AIB. Sezione Toscana. Bibelot, n. 2 (2005)
di Paolo Baldi
Il movimento del Software Libero considera il software alla stregua di tutti gli altri prodotti della creatività umana, che deve quindi essere liberamente accessibile, utilizzabile, adattabile alle proprie esigenze per poter recare vantaggio alla comunità.
Questa prospettiva, carica di significati etici e politici, è piuttosto estranea all'impostazione culturale di gran parte dei bibliotecari, che si sono accostati all'informatica essenzialmente come strumento, prima dell'automazione, poi della biblioteca ibrida, raramente come oggetto della propia mission e cultura professionale, incentrata piuttosto sui documenti e sull'utente. Con la crescente importanza del docuverso elettronico l'informatica assurge a nuovo alfabeto, e il problema della codifica e della gestione dei documenti formati da byte non può più essere costretta nella dimensione strettamente strumentale, ma rende attuale la fondazione di una "diplomatica" e di una "paleografia" informatica nel nostro curriculum culturale. Ed è in questa prospettiva che il software libero ha molto da dirci.
Il movimento del Software Libero sostiene che l'accesso al software sia tutelato da quattro libertà fondamentali:
I bibliotecari, che svolgono una professione fortemente concreta e applicativa, non possono fermarsi alle pure istanze etiche. Il movimento dell'Open Source, la principale articolazione del movimento del Software Libero, prescinde volutamente dalle connotazioni fortemente politiche di quest'ultimo e punta a rendere pubblicamente disponibile e modificabile il "codice sorgente" (source code) del software, cioè i file scritti "di proprio pugno" dagli autori di un programma.
Da tali file scaturiscono i software applicativi proprio come (il paragone è ardito ma esplicativo) dal file di testo scritto dall'autore deriva l'articolo che leggeremo su una rivista.
Dare libertà di accesso e di modifica al codice sorgente di un programma e alla relativa documentazione, nonché permettere la libera (ma non necessariamente gratuita) ridistribuzione delle modifiche apportate da altri significa rendere trasparente il funzionamento dei programmi e quindi rendere trasparenti e liberi gli alfabeti del docuverso digitale.
Codificare e gestire con software open source i documenti digitali dalla loro creazione attraverso tutte le fasi della loro esistenza, con particolare riferimento a quelle spettanti alle biblioteche (catalogazione, conservazione, accesso), significa contribuire a mantenerli pubblicamente disponibili ora e nel tempo, poterli adattare a nuove piattaforme hardware e renderli compatibili con nuovi ambienti software, vuol dire attrezzarsi per permettere ai dati digitali di ogni tipo di affrontare e vincere le sfide del futuro, e quindi alle biblioteche di continuare a svolgere i propri compiti istituzionali garantendo l'accesso all'informazione e liberando quest'ultima dai vincoli tecnologici e legali che derivano dall'utilizzo di software e formati proprietari. In conclusione possiamo affermare che non c'e accesso aperto (open access, nel senso della Dichiarazione di Berlino senza codice aperto (open source); che la cultura informatica del software libero deve entrare a far parte del bagaglio del bibliotecario; che è necessario attivare una strategia esplicitamente a favore dell'open source nelle scelte informatiche delle biblioteche, in particolare quando parliamo di biblioteca digitale.
(Questo articolo è stato scritto col software libero OpenOffice.org 1.1.2. Tutti i link citati sono stati visitati l'ultima volta il 12/8/2005).
Copyright AIB 2005-09-24, ultimo aggiornamento 2005-09-25 a cura di Vanni Bertini e Nicola Benvenuti
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/toscana/bibelot/0502/b0502b.htm