"10. Seminario Angela Vinay"
L'AUTOMAZIONE DELLE BIBLIOTECHE NEL VENETO:
tra gli anni '90 e il nuovo millennio
Attrattività del distretto e ruolo delle biblioteche
di Bruno Bernardi
professore associato di Economia aziendale dellUniversità Ca
Foscari di Venezia
Da qualche tempo la nozione di distretto produttivo, nata in economia
industriale, viene sempre più spesso applicata nella descrizione
di particolari situazioni che riguardano enti dediti a produzioni culturali,
al punto da giustificare luso dellespressione distretto
culturale.
In generale un distretto è una aggregazione informale di imprese,
legate a uno stesso territorio, in grado di attivare significativi scambi
reciproci di informazioni e di risorse. I distretti si caratterizzano inoltre
per trascendere il singolo fatto aziendale per dar vita a reti di relazioni
nelle quali viene spesso coinvolta una parte rilevante della società
civile e delle sue istituzioni.
La crescita qualitativa e quantitativa dei distretti produttivi ha caratterizzato
la più recente fase di sviluppo delle nostre regioni, attivando forme
di auto-organizzazione competitiva di interi territori, non solo di singole
aziende.
Per meglio comprendere quali possibili ruoli possano giocare in questo
quadro le biblioteche, dobbiamo premettere qualche osservazione.
Lambiente contemporaneo è segnato dalla produzione di una quantità
di informazioni molto più numerose, a parità di intervallo
temporale di osservazione, rispetto a quanto si verificava solo pochi anni
fa.
La disponibilità di questa grande mole di informazioni non si è
limitata a accelerare i processi decisionali secondo gli stessi percorsi
che seguivano in precedenza, ma ha cambiato addirittura la struttura dei
processi decisionali.
Questo ha introdotto un livello di incertezza maggiore di quanto si constatava
in passato, un più elevato livello di varietà e di variabilità
dei processi, obbligando tutte le organizzazioni a passare da una prevalente
attenzione allefficienza interna a una decisa focalizzazione sullesterno,
sul posizionamento competitivo, sulla concentrazione sulle necessità
della clientela e sul loro soddisfacimento.
Anche le aziende che realizzano produzioni culturali, e tra queste le biblioteche,
si stanno trovando da qualche tempo di fronte a una più marcata necessità
di qualificare il servizio reso ai propri utenti, di ottenere la maggior
qualità possibile dai trasferimenti pubblici ottenuti.
Anche le biblioteche pubbliche vogliono fare maggiore chiarezza sulla tipologia
dei propri attuali utenti, vogliono soprattutto capire quale sia il profilo
dei non utenti, vogliono condurre una analisi dellutenza per fasce
orarie, per grado di soddisfazione del servizio, per necessità avvertite
e non soddisfatte.
Insomma anche le biblioteche stanno scoprendo gli strumenti del marketing,
secondo modalità del tutto peculiari, ma non lontanissime dalle logiche
sottese a qualunque processo di segmentazione della domanda potenziale condotto
da tempo nelle imprese.
Le competenze di marketing (ma lo stesso potremmo dire per gli altri sistemi
operativi, quello di controllo, quelli di selezione e sviluppo del personale,
il sistema informativo) sono diventate uno strumento fondamentale di sopravvivenza,
innanzitutto, e di crescita per tute le organizzazioni: uno strumento -
come ora si dice - strategico.
Una parte essenziale del percorso che porta dalluso delle risorse
allottenimento dei risultati passa attraverso lutilizzo dei
sistemi operativi che diventano così parte integrante della tecnologia
aziendale, quale che sia larea di attività esercitata.
Notiamo ancora che gli elementi caratterizzanti delle attività di
marketing (e degli altri sistemi operativi) non sono costituiti da impianti
e macchinari ma dalle conoscenze detenute ed esercitate da un certo gruppo
di persone allinterno di una data organizzazione. Conoscenze professionali
specifiche, volte ad analizzare la realtà socioeconomica sotto un
dato profilo, e capacità di entrare attivamente in relazione con
il proprio ambiente di riferimento, stabilendo con questo un flusso di scambi
non solo economici, ma anche di costruzione di senso, di scoperta di significati
condivisi.
Forzando un po largomento, potremmo dire che si attua - anche
in questo caso - una attività di produzione culturale, in quanto
si dà forma a nozioni e termini che permettono di stabilire relazioni
tra gli accadimenti percepiti, sviluppando sistemi di costruzione sociale
della realtà.
Si vede allora come unarea funzionale, quale il marketing, offra
un tipico esempio di tecnologia interiorizzata, in quanto fondata non su
immobilizzazioni materiali, ma su un complesso di significati condivisi,
su competenze professionali dei singoli e sulla loro capacità di
relazione.
Lo sviluppo di questo tipo di competenze costituisce la principale condizione
per mantenere elevata la capacità competitiva sia delle imprese sia,
più in generale, di tutte le organizzazioni (comprese quelle non-profit)
che si devono misurare con ambienti in continua evoluzione.
Questa condizione caratterizza ormai profondamente anche il mondo delle
produzioni culturali.
