AIB. Sezione Toscana. Contributi
Paolo Baldi
Biblioteca del Dipartimento di Elettronica, Informatica e Sistemistica – DEIS. Università di Bologna
mailto:baldi@cib.unibo.it
Siena, Biblioteca degli Intronati, 3 giugno 2002
Il mio intervento si propone di offrire uno sguardo di insieme sui meccanismi di produzione e di disseminazione dell'informazione scientifica in Italia, anche se ritengo che gran parte di quello che dirò valga sicuramente anche fuori del nostro paese. In questa prospettiva di produzione e distribuzione deve essere inquadrata la questione del diritto di autore e del ruolo delle biblioteche accademiche e di ricerca, ad essa strettamente correlata. Dalla biblioteconomia all'economia politica potremmo dire, non senza un pizzico di autoironia.
Cos'è dunque il diritto d'autore? Antonella De Robbio ce ne ha spiegato gli aspetti e i diversi significati economici e giuridici. Ma in questa sede è la componente economica del diritto di autore che vogliamo trattare. Il diritto d'autore è il (giusto?) compenso per l'attività di produzione intellettuale, che dovrebbe renderla ragionevolmente redditizia in modo da permettere agli autori di continuare a produrre e a diffondere le proprie produzioni. Questa enfasi sull'autore va tenuta bene a mente. E' la stessa enfasi che pervade la pagina dell'Unesco sulla giornata del libro e del diritto di autore. Ma torniamo al legame organico fra produzione delle idee scientifiche e loro distribuzione: effettivamente la creazione scientifica trova il suo naturale fine nella diffusione di se stessa, nella sua disseminazione. Produzione e disseminazione di idee scientifiche sono due facce della stessa medaglia, due aspetti complementari della stessa attività: se si elimina l'uno l'altro non può sussistere. Una parte ineliminabile della produzione di nuova informazione scientifica consiste proprio nell'esaminare, criticare, rielaborare e verificare i prodotti dell'altrui intelletto.
Fedeli alla nostra prospettiva economica, vediamo ora come realmente avviene la produzione e la diffusione dell'informazione scientifica, usando "scientifica" nel senso più ampio, quindi comprendendo anche le scienze sociali ed umane.
Non c'è dubbio che in Italia la quasi totalità dell'informazione scientifica viene prodotta all'interno di Università e CNR, enti di natura pubblica. E' vero che, soprattutto per gli ambiti tecnici e biomedici, soggetti privati prendono parte attiva a tale produzioni, attraverso vari tipi di partnership, primo fra tutti quello delle convenzioni. In tali contratti, i privati mettono in sostanza sempre a disposizione capitali per ottenere sì prodotti della creatività scientifica, ma si deve rimarcare che il valore di tali prodotti, per il committente, non sta mai nella loro disseminazione, insomma nella loro pubblicazione. Se Motorola commissiona ad un dipartimento di elettronica di una università italiana lo sviluppo di componenti per un sistema GSM, certo non lo fa perché spera in un profitto dalla pubblicazione dei risultati sulle IEEE Transactions on communications! La disseminazione dell'idea scientifica, la sua pubblicazione riguarda semmai l'ente – Università e CNR – all'interno della quale lavorano professori, ricercatori, dottorandi, laureandi e borsisti che hanno preso parte alla ricerca. E sono proprio le Università e i CNR che pagano tutte queste figure per produrre e disseminare informazione scientifica, insomma per fare ricerca. Le stesse istituzioni, è noto, finanziano anche le biblioteche accademiche e di ricerca. Osserviamo qui, quasi a margine, che nel meccanismo di produzione dell'informazione scientifica la biblioteca di ricerca entra a far parte con compiti propri in una struttura complessa tutta finalizzata, ancora, alla produzione di informazione scientifica e alla preparazione degli intellettuali.
Proprio per poter diffondere le informazioni scientifiche, gli enti di ricerca si rivolgono tradizionalmente agli editori come attori imprescindibili della disseminazione di idee scientifiche. E' questa una tradizione che affonda nei primissimi anni dell'invenzione della stampa, quando sono proprio alcune università a stringere contratti e a finanziare stampatori per la produzione dei libri necessari allo svolgimento dell'attività accademica.
