[AIB] Associazione italiana biblioteche. Conferenza di Primavera 2002
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I privati nelle biblioteche: motivi e contraddizioni di un percorso

Bruno Marongiu
Cooperativa per i servizi bibliotecari di Nuoro


Affrontare il tema dell'outsourcing o meglio dell'attività dei privati nelle biblioteche richiede forse più che in altre situazioni la definizione del contesto, all'interno del quale si opera; per semplicità si richiamano tre punti:

  1. Il manifesto dell'UNESCO
  2. Il ruolo delle biblioteche
  3. La professione

1. Il Manifesto dell'UNESCO; la gratuità, l'imparzialità, l'universalità, la professionalità delle/nelle biblioteche pubbliche in esso proclamate.

2. Il ruolo delle biblioteche così come si è venuto definendo all'interno di quella che per brevità chiamiamo la "Società dell'informazione". Tale ruolo è stato in qualche modo codificato istituzionalmente dall'Unione europea a partire dal Libro bianco di Delors, dal rapporto Bangemann e da tutto quello che ne è succeduto. Le nuove tecnologie hanno trasformato l'informazione in industria strategica, in settore economico essenziale così come fino a poco tempo prima lo era l'industria siderurgica. Le biblioteche sono state inserite, di conseguenza, non solo in enormi processi economici e decisionali, ma sono divenute e possono divenire uno snodo essenziale dello sviluppo e della crescita della partecipazione dei cittadini ai processi democratici.
Nessun programma di E-governement potrà escludere le biblioteche. Certo, in un paese come il nostro, dove la cultura delle istituzioni, la cultura del diritto non hanno grandi tradizioni, l'affermarsi di alcuni processi potrebbe non essere facile.

3. La professione, una di quelle che richiede dedizione, passione e attenzione, condizioni che fanno del nostro, un mestiere (mi si passi il termine) "militante"; questa è la sensazione che io ho sempre vissuto perlomeno all'interno dell'AIB; Associazione nella quale nessuno infatti mai ha fatto distinzioni in merito agli "operatori privati".

I riferimenti "ambientali" di questo intervento, com'è comprensibile saranno ristretti a ciò che è successo e succede soprattutto in Sardegna; in questa regione il ricorso all'outsourcing è rilevante per la tipologia e la quantità dei servizi ed ha assunto con gli anni dimensioni anche economico finanziarie non trascurabili.

I numeri attuali:

L'origine di questo fenomeno, che probabilmente non ha eguali nel resto dell'Italia, è posizionabile nel primo quinquennio degli anni '80.
Il mondo delle biblioteche era protagonista, in quel momento, di una forte spinta in avanti; si progettavano i primi sistemi bibliotecari territoriali e urbani, metteva i primi passi il processo di automazione dei servizi.

Un ruolo non secondario in questi processi venne assunto dall'AIB. L'Associazione in prima persona infatti divenne ente gestore di 8 corsi di formazione professionale che qualificarono i primi assistenti e coadiutori di biblioteca.
La Sezione, molto opportunamente, si preoccupò anche che le professionalità derivanti dai corsi non andassero perdute e ne favorì l'aggregazione e la promozione.
Nacquero allora le prime cooperative e società del settore.

Si è detto "le prime" ma in realtà occorrebbe ricordare che solo pochi anni prima la famosa Legge 285 costituì per un certo verso una prima prova di "privatizzazione" degli uffici pubblici e quindi anche delle biblioteche; questo tentativo abortì grazie all'immissione in ruolo dei lavoratori interessati già precedentemente inquadrati in cooperative.

Si riporta il precedente della 285 non solo perché "psicologicamente" condizionò l'avvio di successive esperienze, ma anche perché in molti casi, proprio i suoi beneficiati dimostrarono ostilità e diffidenza verso successivi programmi di apertura a contributi esterni.

Le prime iniziative presero vita in seguito all'approvazione della Legge Regionale 24 giugno 1984, n. 28.
La Regione ponendosi l'obiettivo di favorire l'occupazione con l'inserimento in attività produttive in particolare dei giovani, delle donne e delle categorie svantaggiate, determinò la concessione di provvidenze ai Comuni, singoli o associati, alle Province e le comunità montane.

Agli enti promotori di progetti innovativi "... nei settori della tutela e valorizzazione dei beni ambientali e culturali, da affidare in convenzione a cooperative o società giovanili costituite ai sensi dell'art. 11" della stessa legge si concedevano finanziamenti fino al 90 % dei costi.

In questo contesto molti enti locali trovarono tre provvidenziali occasioni da cogliere:

Il contesto normativo

La definizione e l'analisi dei provvedimenti di legge che hanno consentito l'intervento dei privati nelle biblioteche sarde merita alcune considerazioni particolari: come si sa la Sardegna non si è dotata finora di uno strumento legislativo destinato a governare le sue biblioteche; potere esecutivo e legislativo, evidentemente, hanno finora reputate urgenti altre problematiche.
"La legge non c'è ma noi ci siamo comportati come se ci fosse" dice sempre Paola Bertolucci riferendosi all'azione dell'Ufficio Beni librari; in questa situazione, certamente non semplice, sono state fatte cose egregie, il servizio di pubblica lettura si è affermato nel territorio raggiungendo livelli perlomeno dignitosi e certamente paragonabili alle regioni italiane più evolute.

Si è operato, come dire, in regime di "serendipity"; abbiamo beneficiato cioè del felice incontro tra conoscenza, creatività e fortuna; probabilmente mentre si cercava un obiettivo se ne è raggiunto un'altro inaspettato ma migliore.

