AIB. Sezione Toscana. Convegni
SEMINARIO SU FRBR (Functional requirements for bibliographic records) - Firenze, 27-28 gennaio 2000
di Teresa Grimaldi
Il dibattito catalografico internazionale sull'oggetto della descrizione bibliografica, in particolare quello svoltosi tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si è delineato nei termini di una insanabile dicotomia circa la definizione della metodologia descrittiva e del suo oggetto, con l'assunzione alternativa, come unità catalografica di base, ora di un elemento discreto e concreto quale il singolo documento; ora di una entità astratta, concettuale e relazionale, l'opera, rappresentativa di tutto il nucleo delle manifestazioni culturali ed editoriali dell'unità letteraria originaria: di qui derivava il riconoscimento dell'impossibilità di organizzare il catalogo contemporaneamente intorno a due entità bibliografiche - pena un eccessivo appesantimento o lo scardinamento della sua struttura - e, di conseguenza, la necessità di individuare una priorità tra i due diversi oggetti di catalogazione, al fine di definire la fisionomia del catalogo e la sua destinazione utenziale in favore di una delle due diverse e fondamentali esigenze informative: la localizzazione rapida di un documento noto, o l'informazione sistematica su tutte le edizioni di una data opera esistenti in biblioteca.
In realtà quella dicotomia non aveva alcun fondamento teoretico: si trattava, piuttosto, di recepire i risultati più maturi e consapevoli della recente riflessione sui principi catalografici, in particolare quelli raggiunti da Lubetzky, che, sulla scia delle profonde intuizioni catalografiche di Panizzi e Cutter, puntualizzava che l'aspetto più elusivo ma intrinsecamente più importante del libro è l'identità dell'opera in esso contenuta; e di calibrare, di conseguenza, la metodologia descrittiva e i meccanismi catalografici al fine di caratterizzare e correlare opportunamente tutti i molteplici aspetti della complessa realtà ideale e materiale dei documenti. Tuttavia la dicotomia non solo fu posta, ma fu risolta in maniera ambigua e contraddittoria: infatti, l'obbligato ossequio del mondo catalografico occidentale alla tradizione letteraria induceva al privilegiamento dell'opera; ma, in mancanza di una definizione esplicita e puntuale, e sulla base di un ingiustificato capovolgimento categoriale, l'essenza dell'opera veniva individuata in riferimento, più che alla identità di una sostanza intellettuale, alla sua concretizzazione in un prodotto bibliografico-editoriale, coincidente il più delle volte con il documento, e si giungeva addirittura, attraverso un rimando tautologico tra opera e pubblicazione, alla assunzione che ogni pubblicazione è una nuova opera a sé stante: rimando fondato sul disconoscimento della creatività come il tratto essenziale dell'opera. Di qui derivano insanabili contraddizioni all'interno della politica di indicizzazione, come quella determinata - nei Principi di Parigi e nei codici di diretta derivazione - dalla duplice pretesa di 1) riflettere adeguatamente in un'unica registrazione catalografica entrambi gli aspetti della complessa entità bibliografica, la creazione intellettuale di un autore e il medium usato per trasmetterla; 2) di adottare due distinte procedure, incaricata l'una di descrivere l'oggetto fisico, l'altra, tramite la formulazione dell'intestazione, l'entità intellettuale. Ciò spiega perché l'indicizzazione delle opere non è ritenuta una funzione descrittiva autonoma e primaria, ma risulta un'attività informativa residuale rispetto al compito principale di descrivere i documenti in cui quelle sono contenute.
La contraddittorietà di queste assunzioni non è determinata da difficoltà di tipo tecnologico - la necessità di assumere, nei cataloghi manuali, un'unità di registrazione bibliografica di base - ma dalla mancata chiarificazione teoretica dell'oggetto della catalogazione descrittiva: infatti, ancora oggi, nonostante la struttura multidimensionale e relazionale del catalogo informatizzato, permane come oggetto principale del catalogo un'unica classe di oggetti, l'entità discreta del documento, in assenza di principi e procedure logico-concettuali adeguate all'analisi e indicizzazione delle multiformi e stratificate realtà del documento.
