nazionale, o meglio in quelle 'unità di servizio' che le Regioni dovevano individuare per definire i servizi locali di SBN.
Il ruolo delle Province, dei Comuni e delle biblioteche pubbliche in ambito SBN si svolse così entro gli spazi disegnati dall'intersezione di questa architettura con l'organizzazione bibliotecaria definita dalle singole leggi regionali.
Val la pena osservare che il ruolo preponderante del livello di cooperazione burocratica era strettamente connesso al rilievo che la cooperazione tecnologica aveva acquistato nella realizzazione del progetto SBN. Non a caso nel testo del Protocollo non erano presenti impegni concreti sui principi generali, gli obiettivi strategici richiamati dai 'padri fondatori' di SBN. Il livello di cooperazione individuato coincideva piuttosto con l'automazione dei servizi bibliotecari. Anzi, alcune parti del documento inducono ad una lettura del Protocollo come un contratto fra soggetti pubblici per la produzione, la gestione e la circolazione di software.
E' lecito chiedersi se il primato della cooperazione burocratica, che si estrinsecava nel disegno di una rete bibliotecaria che escludeva le biblioteche (le 'unità di servizio') dal governo di essa, potesse effettivamente sviluppare la 'cooperazione bibliotecaria'; se contenesse al suo interno quella necessaria flessibilità per adattarsi agli 'spazi' della cooperazione bibliotecaria, più o meno vasti, più o meno coincidenti con determinate circoscrizioni amministrative e, in ogni caso, non definibili o attribuibili a priori.
Tuttavia l'architettura della cooperazione definita agli inizi del progetto era forse l'unico strumento per definire una solida cornice istituzionale che consentisse l'integrazione e lo sviluppo di servizi nazionali e servizi locali e la realizzazione di quell'obiettivo che SBN si era dato: "cambiare la realtà bibliotecaria del nostro paese". Credo che questo sia il luogo più adatto per ricordare il bellissimo discorso che Angela Vinay pronunciò proprio vent'anni fa, agli albori del progetto, in occasione della Conferenza Nazionale delle biblioteche. "E' nostra convinzione - disse a nome dell'AIB - che per una seria ipotesi che voglia dare al paese un sistema di informazione e di strutture per la formazione e l'educazione permanente del cittadino, la legge debba realizzare una organizzazione orizzontale e verticale sulla base di sistemi integrati previa una individuazione, mai sin qui realmente tentata, dei compiti rispettivi delle strutture e dei servizi centrali, regionali, locali"(1) . Considerando il quadro politico-istituzionale di allora, la paventata situazione di scollamento fra Stato e Regioni a seguito del decentramento di competenze in materia di biblioteche avvenuto in virtù del DPR 3/72 e la grandiosità degli obiettivi del progetto SBN è tuttora difficile pensare a scelte diverse da quelle che furono adottate nei primi anni Ottanta.
Nel corso degli anni, però, il primato della cooperazione burocratica nel mondo SBN, frattanto arricchitosi di un'ulteriore componente, l'Università, ha assunto connotati che mi sembrano francamente anacronistici, non più giustificabili dalle circostanze esterne e per certi versi addirittura in contrasto con l'attuale dibattito circa la ridistribuzione di prerogative e competenze fra Stato ed autonomie locali, oltre che con il grado di maturità acquisito dai bibliotecari italiani. Tale primato si è rafforzato con modalità operative che appartengono alla cultura politica dei primi cinquant'anni della nostra storia repubblicana: un rapporto ancillare con la tecnologia (nella fattispecie la cooperazione tecnologica) intesa come settore dell'economia pubblica, l'assunzione di decisioni spesso al di fuori delle sedi istituzionali (nella fattispecie gli 'organi di governo' SBN), la carenza e in taluni casi l'assenza di un dibattito pubblico, o più tecnicamente, di un processo deliberativo pubblico, una visione del mercato più vicina al concetto di 'partecipazioni statali' che a quello di libera concorrenza, l'inclusione degli interventi a favore delle biblioteche nell'ambito del concetto, profondamente illiberale, di 'politica culturale' dei poteri pubblici.
