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SEMINARIO SU FRBR (Functional requirements for bibliographic records) - Firenze, 27-28 gennaio 2000

PRESUPPOSTI E ATTRIBUZIONI DELLA CATALOGAZIONE DEL LIBRO ANTICO

di Marielisa Rossi

In via preliminare, sarà opportuno soffermarsi a definire i due termini della questione, ossia l'oggetto e la natura dell'attività di catalogazione ad esso applicata.

L'oggetto è il libro antico, del quale, com'è noto, in questi ultimi anni, sono state presentate in letteratura due definizioni: una, la tradizionale, attiene l'ambito merceologico, l'altra, invece, adottando come discrimine fra libro moderno e libro antico la differenza che passa tra bibliografia nazionale e bibliografia retrospettiva, afferma essere libro antico tutto ciò che ricade nell'area cronologica che precede la fondazione delle rispettive bibliografie nazionali(1).

Nel primo caso, riconoscendo quel carattere di particolarità del libro antico che gli discende dai modi della sua fabbricazione artigianale e accentuando, per esempio, l'aspetto relativo alla trasmissione testuale, si può correre il rischio di far ricadere modalità, forme e obiettivi della catalogazione nell'ottica e nella sfera di competenza di altre discipline, ed asservirli a queste ultime.

Alcuni episodi degli ultimi anni lo hanno dimostrato, e sebbene non possiamo concludere che sia stato negativo familiarizzare con concetti genuinamente bibliografici o prettamente filologici, quali quelli di ideal copy e copy text, l'influenza che questi hanno esercitato non è stata di poco conto, come vedremo, fra breve, quando torneremo su questo punto.

La seconda accezione, se fosse stata accolta e messa in pratica a partire dal momento in cui venne teorizzata ed esposta in modo circostanziato (mi riferisco essenzialmente al lavoro fatto nel 1986 da Marcelle Beaudiquez(2)), riconoscendo l'importanza del censimento delle fonti bibliografiche in cui iscrivere i nostri testimoni, avrebbe determinato sviluppi considerevoli, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nel lavoro catalografico dei fondi antichi.

Un presupposto della catalogazione è dunque la definizione del panorama bibliografico preesistente, poiché la descrizione del libro antico, come è ovvio e come è noto, non si muove su un terreno vergine; circostanza questa, che nella catalogazione del libro moderno si verifica unicamente per il meccanismo di indicizzazione, che deve rispondere a principi di coerenza interna e a criteri di uniformità, ispirati e dettati da analogia di situazioni con i casi precedenti; in estrema sintesi, determinati da un 'prima' in cui il nuovo dato s'inserisce.

Quando si parla di catalogazione del libro antico, tuttavia, vi è un'altra categoria di fonti che non può essere ignorata; essa è rappresentata dall'insieme degli inventari o cataloghi che nel corso dei secoli sono serviti a documentare un dato patrimonio librario; oltre alle fonti bibliografiche, dunque, sarebbe doveroso citare la bibliografia dell'oggetto, riferita alla sua presenza in antichi cataloghi, precedentemente redatti e conservati in una qualsivoglia raccolta. Per quale motivo?

La registrazione catalografica offre un quadro statico, essa è sincronica; ma grazie alla citazione delle fonti bibliografiche, unitamente a quella della documentazione catalografico-inventariale, si espande nel tempo: la prima riconduce il libro nella diacronia bibliografica; l'altra - per usare un'espressione di Alfredo Serrai - 'nell'itinerario della sua vita secolare'. E con ciò il catalogatore offre certamente l'immagine sincronica e diacronica della raccolta, ma in special modo assolve al compito di documentare la 'raccolta reale', poiché di questo si tratta, ed è tuttora dunque pienamente condivisibile la distinzione tra bibliografia e catalogo, proposta dalla riflessione bestermaniana, la quale oppone la casualità delle raccolte librarie alla omogeneità conferita alle bibliografie dal principio ordinatore. Molto opportunamente, inoltre, FRBR al punto 4.5.5(3) prevede l'inclusione delle indicazioni della storia dell'esibizione pubblica di una copia.