In realtà, i cataloghi delle biblioteche del passato, e oggi quelli delle biblioteche di piccole e medie dimensioni, hanno descritto singoli documenti in base al presupposto che, fatta eccezione per alcuni autori, di solito la biblioteca possiede una sola edizione di un'opera. Ma quando queste condizioni non sussistono, in relazione soprattutto all'ampliamento delle dimensioni delle biblioteche e dei cataloghi, la teoria descrittiva non può più ignorare la genuina essenza dell'oggetto bibliografico: si tratta di riconoscere che "I connotati di un libro appartengono a più generi; ciascuno di questi è fondato da una delle Categorie che specificano il coacervo della realtà del libro. Tali Categorie vanno considerate sotto due aspetti: A) in quello proprio, che rispecchia cioé singole essenze ontologiche presenti nel libro [il Testo dell'Opera, l'Edizione del Testo, la Fisicità del Testo]; B) in quello relazionale, ossia come centro in cui si imperniano i rapporti - causali, genetici, distributivi, economici, teleologici, applicativi, etc. - che le essenze intrattengono con la fenomenistica o con le funzioni di un particolare libro"(1).
Nella prospettiva bibliografico-catalografica l'opera è l'inizio di una famiglia, la composizione di uno o più testi che sono i capostipiti dei successivi membri della famiglia (2). Essa va indicizzata attraverso i suoi specifici connotati, in primis il titolo e eventualmente il suo autore; tale indice va formulato puntualmente, non nella logica della attribuzione di una intestazione, principale o secondaria, ad un documento, ma nella logica della segnalazione di tutte le entità bibliografiche autonome, permanenti, caratterizzate da un autore e definite concretamente da tutti i testi dell'opera.
Il testo (la "espressione" di FRBR) è la prima entità concreta, e fonda l'identità dell'opera letteraria , che, avendo carattere allografico - secondo quanto sostiene Nelson Goodman (3) - si attua non attraverso un singolo atto produttivo (come avviene per le opere d'arte autografiche, come per es. quelle pittoriche), ma attraverso una molteplicità di istanze e una serie di rappresentazioni verbali di un nucleo sintattico e semantico singolare. Al fine di ridurre la fluidità e indeterminatezza secondo cui si svolge la realizzazione sequenziale delle opere, è necessario ricostruire il nucleo testuale a partire dall'unità linguistica e contenutistica stabilita dall'autore, per poi porre quella unità al centro delle modificazioni operate sul testo da parte di tutti i vari ed eventuali curatori, traduttori e revisori, e avendo cura di qualificare le nuove entità sintattiche e semantiche in base alla relazione con la versione originale del testo. Infatti un'opera può generare altri testi ad essa correlati come versioni, traduzioni etc.; può essere pubblicata da uno o più editori (in tal caso va esplicitato di quale versione del testo la pubblicazione è rappresentativa), in formati diversi, in date diverse; può essere il soggetto di un'altra opera, in tutte le sue componenti e varianti testuali ed editoriali. E' quindi attraverso l'entità testo che si effettua la classificazione delle caratteristiche linguistiche, concettuali e intellettuali secondo cui si è manifestata la fenomenologia letteraria delle opere.
Nei codici catalografici l'entità bibliografica testo non è mai stata riconosciuta; è invece opportuno che il catalogatore, attraverso un attento esame del documento, evidenzi e qualifichi per differenza il particolare stato testuale dell'opera, e lo collochi nella posizione gerarchica che tale differenza gli assegna nella famiglia bibliografico-testuale dell'opera.
Di conseguenza la catalogazione si delinea come un processo che va nella direzione opposta a quella prevista dagli attuali codici: non si tratta di descrivere prioritariamente una manifestazione fisica, per poi estrarre dai dati in essa presenti gli accessi giustificati da quella descrizione; ma, al contrario, si tratta di decostruire l'unità bibliografica di partenza, il documento, di analizzarlo alla luce delle entità concettuali costitutive e permanenti - l'opera, i testi e le loro varie edizioni - ; di caratterizzare quelle entità attraverso i relativi attributi e correlarle alle manifestazioni bibliografiche concrete. In questa prospettiva il catalogatore è l'interprete dei libri, e la sua attività consiste nella formulazione di indici che come tali - cioé nella loro valenza triadica di simboli di qualcosa per qualcuno - da una parte rappresentano quei caratteri del documento che ne esprimono il nucleo informativo, l'opera, dall'altra costituiscono un sicuro appiglio di ricerca per il lettore, il cui oggetto di interesse non è il libro, ma l'opera in esso contenuta.