Ne è un esempio un documento sulla riorganizzazione delle attività della rete che si appresta ad essere approvato dal Consiglio Nazionale SBN. Questo documento, oltre a propositi condivisibili, disegna una nuova struttura gestionale di SBN di tipo privatistico, ma di incerta configurazione giuridica (consorzio o azienda a partecipazione pubblica o altro), che prevede la partecipazione primaria degli Enti promotori di SBN (Stato, Regioni, Università), con il compito prevalente di gestire la componente tecnologica del Servizio Bibliotecario Nazionale. Naturalmente, secondo la concezione 'parastatale' del mercato sopra richiamata, tale organismo sarà finanziato con una quota maggioritaria di denaro pubblico (statale o locale), sarà aperto a soggetti privati e poiché secondo la nostra tradizione politico-culturale il profitto è un peccato, soprattutto se dichiaratamente perseguito, non avrà fini di lucro.
A parte le perplessità sulla fisionomia giuridica di questo nuovo organismo e sulla sua efficacia, questo documento si presta a parecchie considerazioni, anche malevole, di 'dietrologia' politica. Mi limiterò pertanto ad alcune riflessioni coerenti con il tema del nostro dibattito e sostanzialmente coincidenti con tre interrogativi.
Anzitutto, è possibile immaginare organismi di gestione di una rete di servizi bibliotecari che non abbiano come 'soci' le biblioteche aderenti alla rete, ma i soggetti più distanti da esse? In Italia è evidentemente possibile; e si tratta certamente di un unicum nel panorama delle reti bibliotecarie internazionali attualmente esistenti. Pensare che si possa migliorare l'efficienza dei servizi SBN relegando le biblioteche a ruoli meramente consultivi, a una sorta di Terzo Stato giuridicamente rappresentato dall'Assemblea degli utenti (organismo previsto dall'attuale assetto di SBN e sinora mai convocato), affidando il governo della rete a organismi 'parastatali' è una follia. Ed è anche un'offesa alle biblioteche e ai bibliotecari che in questi anni, con il loro lavoro, hanno consentito la crescita e lo sviluppo di SBN. L'efficienza dei servizi di una rete bibliotecaria si fonda sulla solidità della cooperazione fra le biblioteche della rete, sul grado di coinvolgimento e di responsabilità delle stesse, sulla consapevolezza dei benefici della cooperazione, sulla qualità delle risorse umane impegnate, sul finanziamento dei servizi cooperativi da parte delle biblioteche stesse. Gli Enti immediatamente o mediatamente sovraordinati hanno solo il compito di assecondare, incoraggiare e sostenere con intelligenza il moto spontaneo della cooperazione bibliotecaria.
E' possibile ridurre la cooperazione nell'ambito di SBN alla sola cooperazione tecnologica? Il dibattito di questi anni all'interno della nostra professione ha escluso questa equazione, così come lo aveva escluso, prima ancora, quel gruppo di bibliotecari che aveva dato avvio al progetto. In tutti gli scritti di Angela Vinay è presente la preoccupazione di non ridurre SBN ad un "pacchetto di programmi". Potete constatarlo anche leggendo il testo dell'ultima conferenza tenuta dalla Vinay nel Veneto il 13 aprile 1987 incluso in fotocopia nelle cartelle distribuite dalla Fondazione Querini Stampalia ai partecipanti a questo Seminario. Tommaso Giordano, dal canto suo, ha più volte affermato che "SBN deve essere innanzitutto un'agenzia di servizi bibliografici e non un'organizzazione che produce pacchetti di software per le biblioteche"(2) . Del resto, in teoria e in pratica, nessun progetto d'automazione delle biblioteche ha successo se non è preceduto e accompagnato da una seria reingegnerizzazione dell'organizzazione dei servizi e dei processi di lavoro; operazione, quest'ultima, che solo le singole biblioteche possono svolgere. Al contrario dobbiamo constatare che la cooperazione burocratica ha prodotto l'assimilazione di SBN a un progetto di cooperazione tecnologica.