Ciò premesso, indipendentemente dal fatto che si sia accordata preferenza all'una o all'altra delle definizioni di libro antico, credo si possa affermare, senza tema di essere contraddetti, che in questi ultimi anni lo studio delle strategie e dei moduli descrittivi ha monopolizzato l'attenzione e, per corollario, distolto l'interesse da altri aspetti del trattamento catalografico, quali, per esempio i meccanismi di recupero dell'informazione. Momento, per contro, essenziale e genuinamente caratterizzante, poiché su un punto credo che possiamo essere tutti d'accordo: "Distinzione essenziale tra bibliografia descrittiva e descrizione catalografica è che la prima per sua natura prescinde da qualsiasi regolarità indicale, mentre la seconda ne è intimamente obbligata"(4).

Obiettivo del catalogo, come si sa, è di mediare attraverso un testo che è quello della scheda, o, meglio, della registrazione(5). Il catalogo, - osserva Marco Santoro - in quanto strumento di comunicazione, "è uno strumento storicamente determinato: legato quindi ai bisogni di chi lo usa da una parte, ai modi in cui si organizza e si manifesta il processo informativo dall'altra"(6). La continua esperienza ci dimostra, infatti, che, se gli sviluppi e i linguaggi della cultura dominante determinano e condizionano il tipo e la qualità delle richieste d'informazione degli utenti e l'approccio dello studioso; analogamente, il bibliotecario riversa nella pratica redazionale dei cataloghi il proprio atteggiamento conoscitivo, condizionato dal panorama della comunicazione culturale attuale.

Già in un'altra occasione pubblica, ho avuto modo di constatare come, in concomitanza con l'avvio del Censimento delle edizioni italiane del Cinquecento, il dibattito sulla catalogazione del libro antico, in Italia, sia rimasto influenzato dalle esigenze e richieste della bibliografia testuale o filologia dei testi a stampa(7), e come buona parte della riflessione allora andasse progressivamente a restringersi intorno al contributo rispettivo che le due attività di descrizione, catalogazione e bibliografia, potevano offrire alla filologia.

Ma, con l'obiettività che la congrua distanza degli anni ci concede, dobbiamo riconoscere che la discussione sulla tecnica descrittiva (quasi facsimilare, normalizzata, short-title, etc.) ha assorbito all'epoca quasi tutti gli interessi sull'argomento, circoscrivendo, quindi, l'approccio catalografico all'esame del singolo libro, visto unicamente come testimone di un'edizione.

Ancora più in generale, in tema di sviluppo dei linguaggi della cultura e dei modi di intendere metodologie di studio e della conoscenza, credo non si possa ignorare l'emergere di una nuova definizione del libro e del suo statuto. Intendo riferirmi ai lavori di Gérard Genette, alla portata del significato di peritesto editoriale e al dibattito sulla funzione di autore; insomma, agli esiti di quella critica letteraria che ha spostato l'interesse dall'autore all'azione tipografico-editoriale.

Attualmente lo stesso contenuto e le finalità del lavoro bibliografico sono in discussione, sottoposti a chiarimento e verifica dopo che la disciplina bibliografica è stata sollecitata a estendere il suo orizzonte di studi, che dovrebbe contemplare ora l'insieme dei processi di produzione, trasmissione e ricezione dei testi in tutte le loro forme.

Il principale rappresentante di questa nuova teoria, Donald Mckenzie, ha messo in discussione la definizione classica della bibliografia (per intenderci quella data da Greg e accettata da Bowers); ha introdotto, contro tutte le definizioni unicamente semantiche dei testi, un concetto di testo esteso dal discorso scritto a qualsiasi composizione di simboli e ha rivendicato con forza il valore simbolico dei segni e delle caratteristiche materiali, per sottolineare gli effetti di senso che le forme producono. In altre parole, come afferma il bibliografo neozelandese, elementi quali interpunzione, formato, dediche, fregi, annunci pubblicitari su riviste e giornali, elenchi dei sottoscrittori, forme varie delle legature, timbri di possesso, marche tipografiche, caratteri di stampa, qualità della carta, etc. sono tutti investiti di una 'funzione espressiva' e contribuiscono alla costruzione del significato(8).

