AIB. Sezione Veneto. Congressi
Musei, biblioteche e archivi: una convergenza possibile
Padova, 18 gennaio 2007
Giovanni Boldon Zanetti, Università Ca' Foscari di Venezia
Ringrazio vivamente le Associazioni professionali che mi hanno rivolto il gradito invito a tenere questa relazione, alla quale mi accingo con il sincero piacere di trovarmi tra coloro che considero gli amici dei miei studi di legislazione dei beni culturali e con l'animo di chi sa di parlare del Codice dei beni culturali a persone la cui preparazione e funzione professionale è il presupposto stesso perché il Codice vi sia.
Vorrei, prima di entrare nel vivo dell'argomento, ricordare brevemente alcune fra le principali novità, di nostro specifico interesse, introdotte dal Codice dei beni culturali e del paesaggio. Il Codice, emanato con Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 ai sensi e in attuazione dell'art. 10 della legge-delega, legge 6.7.2002 n. 137 ed entrato in vigore il 1 maggio 2004, ha peraltro subìto modifiche nel 2005 e, da ultimo, con i decreti legislativi del 24.3. 2006 n. 156 e 157.
E' noto come il testo legislativo in commento abbia stabilito una, ancorché non in tutto esaustiva, nuova definizione normativa di musei, biblioteche ed archivi, riconoscendone la comune natura e funzione di istituti e luoghi della cultura ed altresì qualificando come pubblico servizio le attività svolte dai predetti istituti, se pubblici.
Trovo significativo che tali definizioni siano state inserite nella disposizione normativa, l'art. 101, che apre la parte del Codice (Titolo II, Capo I) dedicata alla fruizione dei beni culturali e, in particolare, la Sezione I contenente i principi della fruizione.
In un apparato normativo che, a dispetto delle formali affermazioni, è in realtà assai scarno nella formulazione di principi, dobbiamo tenere conto anche dei dettagli e siffatta collocazione sistematica della norma non va perciò sottovalutata. A mio parere, invero, in essa ben si può ravvisare non solo la presa d'atto del ruolo centrale concretamente svolto dalle predette istituzioni, ma anche il riconoscimento e l'indicazione, come modello per le attività di valorizzazione, degli istituti e luoghi della cultura intesi nella loro funzione di sviluppo culturale così come all'articolo 101 cit..e nelle definizioni ivi contenute.
In sostanza, il recepimento, nelle definizioni adottate dal Codice, della rinnovata concezione di musei, biblioteche ed archivi quale eminente e privilegiata offerta alla comunità di una effettiva possibilità di sviluppo della cultura, nonché l'inserimento di tali definizioni tra le norme di principio in materia di fruizione, consente di interpretare l'art. 101 come una chiara indicazione al legislatore regionale affinché questi informi la propria disciplina a tale accezione. A mio avviso, poi, gli artt. 101 e seguenti del Codice vanno letti anche come una nuova possibilità, per la legislazione di dettaglio di aprirsi alla etero-integrazione, ovverosia all'integrazione con le regole non giuridiche prodotte dalla esperienza professionale degli istituti di cultura, atteso che in realtà la principale fonte delle regole di qualità del servizio proviene proprio da qui.
A conforto di tale tesi si può indicare l'affermazione del principio di sussidiarietà c.d. "orizzontale" contenuta nell'art. 118 della Costituzione a seguito della riforma del Titolo V di cui alla Legge Costituzionale 3/2001: "la legge statale disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali" e "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà."
Ora, per meglio comprendere questo, seppure ancor timido, incontro tra la fonte statale, il Codice, e le istanze di miglioramento e le 'regole' di qualità provenienti dalla esperienza e dalla realtà degli istituti della cultura, e soprattutto per ricercare se in questo incontro si possano intravedere anche le fondamenta di una prospettiva di collegamento e convergenza, entro i limiti consentiti dalle diverse specificità, di musei, biblioteche ed archivi, dobbiamo ricordare come l'articolata disciplina in tema di valorizzazione e fruizione introdotta dal Codice costituisca la declinazione sul piano operativo della riconosciuta coessenzialità della valorizzazione con la tutela.
L'art. 1 del Codice, infatti, al comma 2 dichiara che "la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura" e ciò dopo avere affermato che "in attuazione dell'art. 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale[...]": in sostanza la valorizzazione è compito della Repubblica al pari della tutela ed è, come quest'ultima, attuazione dell'art. 9 della Costituzione.
