AIB.
Sezione
Toscana. Bibelot, n. 1 (2006)
di Elisabetta Di Benedetto
I nomi sono grossi e i fatti anche: è l’inizio dell’anno quando Yahoo!, Microsoft, Cisco e Google sono travolte dallo scandalo per aver collaborato con il Governo cinese nell’oscuramento di siti ritenuti “troppo democratici”, nel filtraggio di informazioni “scomode” (ad es. quelle sui fatti di Piazza Tienanmen) e - ultima della serie, ma non per gravità - nell’arresto di almeno due dissidenti (condannati a 10 e 8 anni di carcere). A distanza di 3 mesi la situazione non è migliorata, nonostante il mea culpa di Yahoo! che si difende affermando di essersi solo rimesso alle leggi vigenti in quello Stato, e le deboli giustificazioni di Google (“meglio poche informazioni che niente”), e nonostante la condanna del Congresso degli Stati Uniti per l’operato di questi giganti dell’informazione in rete: è del 21 aprile la notizia che anche Skype si è piegato alle rigide leggi cinesi sulla censura, accettando di filtrare i messaggi vocali14. D’altra parte, perfino un mostro sacro, simbolo per eccellenza della liberalità e democrazia della Rete quale Wikipedia, che proprio all’inizio dell’anno aveva a sua volta denunciato le censure subite dalla versione cinese del suo sito15, non si è salvato dalle accuse di censura ai danni di “collaboratori” che si sarebbero visti rifiutare i propri interventi16 e che si sono riuniti polemicamente nel gruppo Wikitruth17 .
Mentre i casi precedenti sono di facile interpretazione e non fanno altro che raccontarci la vecchia storia degli interessi economici che hanno la meglio su quelli più disinteressati dell’informazione, è difficile entrare nel merito di quest’ultima aspra polemica. Si è ormai capito che salvaguardare il valore di profonda democraticità di Internet significa anche e soprattutto permettere a ciascuno di acquisire gli strumenti per scegliere. In questo principio non c’è granché di nuovo: occorre che tutti conoscano i metodi di ricerca e la natura e la qualità delle fonti su cui si ricerca, ma occorre anche che chi fornisce le informazioni e chi le cerca sia tutelato. Insomma, per dirla con Stefano Rodotà che di privacy se ne intende, forse è davvero l’ora di elaborare una Costituzione per Internet18 , una Carta dei diritti19 , che rappresenti una mediazione accettabile tra una privacy “sopportabile” e un sistema di comunicazione democratico, collocandosi ad un livello sovranazionale quale è quello della Rete delle reti. Un livello che non permetta a nessuno Stato di far prevalere le proprie leggi illiberali e a nessuna potenza economica di usarle come alibi per il proprio tornaconto.
*Versione integrale dell’articolo che potete leggere anche nella versione cartacea, ma per motivi di spazio senza i link alle risorse citate.
14Per una rassegna sul tema, si esegua una ricerca con il termine “google” nel sito di AsiaNews
15www.repubblica.it/2006/a/sezioni/scienza_e_tecnologia/wikip/wikip/wikip.html
www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/2005/10_Ottobre/22/wikipedia.html
16www.ilmanifesto.it/ricerca/ric_view.php3?page=/Quotidiano-archivio/20-Aprile-2006/art70.html&word=wikipedia
18www.repubblica.it/2005/g/sezioni/scienza_e_tecnologia/rodotarete/rodotarete/rodotarete.html
www.liblab.it/portale/internet/una_costituzione_per_internet_di_stefano_rodota
19Su questo si veda la relazione presentata da Rodotà al Summit Mondiale sulla Società dell'Informazione tenutosi a Tunisi lo scorso novembre.
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2006-05-21, ultimo aggiornamento 2006-06-19 a cura di Vanni Bertini e Paolo Baldi
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