Vi è, dunque, in questa nuova visione della bibliografia, una convergenza d'interessi con il mutamento di prospettiva di studio della storia del libro; tema centrale, infatti, dell'indagine storica, è diventato il processo della comunicazione, quello che appunto passa dall'autore all'editore, al tipografo, al distributore, al libraio per terminare col lettore(9) secondo le linee direttrici esposte da Robert Darnton, uno degli studiosi di storia del libro contemporanei più innovatore.

La ricezione dei testi e il lettore, pertanto, allo stato attuale costituiscono, sotto il profilo dell'indagine sia bibliografica che storica, il baricentro d'interesse; e se, in passato per quanto attiene l'indagine storica, si riteneva sufficiente la sola analisi del contenuto librario di una biblioteca privata, la maturità disciplinare odierna si è resa consapevole che questo tipo di analisi rivela solo in modo superficiale e approssimativo gli interesssi del proprietario, se non gli viene unito lo studio di postille e note di commento - le quali, se presenti in determinati libri, costituiscono una tangibile ed eloquente testimonianza di adesione o di dissenso alle idee che essi contengono.

Ricostruito, se pur così schematicamente il campo di riferimento culturale e i nuovi ambiti di ricerca, contigui all'oggetto e agli scopi della catalogazione, non resta che esaminare in che modo e in quali forme essi possano incidere su teorie e pratiche della catalogazione.

Per paradossale che possa sembrare, proprio la circostanza che le competenze e l'orizzonte di studi della bibliografia si stiano ampliando e che essa, se vorrà accogliere ed adempiere alle nuove richieste, dovrà affinare i suoi strumenti di ricognizione e di comunicazione, poiché con gli attuali è impensabile poterle soddisfare, favorisce, a mio avviso, il caratterizzarsi del lavoro catalografico e contribuisce a chiarirne la natura specifica.

Lasciamo, infatti, alla bibliografia il compito di selezionare e descrivere impressioni, emissioni e stati o, nel caso si accetti la visione allargata, di perseguire i nuovi obiettivi, del tutto improponibili per la catalografia. Il catalogatore, invece, per non tradire le capacità di strumento di consultazione, presenti e descriva un libro come uno degli individui potenzialmente identici di un'edizione, nella consapevolezza che anche la più sofisticata descrizione è rappresentativa di un numero non precisabile e non prevedibile di esemplari e di edizioni. é dunque ancora attuale il concetto di 'bibliotipo' di Rolf Du Rietz, inteso come il numero complessivo delle unità bibliografiche conosciute o ignote, che può essere coperto da una certa descrizione bibliografica e per cui quella descrizione può funzionare come minimo comune denominatore. Il catalogo, dunque, registra copie naturali e descrive copie naturali e copie ideali in combinazione, cioè solo le edizioni, impressioni, emissioni, o stati rappresentate dalle copie presenti nella collezione(10).

Evitando poi di addentrarci in particolari descrittori che sarebbe fuori luogo rammentare in questa sede, va da sé che in tale descrizione una posizione centrale deve essere riservata all'indicazione degli elementi della struttura fisica, determinante per l'individuazione di un'edizione, ossia formato e registro delle segnature dei fascicoli. Una formula del tipo: 4° A-Z8 è molto più efficace di qualsiasi altro enunciato; nella sua sinteticità ci dice che il foglio di forma è stato piegato due volte, che per fare un singolo fascicolo si sono adoperati ben due fogli di forma, che l'imposizione non è quella di un in quarto regolare e che per stampare una copia di quella edizione sono occorsi ben quarantasei fogli. Questi elementi sono significativi per il sistema di fabbricazione, di commercializzazione, di lettura del libro e sono più espressivi di qualsiasi altra informazione, offerta in linguaggio naturale. Questo (insieme al tipo del carattere e alla misura del carattere, come previsto da FRBR 4.4.18-4.4.19) è quanto può continuare a offrire il catalogo sul piano della conoscenza di quei dispositivi formali, che, secondo l'opinione di McKenzie, organizzati dalle intenzioni dell'autore o dell'editore, mirano a orientare la ricezione, a controllare l'interpretazione, a qualificare il testo; questo e non altro.