Peraltro, nella stessa definizione di tutela dei beni culturali, di cui all'art. 3 del Codice, la fruizione pubblica assurge a finalità della tutela medesima.
Tutto ciò ha a che fare con la privilegiata attenzione alla natura e funzione dei beni culturali come "testimonianza materiale di civiltà". La felice definizione, contenuta nelle note dichiarazioni del 1965 della Commissione parlamentare Franceschini, esprime la ricerca di una valenza e nozione unitaria delle "cose di interesse storico ed artistico": la sintesi, rappresentata dalla nozione di bene culturale, dei diversi interessi impressi nelle singole cose è individuata, in sostanza, in ciò che accade nell'incontro tra il bene culturale e la persona, intesa sia come singolo sia come collettività e cioè l'elevazione ed arricchimento culturale, l'esperienza tangibile della possibilità che l'umana esperienza ha di esprimersi in civiltà o in momenti di civiltà.
Questa concezione di bene culturale trova, peraltro, fondamento giuridico nella formulazione dell'art. 9 della Costituzione. La stretta connessione, invero, già da tempo riconosciuta tra l'indicazione di cui al primo comma dell'art. 9 predetto (promozione dello sviluppo della cultura) e la statuizione di cui al secondo comma del medesimo articolo (tutela del patrimonio storico artistico), sta a significare che il patrimonio culturale è anche fattore essenziale di sviluppo della cultura: da ciò si può ricavarne che il compito affidato alla Repubblica dalla norma costituzionale non è solo quello di tutelare ma anche di valorizzare i beni culturali, dal momento che la valorizzazione incrementa lo sviluppo della cultura.
Conferma di ciò a livello di legge ordinaria la si ha, da ultimo, con l'indicazione esplicita, nell'art. 6 del Codice così come modificato dal D.Lgs. 156/2006, della promozione dello sviluppo della cultura quale finalità della valorizzazione.
Da qui, ritengo, si può trarne l'ulteriore conseguenza della necessità che la fruizione del bene culturale consenta, altresì, l'avvicinamento e la conoscenza della relazione e interconnessione tra le singole 'testimonianze materiali aventi valore di civiltà', così da più facilmente coglierne i punti di contatto, le convergenze (o i conflitti) di pensiero, di idee e di esperienze, le relazioni e correlazioni tra persone, istituzioni, popoli.
Voglio dire, insomma, che il godimento del bene culturale è ancor più pieno se porta ad intravedere i nessi e le relazioni che hanno costituito e costituiscono la civiltà della quale il bene culturale è testimonianza e di scoprire così la cultura, l'universo molteplice e variegato di pensieri, di idee, di affetti, di storie personali e sociali, generati da e all'interno della civitas, di intravederne la trama, il che ritengo sia quanto mai auspicabile, in particolare per l'uomo contemporaneo, forse talora disarmato di una vera e propria identità culturale perché spogliato dello strumento del 'giudizio' sulle cose, inteso come capacità di leggere la realtà nella totalità dei suoi fattori e di 'osare', conseguentemente, una distinzione tra valore e disvalore dei singoli segmenti della realtà medesima.
Ecco che allora tutto ciò non può che portare nella direzione di cercare di garantire, nei limiti in cui sia possibile, una fruizione delle distinte tipologie di beni culturali che ne consenta di cogliere facilmente la loro interrelazione, se non addirittura, in qualche caso, di una vera e propria fruizione integrata.
Altra considerazione è che la specificazione che la valorizzazione è finalizzata allo sviluppo della cultura, oltre a confermare l'importanza della valorizzazione e la sua coessenzialità con la tutela, pone in un certo senso lo sviluppo della cultura come limite e confine della valorizzazione.
Intendo dire che allorché il fine specifico di una attività assume la veste di principio imposto dalla legge ciò non può non avere conseguenze in qualche modo sulle modalità di svolgimento e sui contenuti che detta attività deve avere per rimanere conforme alla disciplina legislativa.
Riterrei, invero, di poter riconoscere nelle norme di principio contenute nel Codice, la fissazione di 'limiti esterni', da un lato, e di 'limiti interni' dall'altro, entro i quali deve rimanere la valorizzazione.