L'informazione affidata ad un editore può essere pubblicata in monografie o periodici. In entrambi i casi, l'editore contribuisce in tre modi:
.. in cambio, ovviamente, di un profitto, dato dalla vendita del materiale o dell'accesso ad esso. Di questo profitto, niente o poco ricade sugli autori. Nel caso delle monografie, si tratta spesso di opere specialistiche di cui non vengono vendute molte copie, per cui il guadagno che ne deriva all'autore è pressoché simbolico, irrilevante ai fini del suo mantenimento come produttore di idee scientifiche. In molti casi, addirittura, è l'autore stesso che deve prefinanziare in tutto o in parte l'editore per garantire il suo profitto in un impresa di scarso impatto sul mercato, come di fatto è la pubblicazione di una monografia specialistica. Generalmente la provenienza di tali prefinanziamenti è pubblica. Anche nel caso di opere di più largo mercato, come i libri di testo destinati più alla didattica che alla ricerca, il guadagno per l'autore difficilmente assume una qualche rilevanza. Al massimo, se l'editore ritiene che il libro possa vendere un numero di copie interessante, non pretenderà alcun prefinanziamento. Il caso dei periodici e' ancora più smaccato: il pagamento dei diritti non è pressoché mai previsto. Possiamo quindi dire che l'editore ottiene gratuitamente l'informazione da pubblicare. Ma se guardiamo ai 3 "valori aggiunti" forniti dall'editori, citati più sopra, le cose non sono poi così diverse: l'attività di peer-reviewing viene svolta per lo più da altri ricercatori e accademici, senza alcun compenso da parte dell'editore. E si tratta di una attività fondamentale per la garanzia della qualità dell'informazione scientifica. La messa su supporto e la distribuzione commerciale sono gli unici contributi provenienti da parte dell'editore. Un contributo di bassa qualità, se confrontato colla qualità altissima del prodotto di cui stiamo parlando: la scienza.
Ma torniamo al percorso che l'informazione scientifica compie in seguito alla sua distribuzione commerciale: le istituzioni di ricerca che hanno giocato un ruolo così fondamentale nella sua produzione, se ne riappropriano acquistandola, spesso a prezzi considerevoli, attraverso le biblioteche, sia sotto forma di possesso che di accesso, fatto salva una modesta quantità che viene distribuita dagli autori stessi fra conoscenti e colleghi sotto forma di estratti (per gli articoli) o copie omaggio (per le monografie). Per inciso si noti che prodotti come i periodici scientifici vengono venduti alle biblioteche a prezzi molto più alti di quelli praticati ai privati. Anche qui bisogna tenere ben chiara la distinzione fra materiale didattico e prettamente scientifico, benché non sempre il confine è nettissimo. Il materiale didattico, rappresentato sostanzialmente da monografie, trova il suo bacino di vendita tra docenti, studenti e nelle biblioteche. Il materiale scientifico (monografie specialistiche e periodici), invece, viene venduto quasi esclusivamente alle biblioteche. All'interno delle biblioteche, i libri di interesse didattico circolano attraverso la consultazione e il prestito. Per il materiale scientifico, invece, la consultazione ed il prestito perdono di rilevanza: il vero modo di fruizione di questo tipo di materiale è la sua riproduzione, o, più specificatamente, la riproduzione delle parti strettamente rilevanti per gli interessi del singolo ricercatore. Si può affermare senza ombra di dubbio che all'interno degli istituti di ricerca tutti i periodici scientifici vengono fruiti quasi esclusivamente fotocopiandone singoli articoli per poi riutilizzarli nel proprio studio o nel proprio laboratorio. Anche per le monografie specialistiche, per le enciclopedie etc., dopo una prima consultazione, la vera maniera di essere utilizzate è quella della riproduzione per uso privato di studio. E questo prima di tutto per l'utenza interna. Ma consideriamo anche l'aspetto del document delivery: il document delivery rappresenta senz'altro una forma di accesso occasionale a documentazione estranea alla "core mission" della biblioteca che lo richiede. Non sostituisce e non ha mai sostituito l'acquisizione in proprio, da parte della biblioteca, della risorsa stessa, sia sotto forma di accesso che sotto forma di possesso. Semmai, il document delivery rappresenta una estensione di quella via di circolazione di nicchia che è lo scambio dei propri preprint fra ricercatori. Chi lavora in biblioteca sa benissimo che il document delivery, quandanche semiautomatizzato e gratuito, rappresenta una via talmente onerosa di accesso all'informazione, da non poter essere utilizzato che per accessi occasionali all'informazione stessa, fisiologici al funzionamento del meccanismo di produzione dell'informazione scientifica. E' assai opportuno, a questo punto, richiamare il concetto di fisiologia dell'informazione scientifica e di fisiologia del meccanismo di produzione dell'informazione scientifica, come già abbiamo fatto all'inizio: senza accesso diretto alle ricerche altrui, non è possibile fare ricerca.