Quanto poi alle esigenze di ricerca storica, tutti quegli elementi di ordine biografico, collezionistico e antiquario presenti nei libri possono essere rilevati effettivamente dal bibliotecario nella sua ispezione e ricognizione delle raccolte; ciò facendo, egli mette a frutto professionalità e competenze proprie del suo ruolo, paragonabili a quelle degli storici e dei filologi, poiché in comune con essi ha l'imperativo di dedicare gran parte del suo lavoro all'accertamento, alla conservazione e all'utilizzazione delle fonti; e nel settore della trasmissione e conservazione dei libri a stampa questo lavoro pionieristico di indagine può essere condotto solo all'interno delle biblioteche.

Veniamo ora al ruolo dell'indicizzazione.

In occasione di progetti che prevedono la descrizione di raccolte di libri antichi o di allestimento di cataloghi collettivi, il problema della catalogazione si pone in relazione a una duplice necessità conoscitiva:

  1. controllo bibliografico
  2. conservazione e tutela

Quanto al primo dei due punti sopra evidenziati, dobbiamo prendere atto dell'assenza di una serie non piccola di strumenti, pur necessari alle operazioni di controllo.

é un dato di fatto - lo rileva M. Guerrini nella presentazione al Catalogo di Cinquecentine della Biblioteca comunale di Empoli(11) - che il catalogatore del libro antico debba affrontare il quesito della normalizzazione della intestazione con frequenza maggiore rispetto al catalogatore del libro moderno; e in relazione a questo ordine di problemi l'Italia è priva di authority files redatti da agenzie bibliografiche autorevoli o da grandi biblioteche, fatta eccezione per quelle poche liste, che lo stesso Guerrini elenca; mancano, infine, anche indicazioni sulla gerarchia delle fonti da consultare; fatto non del tutto imprevedibile, dal momento che - come abbiamo detto in premessa - non è stato ricostruito il panorama bibliografico retrospettivo.

E che dire poi della necessità di formulazione e formalizzazione di titoli convenzionali e titoli uniformi, cui si sarebbe dovuta prestare particolare attenzione, considerata la ricca tradizione letteraria di corpus quali Lettere di principi, Alcune lettere delle cose dal Giappone, Lettere di xiii uomini illustri? Solo per fare alcuni degli esempi più banali unicamente fra l'abbondante materiale epistolare e altri ce ne sarebbero da fare(12). A fronte di questa vastissima produzione, non possiamo beneficiare di una sua adeguata ed organica conoscenza e a tutt'oggi, disponiamo solo di un repertorio di opere anonime classiche, compilato per le cure dell'IFLA nel 1978 (Anonimous classics: a list of uniform headings for european literature compiled by the IFLA international Office for UBC, edited by Rosemary C. Hewett, London, IFLA international Office for UBC, 1978).

Superfluo ricordare, inoltre, che mancano ancora liste di autorità di nomi per figure quali quelle dei tipografi e degli editori, cui vincolare espressioni indicanti le insegne della bottega o l'indirizzo, distintivi dell'officina. La relazione fra tali entità con la manifestazione, da sempre considerato strategico per l'informazione e la ricerca sul libro antico(13), è ribadito da FRBR.

Nonostante l'intenso incremento delle possibilità di ricerca offerte dai nuovi sistemi di interrogazione on-line (impiego di operatori logici, aritmetici e di prossimità, funzioni di troncamento e combinazione), che consentono accessi precedentemente inimmaginabili, la necessità di tali operazioni fondate su atti conoscitivi, permane.

E per concludere su questo argomento, essendoci finora soffermati essenzialmente sul trattamento catalografico relativo a una delle due anime costitutive del libro antico (libro come manifestazione tipografico-editoriale di un testo) resterebbe da esaminare la seconda (libro come oggetto materiale con la sua storia individuale), la quale, a differenza della prima che vanta una lunga tradizione di studi e di applicazioni, deve, invece, ancora affinare il proprio armamentario di strumenti atti al recupero e alla comunicazione di quegli elementi, di ordine storico, biografico, collezionitico, antiquario - altrimenti detti con il termine tecnico, provenance - che sono eloquenti su provenienze, possessi, e struttura delle raccolte di cui un certo volume fa parte (cfr. FRBR 4.5.3-4.5.4).

