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II GIORNATA DELLE BIBLIOTECHE SICILIANE


LA COOPERAZIONE OLTRE IL CATALOGO.

PROGRAMMARE, ORGANIZZARE, MISURARE LE RETI DI BIBLIOTECHE

Palermo, 28 maggio 2004 - ore 9.00


La cooperazione bibliotecaria di qualità

Giorgio Lotto

(Coordinatore del Gruppo di lavoro dell'AIB sulla valutazione della cooperazione nelle reti bibliotecarie territoriali)


Anna Galluzzi, nella nota finale del recente Biblioteche e cooperazione [1] confessa che nella stesura del testo aveva sempre il timore che il tema le esplodesse o le implodesse tra le mani. Questo in quanto parlare di cooperazione corrisponde oggi a prendere in considerazione ogni tematica professionale del nostro settore, parlare di cooperazione significa parlare di biblioteche.
Tentare di fare sintesi di una materia così ampia, che in Italia rappresenta almeno 30 anni di impegno, di fronte a degli addetti ai lavori non sembra cosa così facile.
La mia esperienza mi porta a valutare prioritariamente l'ambito delle pubbliche, tuttavia una caratteristica della cooperazione oggi sembra essere il superamento tipologico tra le biblioteche, ma anche l'ampliamento del dialogo a istituti diversi, come anche, almeno in parte, il superamento della dimensione territoriale.
Data la vastità della materia, per non restare travolti dalla stessa, è il caso di affrontarla con onestà.
Dovremmo così cominciare a dirci per esempio (i numeri lo dimostrano) che le biblioteche e i bibliotecari fanno finta di credere alla cooperazione, in realtà la paura di perdere l'autonomia, la difficoltà di lavorare per gli altri, l'idea che in fondo in fondo il gioco non valga la candela, il fatto di investire soldi su altro quando non se ne ha neppure per la propria struttura, il permettere ad altre biblioteche di saccheggiare le novità librarie senza poter contare sulla reciprocità perché le altre biblioteche sono ancor più povere di noi, tutto questo e altro fanno sì che spesso questa strada venga imboccata solo se qualcuno provvede a spianarla bene bene, a renderla liscia, levigata, cosa che succede raramente e comunque la scelta non dovrebbe impegnarci troppo. Ecco, magari puntiamo ad un catalogo collettivo, ma niente di più, come suggerisce il titolo di questa giornata. Sia chiaro, niente di personale, solo quello che si legge in filigrana nello sviluppo della cooperazione in gran parte d'Italia, a cominciare da SBN, di fatto mai veramente uscito dal piano catalografico malgrado gli sforzi recenti, e che, comunque, rimane il vero progetto di cooperazione italiano. Mancanze di amministratori, certo, ma anche colpe di tecnici.
Lettura ancora povera, peraltro, fatta di analisi a campione perché se non abbiamo ancora dati sicuri sulle biblioteche italiane, ne abbiamo ancor meno sulla cooperazione in atto (cfr. l'impegno del Gruppo AIB sulla valutazione della cooperazione nelle reti bibliotecarie territoriali).
Evitato il rischio di ipocrisie, per fissare qualche idea sulla cooperazione nel poco tempo disponibile proviamo ad andare per flash. E, per addolcire l'ambiente, buttiamo lì qualche frase del tipo di quelle che mettevano nei cioccolatini qualche tempo fa. Stavolta riferite alla cooperazione tra le biblioteche.

Se tutto ciò è vero, dovremmo concludere che la cooperazione rappresenta una cultura del fare biblioteca. E se è vero anche quello che si ripete costantemente che la vision delle biblioteche, della biblioteca digitale, ma anche di quella ibrida e di quella tradizionale ha in sé necessariamente la cooperazione, allora è una cultura che dovremo affrettarci ad acquisire. Per esperienza ritengo che il sistema migliore per acquisire tale modo d'essere bibliotecari è quello di praticare la cooperazione. Cosa non facile per chi opera nella gran parte delle biblioteche italiane dove, se c'è, non raramente rimane sulla carta o ad uno sviluppo embrionale per mancanza di mezzi e di investimenti ad hoc. Si tratta di uno stallo superabile solo non "mollando la presa", continuando a tornare in argomento, ma soprattutto cercando tutte le occasioni per dare il via a dialoghi di servizio tra le biblioteche, anche sul piano puramente tecnico. Consci che l'isolamento, oltretutto, è una delle maggiori cause di depressione professionale e del servizio.