 Credo che ciò sia potuto accadere principalmente proprio in virtù del primato della cooperazione burocratica sulla cooperazione bibliotecaria. Per i soggetti che governano SBN, molto 'lontani' dalle biblioteche, per collocazione nello spazio istituzionale (Regioni) o per carenze culturali, organizzative e di 'missione' (Stato), di fatto lo strumento più immediato per realizzare l'integrazione di servizi nazionali e servizi locali è probabilmente la cooperazione tecnologica. Sotto questo profilo, il ruolo dell'Università, divenuta terzo attore della cooperazione burocratica, è stato deludente. Al di là di un fiero "adesso ci penso io" proclamato al momento della calata in forze nel mondo SBN, visto con molto favore da molti, compreso il sottoscritto, non c'è stato alcun atto incisivo, capace di accelerare la riorganizzazione di SBN almeno secondo parametri di buon senso. Anzi il documento sopra citato mostra che anche il mondo universitario è ampiamente permeato di quella stessa cultura 'parastatale' che ha animato nell'ultimo decennio la cooperazione burocratica nell'ambito del Servizio Bibliotecario Nazionale. La cooperazione tecnologica nell'universo SBN, saldamente incardinata nell'economia pubblica, ha prodotto quattro effetti negativi: innanzitutto ha impedito il decollo nel nostro paese di un vero e proprio mercato del software per l'automazione bibliotecaria, come esiste in altri paesi; in secondo luogo ha creato perversi meccanismi di concorrenza fra enti pubblici e soggetti privati e addirittura fra gli stessi soggetti pubblici; in terzo luogo ha danneggiato l'immagine stessa degli Enti, spesso additati, a torto, come i difensori degli interessi delle ditte alle quali avevano affidato lo sviluppo delle applicazioni; infine ha determinato, secondo la 'migliore' tradizione delle partecipazioni statali, una lievitazione dei costi di gestione e manutenzione del software, ormai determinati all'interno di un vero e proprio cartello monopolistico.
Questa concezione parastatale della cooperazione tecnologica ha ormai solide radici. Persino l'apertura di SBN a soggetti esterni - la novità di questi ultimi anni - sinora è stata praticata ricorrendo alla forma della malleveria da parte di soggetti pubblici: se una qualunque ditta, italiana o straniera, intendesse sviluppare un 'pacchetto' SBN o adeguare una propria applicazione alle specifiche funzionali e architetturali di SBN dovrebbe farne richiesta all'ICCU attraverso i soggetti pubblici che intendono utilizzare tali applicativi. Una corretta visione del mercato e della distinzione di ruoli fra pubblico e privato richiede invece due semplici atti: rendere di pubblico dominio l'intera documentazione tecnica di SBN; consentire a tutti i soggetti che siano interessati, magari gradualmente e all'interno di una cornice di regole, di sviluppare gli applicativi in un regime di concorrenza.
Per concludere l'ultimo interrogativo: l'architettura della cooperazione SBN disegnata nell'ultimo decennio è idonea a consolidare il ruolo e i servizi delle biblioteche pubbliche nella cosiddetta società dell'informazione?
La mia impressione è che si tratti di un modello perdente, sia perché l'identità delle biblioteche pubbliche nel mondo SBN è subordinata al peso burocratico degli Enti più distanti da esse, sia perché attualmente l'orizzonte d'attesa delle biblioteche pubbliche non coincide con una semplice rete bibliotecaria, ma con una infrastruttura di servizi che consenta di gestire quell'enorme database distribuito della conoscenza, alimentato non solo dai servizi bibliotecari, che le reti rendono disponibile al cittadino.
A differenza delle biblioteche statali o delle biblioteche universitarie, le biblioteche degli Enti locali devono confrontarsi con le aspettative di una società sempre più complessa che chiede di "consentire a tutti l'accesso a ogni tipo di informazione indipendentemente dal tempo e dallo spazio". Per esse è difficile giustificare nel bilancio di un Comune, nel quale si tagliano spese sociali e infrastrutturali, i costi di gestione di un servizio bibliotecario, pur aderente a SBN, che si limiti all'esercizio di poche funzioni tradizionali, sempre più marginali di fronte alle attese della comunità. D'altra parte quella stessa comunità ha a disposizione ormai un nutrito numero di 'agenzie informative' alternative alle biblioteche. La globalizzazione del mercato dell'informazione rende inoltre disponibili anche i servizi di agenzie informative remote. In questo mercato è prevedibile il massiccio ingresso di soggetti privati. I segnali, nei paesi più evoluti sono già evidenti: una grande compagnia telefonica americana ha acquisito due fra i più noti sistemi di automazione bibliotecaria (Dynix e Notis); America Online ha addirittura acquisito Netscape e qua e là fioriscono portals privati. Di fronte a questi scenari nei prossimi anni l'architettura della cooperazione SBN apparirà decisamente obsoleta anche a coloro che oggi promuovono organismi 'parastatali'. Tale architettura non può aiutare le biblioteche pubbliche a competere nel mercato globale dell'informazione, né a rinnovarsi per affrontare le sfide dei prossimi anni, perché non ne esalta l'identità e la missione, perché subordina i valori della nostra professione alla catena gerarchica delle organizzazioni pubbliche e per certi versi accentua quella mancanza di 'riconoscimento sociale' delle biblioteche e della professione bibliotecaria che tutti noi lamentiamo.