Permangono, e sono ampiamente condivisibili, infatti, le perplessità manifestate in relazione ai problemi di precisione terminologica(14). Dobbiamo prendere atto che, pur essendosi, elaborati anche thesauri dedicati a singoli aspetti del libro(15), per peculiarità della copia specifica, attestazioni di provenienze e d'uso, la discussione professionale su questi temi è stata appena aperta e non si è approfondita mai più di tanto.

Lo stesso SBN antico, in mezzo all'ampia casistica contemplata da 'provenance' si limita a prevedere un legame tra l'unità inventariale e un possessore (codice P), e un legame con l'ultimo proprietario, persona o ente che non sia libraio (codice R o provenienza) (16).

Mi avvio a concludere.

Le innovazioni tecniche introdotte nel mondo delle biblioteche imponevano con urgenza anche il problema di una riconsiderazione del linguaggio complessivo degli strumenti catalografici, cui FRBR ha dato indubitabilmente un contributo notevole, dopo l'inerzia della riflessione biblioteconomica successiva a eventi quali i Principi di Parigi e la redazione delle ISBD, che si collocano tutti pur sempre prima dell'avvento del computer in biblioteca, ma FRBR pone, tuttavia, anche una serie di interrogativi e obbliga a delle valutazioni, inerenti alla catalogazione del libro antico, cui non ci possiamo sottrarre.

Sottopongo schematicamente alla vostra attenzione i seguenti punti.

Punto 1.
FRBR impegna a ripensare in termini diversi ad un insieme di funzioni e attività bibliotecarie; in primo luogo a una nuova figura di bibliotecario-catalogatore che sappia adeguare l'informazione bibliografica alle nuove esigenze espresse dalla comunità intellettuale e culturale rispetto al patrimonio da trasmettere e comunicare. Dò per scontata la funzione conservativa della bilioteca, che si qualifica ancora come l'istituzione deputata per eccellenza alla conservazione degli originali delle manifestazioni a stampa e su altri supporti, al fine di permetterne la consultazione in tutta la loro materialità (l'unica lettura possibile che consente di afferrare il senso che le forme producono, secondo l'opinione di McKenzie(17)), ma in relazione al patrimonio da comunicare come conciliare il recupero retrospettivo con questa eventuale nuova gestione? Sono in corso e sempre più numerosi i progetti di riconversione su supporto elettronico di dati retrospettivi esistenti su supporto tradizionale; la copertura di tale riconversione è ovviamente al momento ben lontana dall'essere totale e bisognerà attendere per vedere sino a che punto si spingerà. Ora noi tutti sappiamo come nel corso della storia il cambiamento di supporto abbia comportato una scelta, che ha voluto significare un rinnovo di esistenza per alcuni testi e la condanna per altri(18). Grava, dunque, sui poteri decisionali dei bibliotecari e delle istituzioni preposte alla conservazione del patrimonio documentario della nostra civiltà una responsabilità non certo lieve.

Al di là di queste considerazioni per così dire 'alte', ci sono anche argomentazioni di più basso profilo, ispirate a un sano pragmatismo, che solleciterebbero il recupero di tutto il materiale proprio nella considerazione dell'ampio raggio entro il quale possono essere utilizzati i dati bibliografici e catalografici, poiché, il modello di FRBR, se applicato, porterà conseguentemente alla creazione di registrazioni, che consentiranno una sorta di monitoraggio a tutto tondo del posseduto della biblioteca, tenuto sotto osservazione lungo il percorso sia dei servizi più propriamente gestionali (disponibilità, prestito, conservazione, etc.) sia di quelli d'informazione (valenza bibliografica, storica).

Sono, queste, prospettive che non possono essere sottaciute e dovranno essere tenute nel debito conto.

Per maggiore chiarezza espositiva, ricorro ad una delle varie esemplificazioni possibili: se nell'ottica dello storico, la segnalazione delle cosiddette 'provenienze', insieme ad altri elementi quali dimensioni, lingua, soggetto, applicata con metodo e capillarità, consente di costruire dei grandi affreschi dei modelli di appartenenza dei libri e di constatare come questi cambino, nel corso dei secoli, questi stessi dati nell'ottica del bibliotecario possono e debbono essere impiegati in modo funzionale, come nel caso di un'eventuale scheda di conservazione e restauro, integrata ovviamente delle specifiche del caso (si veda FRBR 4.5.6-4.5.7-4.5.8).

