[AIB] AIB. Sezione Toscana. Bibelot, n. 2 (2000)

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Biblioteche scolastiche: ripensare la mission

di Paolo Panizza

Sembra essere diventato d'obbligo, quando si parla di biblioteche scolastiche in Italia, richiamarsi alle Linee guida dell'IFLA, soprattutto per quello che riguarda le loro finalità fondamentali: esse vengono citate in interventi, progetti, libri nonché nel Programma per la promozione e lo sviluppo delle biblioteche scolastiche lanciato l'anno scorso dal Ministero PI e perfino nella circolare applicativa dello stesso.
Sorge però il sospetto che tanta esibita insistenza sia più un gratuito tributo al marchio di qualità che un'adesione convinta a un indirizzo scientifico e professionale. Non saprei, infatti, spiegare altrimenti la paradossale quanto disinvolta incoerenza che si riscontra in diversi casi tra le esposizioni di principio e le concrete applicazioni proposte o praticate.
Il caso più clamoroso - già segnalato su queste pagine - è quello della posizione del suddetto programma ministeriale rispetto al personale addetto alle biblioteche scolastiche: a fronte delle ambiziose finalità dell'iniziativa, la definizione di una specifica figura professionale viene infatti demandata alle competenze dell'autonomia in un imprecisato futuro, pur avendo organizzato corsi di formazione alla cieca. L'unica cosa certa è che il personale dovrà reclutarsi all'interno del corpo insegnante. È una scelta che ha le sue giustificazioni sul piano economico-gestionale e che è stata adottata in altri paesi, ma la cui necessità non scaturisce certo - come si pretenderebbe - dall'autorità dell'IFLA e su cui mi pare che si sia discusso troppo poco e grossolanamente.
Ma tra l'accettazione indiscussa dei principi internazionali e le proposte pratiche si incontrano contraddizioni anche al livello delle singole realtà. Rilevarlo sarebbe pura accademia se la conseguenza non fosse la condanna a una persistente marginalizzazione della biblioteca rispetto alla scuola. Valga ad esempio il progetto di una scuola toscana (finanziato dal programma ministeriale) che elenca tra i suoi obiettivi la sconcertante intenzione di realizzare un centro che sia "non più semplice biblioteca scolastica e parascolastica, ma biblioteca tout court" (dove "scolastica" sembra da intendersi come qualità degradante rispetto a un'ideale "biblioteca in sé ").
Ci sono voluti molti anni per affermare in Italia la specifica ragione di esistere della biblioteca scolastica, in particolare riguardo ai suoi compiti educativi. Non si era però preso in considerazione che essa potesse divenire un pretesto per costruire un surrogato dell'attività didattica tradizionale, relegando il compito di fornire documentazione a neutra e anodina formalità tecnica, sbrigabile in economia e non bisognosa di rilevanti scelte professionali.
Probabilmente, proprio la provenienza della maggior parte degli addetti alle biblioteche scolastiche dal ruolo docente ha creato la tendenza a interpretare la nuova attività come una naturale continuazione del lavoro in classe, un prolungamento con altri mezzi e in altro ambiente di un inalterato rapporto educativo. Ne è conseguita una sopravvalutazione della componente didattico-pedagogica tra le competenze necessarie alla nuova professione, rispetto a quelle biblioteconomica e amministrativa.
Se poi si aggiunge che gran parte delle attività realmente praticate nelle biblioteche scolastiche di cui si ha notizia non sono incentrate sull'educazione all'uso competente dell'informazione - elemento strategico che i citatissimi indirizzi IFLA indicano come determinante per influire sul progetto didattico - bensì su una questione molto più elementare come la promozione della lettura, ecco che buona parte dello sforzo si vanifica. Fondare una biblioteca scolastica le cui risorse siano principalmente indirizzate alla diffusione tra gli studenti dell'abitudine alla lettura non è un primo passo verso obiettivi più complessi, è semplicemente un passo falso. È come aprire un ristorante solo per cucinare uova al tegamino, che possono anche essere gustose e nutrienti, ma certo lo sforzo è sproporzionato. Se l'offerta che la biblioteca scolastica propone come centrale è così marginalmente opzionale rispetto al progetto didattico della scuola, si capisce che molte scuole non trovino la motivazione per mettere a disposizione personale, spazi e soldi. Si capisce anche che si crei una confusione di compiti con la biblioteca pubblica, che non a caso in molte realtà si propone come operatrice sussidiaria per la scuola.
Se non si supera questa impostazione, non ci saranno programmi né miliardi ministeriali che potranno far decollare le biblioteche scolastiche. La credibilità all'interno della scuola sta nel saper proporre servizi in grado di consentire ai docenti che ne esprimono il bisogno l'adozione di comportamenti didattici al pari coi tempi, dare la possibilità di insegnare e studiare integrando le più diverse risorse documentarie, non con la sola lezione frontale o col solo libro di testo. Selezionare, acquisire, trattare, diffondere le informazioni funzionali al progetto didattico in cui si è inseriti vuol dire creare i presupposti della collaborazione, rifiutando un ruolo silenziosamente ghettizzante dell'esperto a latere dei libri e della lettura. Spetta invece al ministero il compito di indirizzare più selettivamente il sostegno a quelle realtà che garantiscano una adesione reale ai principi IFLA, valutando preventivamente con la dovuta competenza, e non solo monitorizzando a posteriori, i progetti di cui si richiede il finanziamento. Spetta infine all'AIB spendere nel confronto politico con le istituzioni scolastiche le proprie acquisizioni scientifiche e professionali consolidate in anni di lavoro, anziché avventurarsi in operazioni di vetrina tra la medicalizzazione della lettura e le opere di carità alle biblioteche povere.


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Copyright AIB 2000-09-24, ultimo aggiornamento 2000-09-24 a cura di Vanni Bertini
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