L'aver trascurato l'integralità e la complessità concettuale dei processi di indicizzazione catalografica, e il non aver fatto ricorso ad una mappa completa dei livelli e delle entità coinvolte in quei processi - limitandosi ad utilizzare soltanto una parte delle entità e delle relazioni che vi ineriscono - è stato il vizio principale di tutte le realizzazioni catalografiche (4).
FRBR problematizza esplicitamente per la prima volta la necessità di un nuovo modello concettuale di analisi trasversale dell'oggetto bibliografico-editoriale, che ne destrutturi la rigidità e l'opacità fisica alla luce delle diverse entità concettuali che fondano l'universo bibliografico, e che affidi alla registrazione catalografica il compito di rappresentare in maniera differenziale e relazionale le multiformi realizzazioni testuali ed editoriali di quella entità che costituisce il nucleo bibliografico originario, e il primario centro di interesse informativo per l'utente: l'opera. La portata innovativa del nuovo modello è tale da mettere in discussione l'ideologia catalografica implicita negli attuali codici di catalogazione, negli standard descrittivi internazionali, le varie ISBD, e nel formato internazionale automatico di registrazione e scambio dei dati bibliografici.
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L'inefficacia teorica e pratica di quella ideologia emerge immediatamente da una rapida analisi di alcuni punti-chiave delle AACR2, che prendiamo in esame come il più aggiornato e diffuso codice di catalogazione (5). Innanzitutto la organizzazione del codice - e della sequenza del lavoro catalografico - in due parti, la prima dedicata alle norme per la descrizione del documento fisico (regola 0.3), e la seconda alle norme che determinano l'intestazione, e che "[...] si applicano alle opere e non alle loro manifestazioni fisiche" (regola 20.1), mostra la contraddizione logica e categoriale derivante dal riferimento della unità di registrazione catalografica a due entità di natura eterogenea, il documento e l'opera di cui è espressione. Tale contraddizione è alimentata, ora dalla impropria introduzione di elementi descrittivi nell'ambito dei criteri di determinazione dell'accesso all'opera; ora, inversamente, dalla adozione di considerazioni di carattere letterario e autoriale nell'ambito della descrizione bibliografica: in riferimento alla prima situazione è assai indicativa la dilatazione del concetto di autore sino a comprendere la persona o ente associata con la responsabilità del documento; in riferimento alla seconda situazione va rilevato che nella registrazione della indicazione di responsabilità molte volte i nomi associati alla pubblicazione non sono riportati integralmente nell'ordine che hanno sulla appropriata fonte descrittiva, ma sono omessi o riordinati in considerazione della loro funzione nei confronti dell'opera. In generale la confusione e la sovrapposizione categoriale è determinata dall'uso ambiguo dei concetti di opera (del cui termine il glossario denota una significativa assenza), edizione e pubblicazione.
Attualmente l'opera è indicizzata solo quando coincide con il singolo libro di un singolo autore ; per il resto, in applicazione delle regole della parte seconda - che si fondano sull'assunto che per ciascun documento descritto sia prodotta un'unica registrazione principale, che lo rappresenta in una lista, in un catalogo, in una bibliografia (R 0.5) -, la politica catalografica predominante è quella di indicizzare il documento - attraverso il nome del suo responsabile principale -, per cui l'opera è occultata dalla fisicità dei documenti: ciò in contraddizione stridente sia con la ratio della parte seconda - quella per cui le regole sulla scelta dei punti di accesso si applicano alle opere e non alle loro manifestazioni fisiche (R 20.1); sia con l'intento, dichiarato nell'introduzione generale, di soddisfare i PP, in particolare 2.2 a) e b): (indicare efficacemente tutte le opere di un autore e tutte le edizioni di un'opera). In realtà, la maggior parte delle norme in cui si articola l'ambito di applicazione della intestazione/registrazione principale si riferiscono a concrete e discrete situazioni bibliografico-editoriali e non certo alla ontologia astratta delle opere: l'unica regola che consente il corretto adempimento delle finalità della Pt. II è la 25.1: 'Uso dei titoli uniformi', che serve ad identificare e tenere insieme "tutte le registrazioni catalografiche apparse in varie manifestazioni"; tuttavia l'applicazione di questa regola non è considerata necessaria e obbligatoria, ma è sottoposta a considerazioni di opportunità a seconda della politica adottata dalle varie agenzie catalografiche: ciò impedisce l'adempimento di 20.1 e fa ripiombare il codice nella ambiguità della scelta dell'oggetto catalografico.