Potremo dire anzi che, in particolari situazioni ambientali (ad esempio
dove nel tempo si sono insediati diversi e numerosi soggetti culturali)
un approccio evoluto allo sviluppo delle competenze professionali e relazionali
può essere una premessa essenziale - anche se non esclusiva - per
la realizzazione di un vero e proprio distretto culturale.
Tra le caratteristiche fondative del distretto si trova un insieme di tratti
dei soggetti partecipanti che sono funzione della tecnologia interiorizzata,
a sua volta fortemente richiesta dalla necessità di rapportarsi a
un ambiente percorso da dinamiche intense e non sempre prevedibili.
La nozione di distretto, estendendo losservazione delle competenze
dalla focalizzazione sul singolo operatore a quella sul territorio, consente
una riflessione ampia sulle specialità di un certa area, sulla sua
attrattività per specifici gruppi di interlocutori, sulla durabilità
nel tempo dei suoi processi di auto-organizzazione competitiva.
Questi processi non riguardano solo le unità aziendali direttamente
impegnate nellofferta culturale, ma finiscono per coinvolgere, con
ruoli diversi, le strutture dellintera comunità insediata su
quel dato territorio.
Possiamo anche vedere largomento da un diverso punto di osservazione:
si diceva poco fa che lambiente contemporaneo è connotato da
un livello di interazione molto più elevato, da uno scambio molto
più frequente e meno prevedibile nelle sue evoluzioni di quanto non
accadesse fino a un passato recente.
Anche aree lontane luna dallaltra si trovano a essere, in questo
contesto, dinamicamente legate.
Allora la capacità di usare, di gestire, di sviluppare, di diffondere
cultura, di costruire significati, di dare senso, diventa un elemento distintivo
di una certa area rispetto alle altre, un elemento di competizione che va
fatto valere nel processo di specializzazione e divisione territoriale del
lavoro che si sta rapidamente ristrutturando dalla dimensione locale a quella
transnazionale.
Capisco che questa idea della competizione tra aree territoriali, questa idea di una auto-organizzazione competitiva di un territorio rispetto a un altro, possa evocare degli scenari assai poco invitanti. Anche se questo può essere vero, non costituisce comunque un esito obbligato e si tratta, comunque, di una realtà con la quale, in positivo o in negativo, dobbiamo esplicitamente confrontarci. Non parlarne, o ignorare questa situazione emergente, non è certamente, io credo, una scelta molto felice.
Vorrei chiarire meglio, in conclusione, il mio pensiero: non stiamo sostenendo
che la via da percorrere sia quella di cercare di costruire localmente,
dovunque uno si trovi, una qualche occasione di vantaggio competitivo per
spiazzare il campanile vicino. Non è questa la logica nella quale
vorrei vedere approfondito il tema. Provo per questo a sottolineare due
aspetti.
Il primo: i processi di auto-organizzazione competitiva non li stiamo inventando
qui, ma si sono già sviluppati e continuano ad evolvere nel nostro
ambiente economico e sociale. E quindi il fatto di parlarne vuol dire cercare
di costruirsi su questo unidea e, se del caso, dei criteri di intervento,
quale che sia la direzione in cui andranno.
Il secondo: quando ci riferiamo alla capacità competitiva di un territorio
non ne stiamo parlando in un contesto esclusivo, nel senso che non cè
una maniera soltanto per costruire vantaggio e differenziazione, tanto in
ambito culturale quanto in diversi contesti.
Quello che noi abbiamo a disposizione, se andiamo ad osservare delle esperienze
di successo, in Italia e nel mondo, sono invece una serie di casi nei quali
si osserva una combinazione molto diversificata di condizioni, che hanno
dato luogo alla costruzione di vantaggi competitivi ancora più differenziati.
In altri termini non cè una maniera soltanto per avere successo,
ce ne sono tante diverse e questo fa sì che ci possano esistere in
modo altrettanto significativo percorsi diversi per poter costruire una
tipicità, una specificità di una certa zona rispetto ad altre.
Il che non vuol dire che quella zona trionfa rispetto ad altre; vuol dire
semplicemente che quella zona si trova a selezionare degli interlocutori
che sono certamente interlocutori diversi da quelli che seleziona larea
vicina.
In questo senso intendiamo differenziazione competitiva, non nel senso che
ci sia un soggetto migliore sotto ogni profilo di tutti gli altri che seguono,
ma nel senso che cè la possibilità di rendere tipica
una certa zona rispetto alle altre, che ciascuna può essere tipica
in qualcosa favorendo un migliore incontro tra le caratteristiche del territorio
e le caratteristiche dei nuovi soggetti che vi vengono attratti.
Mi è stato concesso un periodo tra i venti e i trenta minuti, mi
pare che ne abbiamo usati già 25, e quindi volevo sentire quali riflessioni
abbia sollecitato questa mia piccola incursione.
Carlo Federici
Ci può illustrare per cortesia se questo stesso concetto di distretto,
anche in riferimento alle biblioteche, lo si può trovare anche allestero,
ed eventualmente come può influenzare il modo di svilupparsi di un
distretto culturale e bibliotecario in Italia?