La nuova legge sul diritto d'autore impatta violentemente sulle biblioteche di ricerca, prima di tutto a causa del limite del 15%, stabilito in maniera ambigua e oscura e ripreso in maniera superficiale e altrettanto ambigua dall'accordo fra CRUI e SIAE, AIE, SNS, UNS. Il limite del 15% significa prima di tutto pregiudicare l'accesso stesso all'informazione anche agli utenti interni di una biblioteca di ricerca, dal momento che, lo abbiamo già detto, è proprio la riproduzione per uso personale il modo principale di accesso alla documentazione scientifica avanzata. Anche il document delivery viene messo in seria difficoltà, proprio in un momento in cui si vedeva un pur faticoso sforzo di coordinamento e di automazione di questo servizio fondamentale per la pratica quotidiana delle informazioni scientifiche. La norma del 15% uccide la biblioteca di ricerca perché inibisce quasi totalmente il diritto di riproduzione, e quindi la fruizione, ancorché controllata e filtrata, di un bene che finora era comunque pubblico, pur nelle varie sfumature implicate dal possesso e dall'accesso. Per i centri di ricerca, relativamente al materiale scientifico, l'alternativa che si prefigura è l'acquisto del documento direttamente dall'editore invece della fruizione in biblioteca, che, come abbiamo detto, passa necessariamente dalla riproduzione. E' evidente che, in questa prospettiva, Internet ed il commercio elettronico possono diventare un mezzo privilegiato per sostituire gli editori alle biblioteche; una volta inibito in maniera sostanziale l'accesso all'informazione e la sua circolazione, insomma una volta mutilata la biblioteca di ricerca, diventa lecito per chi amministra e dirige una istituzione scientifica considerare l'opportunità di sostituire la biblioteca stessa con servizi commerciali di document delivery, magari connessi a banche dati bibliografiche, che non a caso vengono acquisite dalle grandi multinazionali dell'editoria scientifica. E' assai probabile che la biblioteca ibrida del futuro sia tale proprio nel senso che ibriderà diverse modalità di accesso all'informazione, probabilmente incrociando tra loro grandi contratti di accesso "campus" a raccolte digitali con formule più o meno spinte di pay-per-view. La prospettiva è quella di ridurre la disponibilità diretta dell'informazione scientifica da parte delle biblioteche, vincolandole sempre di più al controllo degli editori, che sperano così di riguadagnare fette di mercato che ritenevano impropriamente occupate dalle biblioteche, garanti di un accesso controllato, ma comunque pubblico, all'informazione scientifica. L'operazione degli editori è spregiudicata, perché, in nome di una espansione del mercato è disposta a comprimere il meccanismo stesso della produzione scientifica. E' miope, perché dimostra da parte degli editori una incredibile ignoranza di quei meccanismi di cui invece dovrebbero essere garanti. E' triste, perché dimostra che la lobby che ha spinto per questa legge non è più socialmente affidabile, in quanto disposta a stravolgere il circolo della comunicazione scientifica, circolo che è virtuoso per l'intera società.
Torniamo ora al secondo aspetto della legge, cioè il pagamento forfetario da parte delle biblioteche di ricerca.
Riferito al materiale didattico (manuali, libri di testo) l'introduzione di un pagamento forfetario per gli studenti poteva essere una base su cui costruire un nuovo sistema di distribuzione del materiale didattico alternativo a quello tradizionale, una sorta di "print on demand" autogestito dagli studenti, che avrebbe sgravato gli editori dai costi della produzione (o riproduzione) fisica del prodotto. Ciò poteva costituire un mercato di interesse per gli editori. Questa ipotesi presupporrebbe però l'assenza dell'altro limite, quello del 15%. Secondo la legge e visto l'accordo firmato dalla CRUI, il pagamento forfetario è invece una semplice gabella, che semplicemente sanziona un diritto di prelievo da parte degli editori, dal futuro oscuro, incerto, e gravido di pericoli per le università e gli studenti. Anche qui è difficile non giudicare con profonda tristezza la ristrettezza di vedute di questi imprenditori che preferiscono una comoda rendita garantita dagli apparati legislativo e repressivo dello stato piuttosto che avventurarsi con creatività nella definizione di nuovi mercati, di nuove offerte, di nuove opportunità!
Ed è venuto anche il momento di esprimere un giudizio sul documento della CRUI. Ebbene, se insensibilità, ottusità e pigrizia sono vizi difficilmente accettabili in un editore, che dovrebbe essere attore di politica culturale, si deve dire con chiarezza che questi stessi vizi sono assolutamente intollerabili nel massimo organismo di raccordo e di coordinamento delle università. E' stupefacente come la Conferenza dei Rettori, che certo dovrebbe avere il polso della ricerca scientifica nel paese, abbia partorito un documento completamente appiattito sulle più miopi richieste della parte più retriva della lobby editoriale, dimostrando di non avere conoscenza (o rispetto?!) dei meccanismi con i quali all'interno delle loro università l'informazione scientifica viene prodotta. Il richiamo poi alla pirateria, che compare nel preambolo della circolare, è offensivo per la dignità professionale di tutti coloro che concorrono al circolo virtuoso dell'informazione scientifica, primi fra tutti i bibliotecari e i documentalisti, la cui attività è degna di nota solo come potenzialmente foriera di illeciti e di violazione dei diritti degli autori. Le settimane che ognuno di noi ha dedicato all'ottimizzazione e al miglioramento dei servizi di accesso all'informazione e al document delivery vengono dimenticate e confinate in un limbo che deve essere mutilato dal limite del 15% inquisito dagli ispettori SIAE per trarne qualche spiccioletto per gli editori. Uno spettacolo avvilente.
Vorrei andare verso la conclusione di questo intervento provando a prendere in rassegna le cose che noi bibliotecari potremmo ancora fare.
Copyright AIB 2002-06-24, ultimo aggiornamento 2002-07-07 a cura di Vanni Bertini
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