Ma se l'obiettivo della catalogazione è di consentire l'accesso ad ogni prodotto intellettuale, allora bisogna garantire l'acceso: 1) a tutti gli autori di un'opera, eliminando sia le restrizioni introdotte dalla famigerata regola del tre; sia la dipendenza dell'accesso dalla attribuzione di auotorialità nella fonte documentaria ritenuta pertinente; 2) a tutte le opere di un autore, indipendentemente dalla coincidenza fisico-editoriale dell'opera con il documento: l'unità bibliografica va intesa come qualsiasi opera che abbia un titolo distintivo, a livello di volume monografico, di serie in più volumi - sia completa e definita che aperta e indefinita - di parti componenti di un volume, di una serie, etc.
E' evidente che, ai fini dell'indicizzazzione delle opere e della attribuizione ad ogni autore di tutte le manifestazioni in cui le sue opere si sono materializzate, non è efficace l'unicità della registrazione principale, ma è necessario l'uso di registrazioni multiple.
La soluzione a questo problema sembra essere stata fornita dalla concezione della title unit entry, che comporta l'abolizione della scheda principale e l'attribuzione di accessi multipli all'unità di registrazione di base che descrive il documento. Ma, così come ha sostenuto Lubetzky (6), l'adozione di alcuni cambiamenti indotti dalle ISBD e dalle potenzialità tecnologiche, in primis la title unit entry, hanno causato una grave erosione dell'ideale del catalogo perseguito da Panizzi e Cutter. Infatti, l'abbandono dell'intestazione principale in favore degli accessi multipli e automatici alla descrizione di base non solo è incapace di discriminare e indicizzare l'opera contenuta nel documento, ma non aiuta neanche ad adempiere alla funzione 2.2 dei PP (il catalogo deve mostrare le varie edizioni di una stessa opera), in quanto il riferimento di varie intestazioni ad una stessa unità descrittiva non consente alle intestazioni di giustificare la natura delle loro relazioni nei confronti della descrizione, e determina delle relazioni vaghe, non giustificate e non organizzate.
Al fine di identificare le opere e di correlarle sulla base delle caretteristiche differenziali che esse mostrano nella varie forme di manifestazione, non è sufficiente né la tradizionale scheda principale, né la title unit entry con accessi multipli: ciò che è necessario è definire in modo chiaro ed esplicito, ed esibire, sia i caratteri distintivi dell'opera, sia le categorie di differenziazione delle varie forme di realizzazione delle opere.
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Nella prassi catalografica la identificazione delle opere è stata effettuata in modo molto casuale e parziale, a causa dell'occultamento di tutte le opere che non hanno la stessa estensione del documento ma sono contenute all'interno sia di documenti in un solo volume, che di documenti in più volumi o poligrafici; ugualmente generica e poco discriminativa è stata la modalità di correlazione proposta dagli attuali codici, e istituita nell'ambito di: a) edizioni complessive delle opere; b) selezioni; c) edizioni originali di opere singole; d) traduzioni; e) opere correlate, cioé quelle che in qualche modo condividono un identico nucleo del loro contenuto in quanto discendono dalla stessa fonte intellettuale: indici, glossari, supplementi, appendici, libretti. Va rilevato che il soggetto delle correlazioni è l'entità fisico-documentaria piuttosto che quella letteraria e intellettuale; ma soprattutto va rilevato che, in aggiunta a queste gravi limitazioni, in questa classificazione non trova spazio la categoria di versione, ovvero di edizione testuale, che è la principale caratteristica discriminativa della concreta fenomenologia delle opere, che consente di ricostruire tutti i membri della famiglia bibliografica generata da un capostipite, l'opera, e che destruttura tutte le categorie precedenti in quanto le attraversa tutte: così, per es., una traduzione in lingua italiana di una determinata edizione testuale di un'opera andrebbe sotto-ordinata come d) fra le traduzioni di una particolare edizione testuale, all'interno di una sezione opportunamente differenziata di c): testi delle opere.