Bruno Bernardi
Direi che per sua natura il distretto non ha mai una dimensione nazionale,
ha una dimensione che molto spesso è subregionale e quindi stiamo
parlando da un punto di vista territoriale di aree tutto sommato abbastanza
ridotte. Direi che esperienze estere ce ne sono; nei tempi più recenti
abbiamo una quantità di esempi dei quali probabilmente i 15 più
interessanti sono esempi italiani. Sono molto interessanti in particolare
come distretti culturali quello di Greenwich, dove si vede una realtà
abbastanza integrata tra museo, biblioteca, municipalità, case editrici
e operatori collegati allindustria del tempo libero e del mare. Una
quantità di altri operatori, comprese importanti Charities, hanno
scelto addirittura linterno del museo, oltre che il resto della città,
per poter realizzare i propri obiettivi.
Un caso che presenta analogie di tema (il mare e la preservazione delle
tradizioni della marineria locale) ma che si sviluppa in modo molto più
diffuso è quello di alcune cittadine francesi tra Douarnenez e Brest.
Sarebbe interessante andare a fare unanalisi approfondita della storia
di queste realizzazioni, capire da che punto in poi hanno cominciato a diventare
riconoscimento esterno di un fatto prima preesistente e quindi da che punto
in poi sono diventate oggetto di intervento consapevole e quindi di attività
programmatoria.
Carlo Federici
Debbo sinceramente confessare che questa idea dei distretti culturali mi
pareva piuttosto astratta, ma adesso, sentendo gli esempi esteri, mi è
venuto fatto di pensare che il distretto a cui Lei si riferiva era Venezia.
Quando lei pensa a un distretto culturale in Italia, ha una serie di idee
diverse o pensa solo a Venezia? Mi potrebbe dare altri esempi?
Bruno Bernardi
iIl caso veneziano per ovvie ragioni è molto vincente
È Venezia, ma non è solo Venezia, nel senso che cè
una quantità di situazioni nelle quali degli operatori culturali,
che stabiliscono dei legami tra loro e tra loro e lambiente che li
circonda, formano una prima rete di relazioni che può evolvere rapidamente
verso una realtà di distretto. È molto probabile che anche
nelle città darte minori ci siano realtà di questo tipo,
magari non ancora emerse.
Carlo Federici
Lei sa che è molto difficile realizzare una vera collaborazione tra
operatori culturali che tendono a percepirsi quasi geneticamente singolari,
è difficile che riescano a cooperare.
Bruno Bernardi
Se questo è il problema, si potrebbe anche confidare su qualche intervento
esterno, magari con un certo grado di coercizione. Non serve evocare il
governo Tatcher e il suo brutale intervento sul budget dellistruzione
universitaria, ma da quel brutto periodo il sistema universitario inglese
è uscito più responsabilizzato e più competitivo in
ambito internazionale.
Questo ovviamente non vuol dire mettere su nelle biblioteche il banchetto
che vende magliette, vuol dire raccordarsi in maniera molto più profonda
di prima con un territorio che ha un profondo bisogno di servizi di questo
genere, che non consistono nellinseguire le mode, ma nel mettersi
da subito in una posizione attiva di ascolto di quanto lambiente di
riferimento ci chiede.
Luigi Crocetti
Vorrei dire che mi sembra che lo sfondo del discorso sui distretti sia
comunque la competizione: ecco, mi pare che le biblioteche in particolare
siano una struttura che male si adatta a questo sfondo, in particolare alcune.
Finché pensiamo alla piccola biblioteca sul territorio, alla piccola
biblioteca comunale, non credo ci siano grossi problemi, ma forse una Nazionale
Marciana non può essere biblioteca di un distretto, nel senso che,
sì, può esserlo, ma deve appartenere anche ad altri distretti;
intendo dire che non può aiutare molto istituzionalmente nelle competizioni.
Bruno Bernardi
Come al solito le domande e le osservazioni spiegano molto di più
delle relazioni. Allora è vero, molto dipende alla accezione di competizione
che accogliamo: con competizione non intendo arena nella quale alla fine
cè un gladiatore che resta in piedi perché tutti gli
altri sono stati variamente messi fuori combattimento. Non è certamente
questa la visione.
Introdurre elementi di competizione vuol dire cercare di specializzare il
tipo di offerta in relazione a una serie di bisogni che mi pare di capire
dallesterno al posto di avere una presenza indifferenziata, tipo Io
sono qua e sono la biblioteca comero biblioteca cinquantanni
o duecento anni fa.
In questo senso non vuol dire che ogni comune usa come arma competitiva
la propria biblioteca, come se fosse una specie di braccio secolare con
il quale dare in testa al campanile vicino, però è anche vero
che in quanto queste istituzioni sono presenti in una certa zona, sono anche
per quella zona un elemento di attrazione e di interesse.
Ecco, da questo punto di vista io credo che si debba cominciare a pensare
anche alle biblioteche, in questo senso in maniera un po imprenditoriale,
se posso dire, come a elementi destinati a entrare in un rapporto attivo
con lambiente. E questo vuol dire scambiare idee, progetti e consenso.
Grazie della sua osservazione.