Non è detto, peraltro, che i trasferimenti pubblici siano l'unico modo per avviare un'attività di cooperazione. La soluzione che abbiamo intrapreso dalle mie parti, per esempio, fa riferimento ai trasferimenti pubblici solo per una parte residuale. E' iniziata come imprenditorialità di un singolo ente ed ora sta andando verso una partecipazione maggiore di altre realtà. Con l'effetto, oltretutto, che una volta avviata la cooperazione, se l'esito sul servizio è significativo, se si riesce a garantire integrazione sul piano anche dell'immagine, si potrà raggiungere quella massa critica che ci permette di diventare soggetti interessanti per operazioni anche di mercato. Uno sviluppo in questi termini potrà aver luogo se vi è chiarezza negli obiettivi, partecipazione convinta agli stessi da parte dei soggetti interessati e un corretto posizionamento strategico del servizio. Modelli gestionali e formule giuridiche per la cooperazione saranno sì importanti, ma verranno di conseguenza.
Tra questi obiettivi, in una cooperazione non solo abbozzata, l'attenzione dovrà necessariamente indirizzarsi sulla gestione delle raccolte, sull'ILL ancora fermo all'1-2%, sembra, dell'intera attività di prestito, sui prodotti di front-line, primo fra tutti il reference e sull'aggiornamento professionale. Le esperienze su questi versanti ormai sono numerose e diffuse anche nel nostro Paese, relativamente a tipologie diverse di reti o di biblioteche. Sono esperienze che evidenziano convergenze di metodo che devono esser lette come indirizzi precisi per lo sviluppo della cooperazione e dei servizi di cooperazione.
Alcuni immobilismi nascono, invece, a mio avviso, dal voler partire dalla formula giuridica. Prima si lavora anni per far nascere un accordo formale tra numerosi enti più o meno sensibili e poi, siccome "sotto il vestito" non vi è nulla, non vi è capacità, cultura per cooperare, il tutto naufraga miseramente. E' successo in tante parti nel nostro Paese.