La debolezza teoretica dei principi di organizzazione catalografica e la conseguente inefficacia informativa hanno suscitato da diversi anni un vivace interessamento alla problematica del controllo completo e sistematico delle relazioni, approdato, con le analisi e le proposte della Tillet (7) ad una proficua categorizzazione dei fondamentali tipi di relazione, (equivalenza, derivazione, sequenzialità, partizione), che tuttavia non riesce a organizzare le relazioni in modo coerente e a definirne i costituenti in modo omogeneo; infatti: a) in alcuni casi non viene diversificata la natura delle entità soggette alle relazioni bibliografiche: per es., nelle relazioni di equivalenza andrebbe distinta l'identità sostanziale e formale a livello di pubblicazione (come nel caso di esemplari della stessa tiratura di una edizione o delle riproduzioni facsimilari) dalla equivalenza a livello testuale (sia nel caso della riedizione della stessa composizione tipografica del testo pubblicata con frontespizi diversi e contributi complementari; sia nel caso di edizioni diverse dello stesso testo); b) in altri casi, non è evidenziata la specificità testuale e la distanza intellettuale delle varie opere correlate al nucleo originario: per es.le relazioni derivative sono riferite sia alle edizioni critiche e alle revisioni testuali dell'opera, sia alle edizioni che conservano solo un vago e sfumato richiamo al contenuto dell'opera originaria e al suo autore.
In altri casi la riflessione è stata sollecitata dalla considerazione della necessità di controllare il reticolo bibliografico di alcune situazioni bibliografiche particolarmente complesse ; è il caso:
1) delle opere musicali, di cui è stata evidenziata la grande incidenza di manifestazioni multiple (8) e, in relazione alla peculiarità della tradizione dell'editoria musicale, l'inefficacia della prassi di trascrizione del titolo del documento ai fini dell'identificazione dell'opera in esso contenuta;
2) dei periodici, la cui vita - spesso contraddistinta da interruzioni, cambiamenti di titolo, fusioni - è stata paragonata allo sviluppo genealogico dell'uomo (9), e ha sollecitato la messa a punto di espedienti catalografici volti a mostrare le relazioni, di natura sequenziale, fra i vari membri della famiglia di uno stesso periodico. Tali relazioni, registrate descrittivamente nelle schede manuali, sono già opportunamente codificate nei formati di macchina, che consentono di mostrare i mutamenti successivi tra i titoli dei periodici in senso bidirezionale; tuttavia, al fine migliorare la qualità dell'offerta informativa, si è ritenuto più opportuno esibire le relazioni contemporaneamente, e non in successione, sotto forma di una matrice di registrazioni correlate, sì da mostrare all'utente l'intero contesto della famiglia bibliografica del periodico. Tale matrice dovrebbe indicare sinteticamente tutta la complessità del reticolo delle relazioni instauratesi nel corso della vita di un periodico tra tutte le sue varie manifestazioni bibliografiche, lasciando ad un legame ipertestuale la possibilità di indagare più a fondo il livello del nodo relazionale specifico (10). Questo tipo di visualizzazione sarebbe analogo a quello proposto nel catalogo alfabetico per soggetti attraverso la tecnica di compressione degli indici (11), che dà luogo a meta-indici che delineano la mappa classificata delle categorie concettuali secondo cui si articola un soggetto.