Per esempio a metà degli anni '80, ne abbiamo già accennato, si affermava e consolidava, attraverso i sistemi bibliotecari, l'esigenza della cooperazione; si sperimentavano le procedure di automazione.

In Sardegna, soprattutto attraverso progetti affidati a operatori privati, si sono positivamente avviati entrambi i processi.
Lo strumento utilizzato, la già citata Legge 28, nascondeva in se alcune contraddizioni; per quanto ben concepita, era come tutte le leggi e i programmi per l'occupazione una norma transitoria, più adatta a tamponare problematiche di ordine sociale che a risolvere problemi.

Come l'esperienza ci insegna tutti i provvedimenti emergenziali ("politiche attive del lavoro" vengono chiamate) se perpetuati nel tempo invece di risolvere problemi, spesso li accentuano. Nel nostro caso, oltre che servizi benemeriti, la 28 insinuò nel personale il senso della precarietà.
Se avessimo avuto una legge che prevedeva l'esecuzione di "lavori" nelle biblioteche invece che soldi per i disoccupati, probabilmente ci saremmo risparmiati parte del disagio che ancora in qualche modo condiziona i lavoratori del settore.

Così tanti nuovi professionisti dell'informazione, si ritrovavano invece ad essere, i "paria" delle biblioteche; preparati, motivati ma precari.
Le aziende che organizzavano questi lavoratori ne rispecchiavano in qualche modo la condizione; organizzazioni "virtuali" che dovendo operare con strumenti e strutture altrui avevano non poche difficoltà a divenire vera impresa.

Nel 1988, si insediò un nuovo titolare dell'Assessorato al lavoro che decise "tutti a casa". La L.R. 28 ha fallito; è stata una legge di stampo puramente assistenziale; vogliamo creare aziende e imprenditori forti e credibili.

Non aveva tutti i torti, tranne che per un particolare: nel frattempo tutti i sistemi bibliotecari, tutti i processi di automazione erano stati avviati grazie alla 28. Finalmente si iniziò a parlare di un qualcosa che spesso anche in queste occasioni si trascura: i servizi, i servizi ai cittadini. La Regione aveva innescato meccanismi ed ottenuto risultati senza che la componente politica se ne rendesse conto.

Si fece marcia indietro; i progetti avviati furono confermati con ripetuti provvedimenti annuali o triennali.

Solo nel 2000 però, con l'approvazione dell'art. 38 della L.R. 4 e del suo regolamento applicativo, per la prima volta una norma non viene motivata solo da ragioni di ordine sociale/occupazionale.
Si fissano i requisiti base (dei progetti e delle società e cooperative affidatarie del servizio) si chiede conto dei servizi in essere e di quelli previsti in un eleborato progettuale.

Tra le altre cose merita menzione:

La struttura delle società operanti

La L.R. 28, con le sue successive evoluzioni, è rimasta in vigore per quasi un quindicennio; questo periodo, nonostante le contraddizioni evidenziate, ha contribuito a rafforzare il numero e la struttura delle società private operanti nelle biblioteche.

Sono attive circa 25 tra cooperative e società; il 90% del loro personale ha conseguito qualifiche specifiche in seguito a corsi di formazione e/o a studi universitari; non appare quindi in discussione la professionalità e la capacità di erogare servizi innovativi.

Permangono dubbi, a mio parere, sulla possibilità che queste aziende rimangano adeguatamente sul mercato.
Se si esamina la struttura logistica si rileva che quasi tutte le imprese hanno, oramai, una sede autonoma dentro la quale si svolge una parte della vita sociale; solo in tre o quattro di esse però funziona una vera e propria "attività produttiva" (catalogazione, produzione editoriale, ecc.).

Emerge certo un deficit di imprenditorialità che tuttavia ha anche origini e cause esterne.
La situazione che ci troviamo ad esaminare ha, infatti, un contraltare normativo che in qualche modo ne è causa.

La debolezza delle imprese deriva in gran parte da meccanismi legislativi con insito un meccanismo che potremmo chiamare "disconoscimento aziendale"; mi spiego: il calcolo dei costi, viene sempre fatto normalmente sul solo costo del lavoro; si nega cioè per principio all'azienda la possibilità di avere "guadagni" e quindi di crescere, strutturarsi, programmare e proporre nuovi servizi.

Le norme attuative del citato art. 38 della L.R. 4 del 2000, in parte prendono atto di questa problematica e prevedono l'obbligo per gli Enti Locali di stanziare anche una ulteriore somma pari al 5% del costo progettuale.

Ma qui, in realtà, ci troviamo di fronte ad una guerra tra poveri (Enti locali-Privati); la norma è stata elusa semplicemente prevedendo che i ribassi in sede di gara si possano fare solo su quella percentuale. Le imprese che vogliono mantenersi una chance sono quindi obbligate a rinunciare anche a quel 5%. Come dire. Fatta la legge, trovato l'inganno.

Concludo brevemente anche perché molte cose sono state già dette; dalle relazioni che mi hanno preceduto e suppongo da quelle che seguiranno emerge un dato di fondo che più che mettere in discussione il "privato" ancora una volta evidenzia i ritardi e l'impreparazione della parte "pubblica"



Copyright AIB, ultimo aggiornamento 2002-07-27 a cura di Beniamino Orrù e Paola Frogheri
URL: http://www.aib.it/aib/sezioni/sardegna/cp02/marongiu.htm

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