Punto 2.
FRBR ripropone l'attività di catalogazione di biblioteca come un punto di snodo per tutti i servizi ed obbliga, quindi, a ripensare alle raccolte nei termini di un'unità, complessa e variegata, ma pur sempre un'unità.

Sarebbe pertanto improponibile nell'applicazione del modello continuare a pensare a un'attività di catalogazione divisa per fasce cronologiche convenzionali (Cinquecentine, Secentine, etc.). Se è vero che alcune opere esistono testimoniate da una sola manifestazione, le opere della tradizione, invece, seguendo percorsi non sempre lineari, si sono incorporate nel passato in più manifestazioni e continuano nel presente, impiegando supporti diversi.

Uno degli esiti più positivi di questo trattamento unitario risulterebbe essere l'annullamento di comportamenti disomogenei sul piano bibliografico. Mi riferisco alla difformità fra intestazioni per autore delle opere edite nel XV secolo e quelle che vengono poi a connotare le stesse opere pubblicate nei secoli successivi(19); o ad altri casi di discrepanze più inspiegabili; capita, infatti, che la stessa agenzia bibliografica presenti la medesima edizione sotto forme d'intestazione diverse, un esempio fra tanti: Actuarius, Johannes figura in questa forma inversa nei volumi a stampa di EDIT, mentre è presente nella forma diretta, Iohannes Actuarius, nella base-dati SBN antico.

Sulle possibilità di realizzazione non vi nascondo che nutro tuttora dei dubbi, avvalorati dalla constatazione che uno dei maggiori impedimenti nell'applicazione delle norme dell'isbd(a) in questi anni si è avuto nei punti 2.3.2-2.3.3, là dove si esortava il catalogatore alla ricostruzione delle vicende editoriali dell'opera; esiste un'oggettiva impraticabilità di verifica, essendo inesistente o insufficiente la documentazione bibliografica su cui poter svolgere accuratamente l'indagine. Come vedete si ritorna in modo circolare al presupposto iniziale; del resto, su questo punto della problematicità stemmatica il documento di Osservazioni sui principi di FRBR, elaborato dal Gruppo di studio sulla catalogazione dell'AIB, è molto chiaro e circostanziato.

Ma al di là delle difficoltà di ordine contestuale, connesse con una più o meno ricca repertoriazione, ne esistono di effettive, come gli esempi che seguono vogliono esserne una testimonianza concreta; se ne ricava la consapevolezza della obiettiva difficoltà nella individuazione di un'espressione da un'altra, che solo un'attenta collazione testuale permette di riconoscere(20).

Il concetto empirico, ma efficace che si applica in bibliografia testuale per distinguere una nuova edizione da una precedente (ossia, là dove più della metà delle forme sono ricomposte si parla di altra edizione) è qui improponibile trattandosi non di prodotti tangibili, bensì intellettuali.

Gli esempi prendono in esame due opere di Giovanni Battista Della Porta (1535-1615), l'analisi delle quali si è svolta nella Biblioteca nazionale centrale di Firenze, ossia in un ambiente bibliograficamente favorevole per la ricca repertoriazione e per il numero e la disponibilità di esemplari delle edizioni da esaminare.

Esempio n. 1

Tit. uniforme della tradizione: Cifrario o Crittografia (1560), manuale in cui l'A. espone i meccanismi per interpretare i cifrari più complessi.

1563 Prima edizione, con titolo:

De furtivis literarum notis, vulgo De Ziferis libri I-IV
Napoli, G. M. Scoto, 1563
4°, ill.
BNCF Magl. 11.6.48.

1591 Contraffazione della prima edizione:

De furtivis literarum notis, vulgo De Ziferis libri I-IV
Napoli, G. M. Scoto, 1563 [ma Londra, J. Wolf, 1591]
4°, ill.
BNCF Magl. 1.6.59.

Commento: sarà opportuno inserire nella relazione manifestazione con manifestazione anche l'indicazione di contraffazione, non prevista da FRBR, cfr. 5.3.4, ma frequente nella stampa dei libri antichi.