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L'efficacia del recupero derivante dalla adozione di una matrice relazionale induce a riflettere sulla opportunità di estendere tale meccanismo a tutte le opere in manifestazioni multiple; tale situazione bibliografica - che non è una particolarità dei periodici o delle opere musicali, ma esprime il più generale rapporto ontologico tra le entità bibliografiche - è stata documentata in termini quantitativi da una ricerca statistica (12) da cui risulta che da un quinto ad un terzo della collezione esaminata consiste di manifestazioni multiple di un'opera. Ma è soprattutto la prorompente crescita degli OPAC che ha evidenziato la presenza di diverse decine, se non centinaia, di registrazioni catalografiche riferentesi a manifestazioni della stessa opera. Ed è proprio dai progettisti delle basi-dati relazionali che proviene la proposta di offrire automaticamente, come risposta ad una ricerca catalografica puntuale, la serie completa delle manifestazioni correlate presenti nel sistema. E' il caso dell' OPAC sperimentale della biblioteca dell'Università di Bradford (13) che presenta il reticolo delle manifestazioni relative ad un'opera, e consente di effettuare la selezione (sulla base del titolo, dell'editore, dell'edizione, della data di pubblicazione, della lingua, del formato) nell'ambito del set di registrazioni che si riferiscono alla stessa opera, sulla base di una strutturazione dei dati costruita più sulla prospettazione sistematica di informazioni pertinenti che sulle caratteristiche descrittive delle registrazioni, quindi più vicina al modello naturale di ricerca utenziale. E' ovvio che per produrre automaticamente il gruppo delle registrazioni correlate a un'opera - il manifestation set - a ogni registrazione deve essere stato attribuito uno stesso autore e un titolo uniforme, indipendentemente dalla funzione di intestazione principale o secondaria che quell'indice ha nei confronti della singola descrizione bibliografica; inoltre, i contributi secondari rispetto ad una particolare opera (curatori, illustratori, traduttori, etc.) vanno correlati non solo alla particolare manifestazione, ma a tutto il manifestation set, al cui interno possono costituire un utilissimo elemento di organizzazione, quello che consente di selezionare le manifestazioni della stessa opera sulla base dei diversi interventi testuali sulla versione di base ( secondo quei criteri organizzativi aggiuntivi rispetto al solo titolo uniforme che rendono particolarmente efficace la consultazione dei repertori a stampa di alcune grandi biblioteche, per es. il Catalogue général della Biblioteca nazionale di Parigi ) .
Dalle considerazioni precedenti deriva la necessità di applicare la matrice delle relazioni alla indicizzazione di tutte le tipologie di documenti imparentati, al fine di ricostruire la famiglia delle relazioni bibliografiche tra le opere e tutte le sue varie forme di manifestazione; ciò consentirebbe alla descrizione bibliografica di assolvere al ruolo assegnatogli da Lubetzky di presentare una descrizione integrata e intelleggibile del libro e indicare le sue relazioni alle altre edizioni e emissioni del libro, caratterizzando le registrazioni al fine di dare all'utente una precisa indicazione di come ogni manifestazione di un'opera si differenzi da - e si correli a - tutte le altre manifestazioni della stessa opera.
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Al modello logico- concettuale di analisi delle realtà bibliografica corrisponde, a livello procedurale, la necessità di registrazioni catalografiche multiple che rispecchino la natura e i modi di intersezione delle forme intellettuali e materiali di condensazione e comunicazione documentaria dell'informazione. Di queste registrazioni, una deve descrivere il primo anello della catena bibliografica, l'astratto denominatore comune di tutta la serie delle espressioni testuali e materiali attribuite all'opera dalla tradizione culturale, e ha il carattere di un meta-indice. Un'altra registrazione deve descrivere l'ultimo - ma fenomenologicamente il primo - anello della catena, il documento fisico, la cui eccentrica individualità e concretezza richiedono una attenta considerazione e formalizzazione dei suoi precipui caratteri identificativi: al fine della più corretta connotazione di questa entità penso sia opportuno ricorrere alla metodologia della bibliografia descrittiva. Infine, un'altra registrazione si riferisce a quella che costituisce la più specifica e originale entità, l'entità informativa, che è l'unica a possedere una natura pienamente indicale, in quanto non rappresenta un oggetto, omogeneamente astratto o concreto, ma esprime la peculiarità del rapporto tra l'aspetto materiale e quello intellettuale dell'oggetto bibliografico, secondo le forme condivise dagli agenti della produzione, diffusione e fruizione della conoscenza e dell'informazione. La