La legislazione italiana è cambiata notevolmente e rapidamente negli ultimi anni relativamente alla gestione dei servizi pubblici coniugando con decisione i temi dell'autonomia, dell'imprenditorialità, dell'esternalizzazione, del dialogo pubblico-privato ed insistendo sull'aspetto della cooperazione, dell'unione, financo della fusione di enti con l'obiettivo di razionalizzare la spesa e migliorare i risultati. Questo anche relativamente ai servizi privi di rilevanza economica.
Le variazioni al T.U. 267/2000 [3] degli enti locali hanno offerto una articolata gamma di opportunità che lascia spazio alle soluzioni più diverse e più confacenti all'impostazione delle singole iniziative. Dall'accordo di programma alla convenzione (privi di personalità giuridica), dall'azienda consortile alla SpA pubblica, dalla fondazione, magari fondazione di partecipazione, all'associazione e all'unione di comuni.
Non abbiamo fatto altrettanto, invece, noi tecnici sul piano del management della cooperazione. Se, sia pure con ritardo, ci siamo peritati sui temi della qualità (e sono non poche le biblioteche italiane che hanno provveduto a certificarsi) l'abbiamo fatto per le biblioteche, non per la cooperazione dove, peraltro, manca chiarezza anche nell'individuazione del soggetto centrale del gioco, cioè del cliente/utente, provocando in questo modo significativi disguidi e rallentamenti al servizio. Abbiamo messo a punto indicatori di efficienza ed efficacia, ma nessun riferimento alla cooperazione. Abbiamo iniziato a pensarci solo da poco, con grave ritardo. Ed il dimensionamento delle reti, le variazioni che lo stesso ha subito (pensiamo al più conosciuto esempio lombardo) sono stati frutto di valutazioni fatte localmente o di volta in volta, in qualche caso anche valutazioni di carattere politico più che gestionale.
Pochissime riflessioni si sono registrate anche sul piano dei modelli organizzativi della cooperazione. Tant'è che necessitando di descrivere la situazione in atto, quasi un censimento della cooperazione nelle reti territoriali italiane, come AIB, negli ultimi due anni abbiamo dovuto iniziare a delineare schemi per servizi centralizzati, semi-centralizzati, esternalizzati, forniti, partecipati, decentrati. [4]
La scarsa maturazione ed elaborazione professionale è grave di per sé, ma lo è ancor di più in relazione alle funamboliche prospettive che il futuro sembra prepararci. Accennavo sopra all'interistituzionalità quindi al dialogo anche con musei archivi ed altri istituti culturali, all'affrancarsi dalle frontiere di dialogo quale quella tipologica tra le biblioteche, al superamento per molti versi della dimensione territoriale dei bacini bibliografici (che mantengono per altri aspetti una loro validità, a mio avviso): e questo è già il presente. SBN stesso, fin dall'inizio, si è opportunamente presentato con una simile filosofia. Ma il futuro sembra proporsi con caratteri molto più articolati: dinamiche più legate al mercato che a scelte di programmazione politica, logiche di un mondo globalizzato anche per le realtà minori, la contemporanea opportunità per la biblioteca di poter essere parte, contemporaneamente, di più dialoghi di cooperazione. Se queste prospettive proposte dallo sviluppo tecnologico e dall'evoluzione del settore non saranno affrontate con chiarezza di obiettivi e capacità gestionale la biblioteca rischia di perdere la testa e di perdere in efficacia.

Anche per questo, un recente tentativo di chiarimento a livello nazionale tra le diverse realtà pubbliche interessate all'attività bibliotecaria, al di là di quelle che saranno le logiche dei mercati, anzi, ancor più in funzione di questa incalzante dimensione, merita ogni nostra attenzione. Mi riferisco alle Linee di politica bibliotecaria per le autonomie varate qualche mese fa e promosse da regioni, province e comuni con il coinvolgimento dello Stato centrale, quindi anche del Servizio Bibliotecario Nazionale.
Nel testo in cui si parla di programmazione, di gestione e di verifica, sottoscritto da Anci, Upi, Regioni e Ministero, la cooperazione viene considerata la base per uno sviluppo dei servizi bibliotecari.
E pur di fronte a queste evoluzioni sicuramente promettenti non dobbiamo certo rimanere passivi in attesa degli sviluppi che siamo invece chiamati noi a definire, gestire ed a vivere da comprimari. Concretando i vantaggi dei livelli di cooperazione già eventualmente raggiunti sviluppando la più grande attenzione possibile al front-line ed alla customization. Eliminando, ovviamente, nel quotidiano tutte le scorie della cultura biblioteconomica isolazionista, attuando una propedeutica alla cooperazione, evitando, quindi, i personalismi, puntando nelle scelte tecniche alla standardizzazione, all'interoperabilità, cercando l'integrazione a tutti i costi su dimensionamenti capaci di porci di fronte al futuro come soggetti forti, compatti, biblioteconomicamente maturi, capaci di dialoghi senza confini a favore del nostro pubblico.
Buon lavoro!

Note
[1] Anna GALLUZZI, Biblioteche e cooperazione. Modelli, strumenti, esperienze in Italia. Milano, Editrice Bibliografica, 2004.
[2] Gabriele MAZZITELLI, Verso un sistema bibliotecario integrato: la forza della cooperazione, 2002. www.uniroma2.it/-mazzitel/urbs.htm. Ultima cons. 18.12.03.
[3] Cfr. Decreto Legislativo 18.08.2000 n. 267.
[4] Cfr. immagini allegate alle presente relazione: http://www.aib.it/aib/sezioni/sic/lotto01i.htm.


Copyright AIB 2005-01-31, ultimo aggiornamento 2006-05-22 a cura di Domenico Ciccarello
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/sic/lotto01.htm


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