1593 Altra edizione con qualche variante testuale; cambia il titolo (ma, vedi FRBR 3.2.1, non è indicativo del fatto che si tratti di altra opera), ma stessa espressione del 1563:

De occultis literarum notis libri IV
Montbéliard, Foillet, expensis L. Zetzner, 1593
8° ill.
BNCF Magl. 3.5.111.

1602 Altra redazione (capitoli rifatti, quasi una riduzione); si aggiunge - rispetto all'espressione della manifestazione del 1563 di cui mantiene il titolo - il libro V.

De furtivis literarum notis vulgo De ziferis libri V
Napoli, G.B. Sottile, 1602
2° ill.
BNCF Nencini II.10.10.2.

Commento: nuova espressione.

1606 I libri I-IV sono come nell'ed. 1593; il libro V, invece, è una versione diversa del testo del libro V dell'ed. del 1602:

De occultis literarum notis libri V
Strasburgo, Lazzaro Zetzner, 1606
8° ill.
BNCF Magl. 5.8.36.

Commento: altra espressione che incorpora più espressioni.

Esempio n. 2

Partiamo da:

Giovanni Battista Della Porta
Le zifere o della scrittura segreta
A cura di Raffaele Lucariello
Napoli, Filema, 1996.

Risaliamo alla prima edizione:

1589 Prima edizione latina in XX libri, di cui è il XVI libro:

Magiae naturalis libri XX
Liber decimus sextus XVI: in quo clandestinae & inperspicuae notae pertractantur
Napoli, Orazio Salviani, 1589

BNCF Magl. 1.5.249.

Commento: FRBR 5.3.1.1: parte/tutto.

Edizioni italiane ossia altra espressione:

1611

Della Magia naturale libri XX
Libro sestodecimo nel quale si tratta di zifere, che non si veggono
Napoli, Gio. Giacomo Carlino, 1611

BNCF Magl. 3.2.505.

1665

Magia naturale. Libro XVI
Venezia, C. Conzatti, 1665

non vista.

1677 Varianti testuali rispetto all'ed. 1611.

Della magia naturale libri XX tradotti da latino in volgare e dall'istesso autore accresciuti sotto nome di Gio. De Rosa.
Libro XVI nel quale si tratta di zifere, che non si veggono
Napoli, Antonio Bulifon, 1677

BNCF Banco 21.1.174.

1925

Magia naturale. Libro XVI
Milano, Alb. Fidi, 1925
16°
non vista

1996

Le zifere o della scrittura segreta
A cura di Raffaele Lucariello
Napoli, Filema, 1996.

Commento: riporta varianti testuali dell'edizione 1611 e dell'edizione 1677, della quale segnala mancanze; introduce grosse sviste (talvolta segnala mancanze là dove non ci sono) o errori pacchiani (per es. legge Viar per Usar, interpretando malamente la V capitale e la s lunga (VJ)) (cfr. p. 58).

Il testo dell'edizione è una contaminazione delle due del Seicento.

Riassumendo.

Nel primo esempio si presentano i seguenti problemi:

1. Una contraffazione che va messa in relazione con l'edizione reale.

2. Sotto il medesimo titolo si può nascondere un'espressione differente di un'opera,

e per converso

3. Sotto un titolo diverso si può nascondere la stessa espressione di un'opera.

4. Una manifestazione può incorporare più espressioni.

Nel secondo, invece, si pone un problema di copy-text.


1. Piero Innocenti, Metodi e ricerche per lo studio del libro antico: campo, oggetto, tecnica e tecnologie, "Annali della Facoltà di lettere e filosofia. Anni Accademici 1987-1989", p. 409-512: 463-464.

2. Marcelle Beaudiquez, Inventaire général des bibliographies nationales retrospectives, München, Saur, 1986.

3. IFLA Study Group on the Functional Requirements for Bibliographic Records, FunctionalRequirements for Bibliographic Records. Final Report, approved by the Standing Committee of the IFLA Section on Cataloguing, München, Saur, 1999 (UBCIM Publications. New Series vol. 19); d'ora in avanti citato con sigla FRBR.