determinazione dei requisiti funzionali alla descrizione di questa entità relazionale deve partire dalla consapevolezza che l'attività descrittiva è una una caratterizzazione dei documenti in relazione alle opere contenute, una presentazione standardizzata di fatti bibliografici e non una trascrizione di forme editoriali. Come Lubetzky (14) ha più volte sostenuto, non va dimenticato che la teoria della descrizione bibliografica si è affermata come progressivo abbandono della tecnica di trascrizione del frontespizio, in favore della individuazione e citazione di quegli elementi significativi per la caratterizzazione del messaggio informativo veicolato dal documento. Alla luce di queste considerazioni, le attuali norme descrittive devono ridefinire il loro oggetto ed eliminare di conseguenza sia l'assunzione del documento come referente immediato della descrizione; sia l'ambiguità e l'indecisione tra atteggiamento informativo e atteggiamento descrittivo (da cui scaturiscono l'inefficacia informativa - quando prevalgono considerazioni di tipo formale rispetto a quelle sostanziali (15) - ; e la bassa capacità diagnostico-ricostruttiva delle descrizioni nei confronti dei frontespizi) . Inoltre, al fine di caratterizzare i documenti in relazione alle opere contenute, credo sia necessario:
- riferire e collegare sempre il titolo del documento al titolo e agli autori delle opere in esso contenute, inserendo le varianti documentarie delle forme degli autori e dei titoli nella struttura dell'"authority file" dell'opera, ed eliminando il puntuale riferimento di quei dati ai singoli documenti;
- distinguere l'edizione testuale (versione dell'opera), dall'edizione materiale; a proposito di quest'ultima, l'indicazione di edizione fornita dall'editore - e la relativa data di pubblicazione - sono quasi sempre dati non informativi sulla sostanziale situazione bibliografica del documento e non possono essere assunti come elementi di una reale classificazione;
- definire i criteri della descrizione fisica e della formula di collazione in funzione della caratterizzazione dell'opera descritta;
- desistere definitivamente dallo sforzo di conservare l'integrità del frontespizio. E' ancora Lubetzky a sottolineare che " Tale sforzo può essere giustificato nella catalogazione dei primi libri a stampa, in cui una differenza nel frontespizio riflette una differenza di edizione, o nella catalogazione dei libri rari, in cui il frontespizio ha un interesse di per sé. Ma non serve ad alcuno scopo nella catalogazione dei libri moderni, che sono pubblicati e ripubblicati con differenti frontespizi, da diversi editori e in diversi tempi e luoghi, sulla base della stessa matrice originale; [...] nella catalogazione del libro moderno l'obiettivo del catalogatore dovrebbe essere non di evidenziare le differenze dei frontespizi, ma di identificare i libri dietro di quelli, così che quando un lettore ha l'indicazione di un determinato documento che risulta non disponibile, potrebbe essere soddisfatto da un altro documento nella stessa edizione" (16).
Ma soprattutto è necessario abbandonare sia la concezione di un'unica registrazione come unità di base del catalogo e perno di qualsiasi associazione o operazione, sia la trasposizione di questa concezione nella struttura degli attuali formati informatici di registrazione e comunicazione dei dati bibliografici. Tale struttura, monadica e granulare, occulta l'esistenza delle realtà bibliografiche più profonde, e ostacola la definizione di una matrice relazionale che consenta la realizzazione del catalogo come struttura sindetica, in quanto la fissità referenziale della descrizione documentaria contrasta con la flessibilità e poliedricità dell'oggetto descrittivo assunto di volta in volta per evidenziare la gamma delle relazioni, dalle più significative e dirette sino alle più vaghe somiglianze di famiglia, tra le varie espressioni e manifestazioni di un'opera .
E' evidente che il nuovo modello di analisi evidenzia una molteplicità di entità diverse e disomogene, appartenenti, a livelli concettuali diversi; di conseguenza, altrettanto diversi e disomogenei sono gli oggetti della catalogazione descrittiva, cui dovranno corrispondere differenti formati e procedure di indicizzazione.
I codici catalografici sin qui emanati non sono ancora approdati alla concezione di questo modello, e hanno incentrato la logica e la normativa catalografica sulla estrapolazione e sull'evidenziamento dei connotati relativi alla manifestazione fisica, eccetto i casi in cui era imprescindibile dare una sistemazione ordinata e differenziale a distinte presenze di manifestazioni fisiche; di conseguenza l'attuale catalogo delinea un quadro parziale e casuale delle presenze letterarie e testuali, e offre solo una piatta segnalazione di documenti, deprivati del significato che essi assumono in riferimento alla variegata e affascinante storia della trasmissione testuale delle opere (17).