I primi, quelli che definisco 'limiti esterni' sono rappresentati dalle esigenze, imprescindibili, di tutela del bene culturale, per cui la valorizzazione deve essere attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze, (mi riferisco, tra gli altri, all'art. 2 comma 4 per il quale "i beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela": ad esempio non esporre un certo affresco alla visita pubblica se non è garantito che tale visita non pregiudicherà l'integrità del bene; ovvero all'art. 1 comma 6, per il quale "le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale indicate ai commi 3,4 e 5, sono svolte in conformità alla normativa di tutela").
I 'limiti interni' alla valorizzazione (trattasi, lo ripeto, di definizione di mia costruzione, non esplicitata dalle disposizioni normative) riterrei di poterli individuare, appunto, in primis nella necessità che la valorizzazione persegua il fine dello sviluppo della cultura, e perciò sia condotta con modalità che, particolarmente sotto il profilo qualitativo, ma anche quantitativo, siano compatibili quantomeno (anche a prescindere poi dall'effettivo risultato) espressione di una tensione, di un progetto che possa dirsi davvero orientato allo sviluppo della cultura.
Se è vero, infatti, che il fattore di elevazione culturale, promanante dal bene culturale, suggerisce di rendere il più possibile conoscibile e fruibile dalla collettività il bene culturale, è anche vero che occorre domandarsi se sempre e qualsiasi sia e con qualsivoglia modo sia condotta, l'ostensione del bene culturale costituisca un effettivo momento di sviluppo della cultura.
Per fare un esempio, un 'limite interno' può essere individuato nella necessità di trovare un punto di equilibrio tra il criterio del profitto economico e della ottimizzazione delle risorse nell'esercizio del servizio culturale - criteri certamente legittimi anche perché consentono il reperimento delle risorse proprio per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale - e quello dell'effettiva valenza e potenzialità di sviluppo della cultura del servizio in concreto prestato.
Lo sviluppo della cultura come 'limite interno', peraltro, può essere visto non solo in una accezione negativa, di contenimento o di condizionamento del quantum e del quomodo della valorizzazione, ma anche come elemento propulsivo, di spinta e di orientamento dell'attività, un po', per ricorrere ad una metafora, come l'argine di un fiume: se da un lato impedisce alle acque di debordare, d'altro lato indica la direzione, anzi, proprio impedendo la loro dispersione consente alle acque di raggiungere la foce e imprime pressione alle acque stesse in tale direzione.
Ecco che, allora, le norme del Codice, ma non solo del Codice, che indicano la strada dell'integrazione e della realizzazione delle reti e dei sistemi per la valorizzazione, sono da vedersi in questa luce, come cioè un impulso all'accrescimento della cultura attraverso anche il collegamento e la convergenza delle diverse realtà di istituti e luoghi di cultura, e nello stesso tempo senza snaturare l'identità e peculiarità di musei, biblioteche ed archivi.
Anche qui, occorrerà trovare la strada di una commisurata ed equilibrata convergenza tra i diversi istituti e attività di valorizzazione.
Certamente, parlare di 'limiti interni', o di linee-guida alla valorizzazione, nel significato che qui sto cercando di illustrare, richiede notevole cautela, trattandosi di profili di estrema delicatezza, dal momento che, in realtà, vi potrebbe essere il rischio di giungere a dettare prescrizioni, modalità, parametri troppo incisivi e limitativi dell'attività di valorizzazione, che nella sostanza si traducano in un ingiustificato restringimento non solo della libera fruizione e godimento del patrimonio culturale da parte della collettività, ma anche della libertà stessa dell'arte e della cultura, la quale implica e richiede indiscutibilmente anche libertà di espressione, comunicazione e divulgazione. Insomma, tanto per essere più chiari, il passo dalla preoccupazione che una certa mostra o museo o evento culturale sia sufficientemente 'culturale' e idoneo a costituire arricchimento e incontro con una certa testimonianza di civiltà, all'arbitraria decisione di che cosa è cultura e che cosa non lo è (e perciò in sostanza alla censura ideologica di un certo tipo di iniziativa culturale) rischia in certi casi di essere troppo breve.
Allora, che cosa può consentire di non uscire, da un lato, dall'area fuori dalla quale la convergenza e integrazione tra diversi istituti diviene uno snaturare e privare di identità gli stessi istituti, e dall'altro dall'area in cui l'attenzione alla qualità e alla finalizzazione per lo sviluppo della cultura di una certa attività di valorizzazione diviene arbitraria diminuzione delle libertà di pensiero, di opinione, di arte e cultura?