SBN deve tornare alle origini, deve tornare a quel nucleo di valori profondi che nel 1979 indussero Angela Vinay a pronunciare il discorso che ho citato, a collegare la nascente idea di 'servizio bibliotecario nazionale' alla necessità per il nostro paese di dotarsi di una infrastruttura per l'accesso all'informazione e "per la formazione e l'educazione permanente dei cittadini". Oggi questa infrastruttura può essere definita lo 'spazio pubblico delle reti', ossia la garanzia liberale per il cittadino di godere di pari opportunità nell'accesso all'informazione e alla conoscenza. Per affermare questo principio occorre affidare al mercato gli strumenti della cooperazione e affidare alle biblioteche, in un quadro di consapevolezza e responsabilità, la cooperazione SBN e il governo di essa. E tutto questo senza quella viltà della quale ha parlato Giorgio Busetto nel suo intervento e senza trasformismi.
Le biblioteche pubbliche possono affrontare i mutamenti in atto e ritrovare i tratti di una nuova identità solo ricercando i contenuti più alti della loro missione nella società contemporanea e solo se congiungono a tale ricerca una forte motivazione, una forte tensione ideale, una sorta di Spannung weberiana. Mi sembra che l'una e l'altra possano ritrovarsi in una concezione della cooperazione bibliotecaria che si fondi sulla biblioteca come soggetto e non come oggetto o 'unità di servizio', che si fondi su valori liberali e non parastatali. Da questo punto di vista vale per le biblioteche la stessa trama concettuale che anima la cultura delle reti civiche e che tale cultura ha mutuato, non a caso, dalla public library nordamericana. Parafrasando Douglas Schuler (3), uno dei massimi studiosi del fenomeno delle reti civiche, potremmo dire che le biblioteche non sono progetti tecnologici e non sono servizi pubblici come la luce o il gas. Esse hanno una missione molto più delicata, coincidente con la consapevolezza, propria del bibliotecario e non degli apparati burocratici locali o centrali, che il libero accesso all'informazione e alla conoscenza è il requisito essenziale per assumere decisioni e scelte consapevoli, per determinare nella società civile e nel rapporto fra questa e le istituzioni una dimensione critica, dialettica. In questa prospettiva, come è stato detto (4), biblioteche e democrazia si sostengono a vicenda: una democrazia considera vitale che i cittadini abbiano un'ampia pluralità di idee e riconosce che l'esistenza delle biblioteche pubbliche contribuisce allo sviluppo di diverse opinioni nella comunità, non condizionate dal governo o da altre istituzioni potenzialmente coercitive. Dobbiamo cominciare ad affermare anche nel nostro paese il principio che biblioteca pubblica è un'istituzione al servizio della comunità e non un semplice servizio pubblico erogato dalla Pubblica Amministrazione e che come tale deve essere un'istituzione relativamente autonoma dall'amministrazione di appartenenza.
Questi valori sono purtroppo estranei alla concezione corrente della cooperazione nel mondo SBN; ed è una tragica estraneità.
 

(1) A. VINAY. Saluto del Presidente dell'A.I.B. In: Atti della Conferenza nazionale delle biblioteche italiane sul tema "Per l'attuazione del Sistema Bibliotecario Nazionale", Roma 22-24 gennaio 1979, "Accademie e Biblioteche d'Italia", 47 (1979), n.1-2, p. 40-42
(2) Ad es., T. GIORDANO. Biblioteche tra conservazione e innovazione, in Giornate Lincee sulle biblioteche pubbliche statali, Roma, 21-22 gennaio 1993, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1994, p. 63.
(3)D. SCHULER. How to kill community networks. In: Community networking '96 papers. 1996. http://www.scn.org/ip/commnet/kill-commnets.html.
(4) E. WAINWRIGHT. Libraries, Networks and Democracy: Government and the People in an Electronic Age. 1995. http://www.nla.gov.au/staffpaper/ew1.html.


Copyright AIB, 1999-06-28, ultimo aggiornamento 2000-02-06 a cura di Antonella De Robbio e Marcello Busato
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