La categorizzazione di FRBR segna finalmente un traguardo verso il riconoscimento delle molteplici essenze bibliografiche, e verso l'adozione di adeguate procedure catalografiche che consentano la strutturazione del catalogo alfabetico per autori intorno al fattore letterario delle opere, dei testi e dei documenti che li rappresentano. E' solo sulla base di questa rinnovata e consapevole concezione dell'indicizzazione e del controllo bibliografico che il catalogo può essere annoverato tra gli strumenti di rispecchiamento e attingimento della complessità e ricchezza informativa dell'universo bibliografico.
Riferimenti bibliografici
1) Alfredo SERRAI, Storia della bibliografia.VII, Storia e critica della catalogazione bibliografica. Roma, Bulzoni, 1997; p.30-31
2) Patrick WILSON, Two kinds of power: An essay on bibliographical control. Berkeley, University of California Press, 1968
3) Nelson GOODMAN, Languages of arts: an approach to a theory of simbols. Indianapolis, Bobbs-Merrill, 1968, cit. in: Teresa. GRIMALDI, Catalogazione e ricerca dell'informazione, III, "Il Bibliotecario", 10 (1993), p.123-137; p.137
4) Alfredo SERRAI, Storia e critica della catalogazione bibliografica, cit.; Introduzione
5) Anglo-American cataloguing rules, second edition,1998 revision. Prepared under the direction of the Joint Steering Committee for Revision of AACR. Ottawa-London-Chicago, Canadian Library Association, Library Association Publishing, American Library Association, 1998
6)) Seymour LUBETZKY, The traditional ideals of cataloging and the new revision, in: The nature and future of the catalog...Edited by M. J. Freedman and S. M. Malinconico. Phoenix, Oryx Press, 1979, p.153-61; p.159
7) Barbara TILLET, A summary of the treatment of bibliographic relationshis in cataloging rules, "Library Resources & Technical Services", 35 (1991), p. 393-405; A taxonomy of bibliographic relationships, "Library Resources & Technical Services", 35 (1991), p. 150-158
8) Richard P. SMIRAGLIA, Music cataloging: the biblographic control of printed and recorded music in libraries. Englewood,Colo., Libraries Unlimited, 1989
9) Kathryn L. HENDERSON, Personalities of their own: some informal thoughts on serials and teaching about how to catalog them, "Serial Librarian, 22 (1992), p. 3-16
10) Gregory H. LEAZER, Recent research on the sequential bibliographic relationship and its implications for standards and library catalog: an examination of serials, "Cataloging & Classification Quarterly", 21 (1996) p. 205-220; Michael GORMAN and Robert BURGER, Serial control in a developed machine system, "Serial Librarian", 5 (1980), p. 13-26
11) Marcia BATES, Rethinking subject cataloging in the online environment, "Library Resources & Technical Services", 33 (1989), p. 400-412
12) Claudia H. MCNELLIS, Describing reproductions: multiple physical manifestations in the bibliographical universe, "Cataloging & Classification Quarterly", 5 (1985) p.35-48
13) F.H. AYRES, L.P.S. NIELSEN, M.J. RIDLEY, Bibliographic management: a new approach using the manifestations concept and the Bradford OPAC, "Cataloging & Classification Quarterly", 22 (1996) p. 3-28
14) Seymour LUBETZKY, The traditional ideals of cataloging, cit.
15)Teresa GRIMALDI, Le insufficienze catalografiche del sistema descrittivo ISBD, "Accademie e biblioteche d'italia", 51 (1983), p. 326-330
16) Seymour LUBETZKY, Analysis of current descriptive cataloging practice, in : Studies of descriptive cataloging...Washington, United States Govern. Print. Office, 1946; p.40- 45 (ripubbl. in: Il futuro della descrizione bibliografica: atti della giornata di studio, Firenze 13 novembre 1987. A cura di Mauro Guerrini. Roma, Associazione Italiana Biblioteche, 1988, p. 149-54; p.153-54)
17) Alfredo SERRAI, Storia e critica della catalogazione bibliografica, cit.; Introduzione
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