Non intendo certo risolvere qui la questione, ma mi pare che un primo irrinunciabile punto sia mantenere il collegamento, imprescindibile, con la realtà costituita dal patrimonio culturale nazionale esistente.
Ecco, allora che un primo, abbozzato, strumento o criterio cui ricorrere per evitare che ciò si verifichi sarà il rispetto della realtà, del reale, in sostanza la necessità di un vero collegamento, corrispondenza, adeguatezza e proporzione tra l'attività e il servizio di valorizzazione da un lato e il concreto patrimonio culturale esistente dall'altro.
Il che significa anche riconoscere, tornando allo specifico tema del convegno di oggi, la sostanziale identità e peculiarità di ogni cosa costituente patrimonio culturale, ma anche le sue interrelazioni, le specializzazioni professionali ma anche non dimenticare le diverse esigenze di tutela e di fruizione che perciò diversi tempi, modi, ecc. , ma nello stesso tempo non dimenticare che la finalità dello sviluppo della cultura richiede, per quanto possibile, la possibilità del godimento dell'incontro con una civiltà e perciò integrate, proprio perché il patrimonio culturale, pur nella diversità, ha una sua unitarietà.
A questo punto, occorre ricercare e verificare se anche nelle disposizioni del Codice si rinviene questa indicazione per una convergenza, per una valorizzazione integrata e se vi siano dei risvolti operativi.
E' possibile, in sostanza, ricavare dalle disposizioni del Codice l'emergere di un riconoscimento di unità, pur nella imprescindibile e insuperabile distinzione, delle funzioni dei diversi istituti e luoghi della cultura, con la possibilità, offerta dalle norme stesse, di sviluppare, per qualche tratto, un percorso comune nel procedere della valorizzazione?
Nel percorrere questa ricerca occorre ricordare che il Codice, per quel che riguarda la valorizzazione si limita a stabilire i principi ai quali si deve uniformare la legislazione regionale e ciò in ragione del fatto che la Costituzione stabilisce la competenza legislativa concorrente in materia di valorizzazione, tra Stato e Regione, così come previsto dall'art. 117 a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, di cui alla L. Cost 3/2001,
Infatti, l'art. 7 del Codice precica che "il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa."
L'art. 7 medesimo stabilisce altresì che il Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici, il che può essere interpretato non solo come facoltà ma come dover essere delle attività di valorizzazione. Da qui la doverosità di una ricerca (ove sia possibile senza snaturare le singole identità) di profili e momenti di integrazione tra le diverse funzioni degli istituti della cultura (musei, biblioteche, archivi).
D'altro canto, anche la stessa definizione, all'art. 111, delle attività di valorizzazione come costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti (oltre che nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali) ben può attagliarsi anche ad una implicazione di reti, strutture e scambi di risorse coinvolgenti anche trasversalmente i diversi settori curati dai predetti istituti.
Strumento per la possibilità di perseguimento di tale ipotesi di valorizzazione integrata è dato dal Codice all'art. 112, il quale si occupa della valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, con la previsione di accordi "per definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione e per elaborare conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi relativi sui beni di pertinenza pubblica."
Detti accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati.
Tale modus procedendi, imposto dal Codice allo Stato ed agli enti territoriali non può non ritenersi un principio di valorizzazione vincolante per il legislatore regionale.
E' possibile ravvisare in esso uno strumento di coordinamento e integrazione tra i diversi istituti, pur nel sacrosanto rispetto delle singole identità ed autonomie degli stessi? L'oggetto stesso, così ampio, degli accordi ivi contemplati, è un indizio in tal senso e tale indizio si rafforza se si confronta la descrizione operata dal comma 4 dell'art. 112 di detti accordi e la netta differenziazione dagli accordi per regolare servizi comuni, di cui al comma 9 del medesimo art. 112.
Restano, tuttavia, degli interrogativi sulla portata di tali accordi, considerata la ampiezza ma anche genericità sostanziale con cui la norma predetta prevede il ricorso a questo tipo di accordi.
Ad esempio, è da chiedersi se sia possibile creare, con il ricorso a tali accordi, strutture stabili inter-istituzionali e coinvolgenti i diversi enti e gli istituti e luoghi della cultura, ed a tale riguardo non vedrei ragioni di natura giuridica che vietino siffatta ipotesi.