4. Cfr. Diego Maltese, Introduzione critica alla descrizione bibliografica, Milano, Editrice Bibliografica, 1988, p. 215.

5. Come afferma Innocenti, Metodi e ricerche cit., p. 484.

6. Cfr. Marco Santoro, I cataloghi a stampa: ipotesi per una metodologia funzionale, in Il futuro della descrizione bibliografica: atti della Giornata di studio, Firenze 13 novembre 1987, a cura di Mauro Guerrini, Roma, AIB,1988, p. 59.

7. Nella sua Prolusione, letta in occasione della cerimonia per la Laurea honoris causa, conferitagli dall'Università degli studi di Udine, Conor Fahy ha ripercorso le principali tappe della diffusione degli studi di bibliografia testuale in Italia; la Prolusione è ora pubblicata in Bibliografia testuale o filologia dei testi a stampa? Convegno in onore di Conor Fahy, a cura di Neil Harris, Udine, Forum, 1999, p. 23-32.

8. Si fa riferimento a Donald Mckenzie, Bibliografia e sociologia dei testi, Milano, Bonnard, 1999 (tit. orig.: Bibliography and sociology of texts, 1986).

9. Robert Darnton, Cos'è la storia del libro? in Il bacio di Lamourette, Milano, Adelphi, 1994, p. 65-96: p. 69.

10. Cfr. Alfredo Serrai, Dai 'Loci Communes' alla bibliometria, Roma, Bulzoni, 1984, p. 177-198, in particolare p. 191-198.

11. Mauro Guerrini, Presentazione, in Biblioteca comunale Renato Fucini, Empoli, Catalogo delle edizioni del Cinquecento, 1999; in CD-ROM.

12. Cfr. la Guida a SBN antico (Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, Guida alla catalogazione in sbn libro antico, Roma, iccu, 1995) che ha previsto e predisposto una serie di legami: M9A, legame con i titoli di raggruppamento controllati; M6B, legame con i titoli di raggruppamento non controllati, che consentono di realizzare intestazioni per titoli originali o convenzionali; nonché M8D, C8D legami per le varianti del titolo. Per un'analisi della Guida e per un commento su questi ed altri legami si vedano le considerazioni di Andrea De Pasquale, SBN per il libro antico, "Biblioteche oggi " 17, n. 8 ottobre, 1999, p. 16-26.

13. Si veda in proposito anche ICCU, Guida cit., Appendice VI, p. 115-146.

14. Alfredo Serrai, Biblioteche e bibliografia: vademecum disciplinare e professionale, a cura di Marco Menato, Roma, Bulzoni, 1994, p. 191-193.

15. Si veda in proposito Annuario dei Thesauri: 1991, Firenze, IFNIA, 1991, e in particolare, ivi, Alberto Petrucciani, Microtesauri per il libro antico e raro, p. 53-65.

16. Il trattamento del nome poi avviene secondo le norme per gli autori, sia che si tratti di persone che di enti; e la banca dati rimane su base locale, consultabile a livello di polo.

17. Si vedano su questi temi le osservazioni di Roger Chartier, Testi, forme, interpretazioni, in McKenzie, Bibliografia cit., p. 98-107: in particolare p. 101.

18. In proposito si veda piero Innocenti, Metodi e tecniche nella ricerca bibliografica (Trilogia di Mary Poppins), Manziana (Roma), Vecchiarelli, 1999, p. 78: "Il cambiamento di supporto è conosciuto dalla tradizione documentaria e bibliotecaria: cambiare supporti e translitterare vuol dire intervenire sulla tradizione dei testi e sulla sua sede; vuol dire scegliere e scegliere vuol dire condannare ciò che non viene scelto. Forse per sempre".

19. Così si esprime Serrai, Biblioteche e bibliogrfia cit., p. 189-190.

20. Sulle revisioni verticali e orizzontali dei testi d'autore si veda Teresa Grimaldi, Catalogazione e ricerca dell'informazione(III), "Il bibliotecario", 38, dicembre 1993, p. 123-137, la cui fonte è G. Thomas Tanselle, The editorial problem of final authorial intention, "Studies in Bibliography" 29, 1976, p. 167-211: 191-207.


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