Ancora, si potrebbe ritenere che con tali accordi possano venire emanate norme di livello regolamentare, attuative del Codice e delle leggi regionali per quanto riguarda la valorizzazione.
Di più, si può anzi auspicare che una risoluzione concertata a tale livello possa spingersi a regolare anche di alcuni aspetti di tutela, allorché partecipino gli enti competenti, lo Stato e la regione a seconda del bene tutelato: ciò consentirebbe di definire, nel momento in cui si progetta e programma la valorizzazione, il rispetto dei limiti alla stessa dettati dalle esigenze della tutela, così da poter contestualmente superare le difficoltà che possono talora nascere dalla "frattura" tra tutela e valorizzazione.
Una riflessione in tal senso la offre l'art. 114, laddove dispone che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di pertinenza pubblica.
Questa disposizione è stata modificata dalla novella del 2006 con la precisazione che ad essere fissati saranno i livelli di qualità "minimi". Ciò sta a significare che è sempre possibile l'indicazione, e il perseguimento, da parte dei singoli enti di livelli di qualità più elevati.
Così configurata, allora, la norma consente di intravedere una lavoro congiunto che possa, pur prevedendo una possibilità di diversificazione, indicare alcuni tratti unitari, "minimi", comuni alle diverse tipologie di beni e di istituti (musei, biblioteche ed archivi) chiamati alla valorizzazione.
Un ulteriore e significativo avanzare nella direzione della cooperazione e collaborazione dell'istituzione pubblica con soggetti terzi e dell'attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale si ritrova nella sopra riportata previsione, di cui al comma 4 dell'art. 112, di "integrazione del processo di valorizzazione con le infrastrutture e gli altri settori produttivi interessati al processo medesimo" e di "costituzione di appositi soggetti giuridici pubblici o privati, cui affidare le attività ed i processi di valorizzazione".
È altrettanto importante tuttavia che vengano garantite modalità e criteri che consentano a tali processi di valorizzazione integrati di permanere nell'alveo della scientificità e coerenza ai principi ed alle esigenze di tutela e valorizzazione; ciò magari prevedendo una, anche agile, possibilità di presenza ovvero di osservatorio da parte della pubblica funzione.
Da ultimo occorre sottolineare che l'introduzione, all'art. 10, comma 2 lett. a) del Codice, delle raccolte dei musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente o istituto pubblico, quale ulteriore e specifica "categoria" di beni culturali, non è indifferente, sotto il profilo dell'importanza degli istituti e luoghi della cultura quali soggetti e non solo oggetti, della disciplina, dal momento che essa va a individuare la funzione espositiva come autonomo motivo di attribuzione di vincolo "ex lege" alle collezioni pubbliche, ancorché, a mio avviso, rimanga salva la necessità della presenza nelle cose raccolte, a mio avviso, di uno degli interessi indicati all'art. 2 del Codice.
Vorrei concludere queste brevi considerazioni con uno sguardo al recente Disegno di legge regionale di iniziativa della Giunta Regionale, DGR/27/DDL del 12 settembre 2006, "Norme in materia di beni, servizi e attività culturali", con l'avvertenza che quanto dirò non ha la pretesa di essere un commento e una disamina di tale progetto di legge, non essendo sufficiente il tempo né essendo questa la sede per siffatta analisi, ma soltanto intendo comunicarvi quelli che mi paiono essere segnali di apertura, se non quando addirittura veri e propri strumenti, per la 'possibile convergenza' di cui questo convegno si occupa.
A tale riguardo perciò non può sfuggire l'importanza del fatto:
In conclusione, mi pare che da queste brevi considerazioni su alcuni strumenti offerti dal Codice e dalle prospettive della futura legislazione regionale emergano elementi sufficienti per fondare e incoraggiare il proseguimento della ricerca della possibile convergenza tra musei, biblioteche ed archivi, confidando in una prospettiva più ampia di quanto oggi appaia: mi sovviene, al proposito, una citazione dall' Amleto di Shakespeare. Amleto, dopo l'incontro con l'anima del padre, così si rivolge all'amico Orazio: "Vi sono Orazio, in cielo e in terra più cose di quante ne immagini la nostra filosofia".
Copyright AIB 2008-02, ultimo
aggiornamento 2008-02-11 a cura di Giovanna
Frigimelica
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