Dopo un
breve saluto di Stefano Grigolato in sostituzione di
Loredana
Vaccani, assente per malattia, a nome del Comitato Esecutivo
Regionale
dell' AIB, Claudio Temeroli della Biblioteca di
Forlì ha
iniziato i lavori del Seminario, proponendo un sintetico
excursus della
storia delle biblioteche italiane e soffermandosi in
maniera particolare
sulla esperienza delle biblioteche popolari a
cominciare da quella
pionieristica di Antonio Bruni a Prato per arrivare
a quella della
Società Umanitaria ed dalla figura di Ettore
Fabietti che hanno dato
un contributo decisivo alla promozione delle
biblioteche popolari in
Italia.
Riflettendo sul ruolo e sulla
funzione del bibliotecario e
delle biblioteche pubbliche nella
società contemporanea, Temeroli ha
concluso il suo intervento
citando Ortega Y Gasset: di fronte alla
quantità enorme di
informazione prodotta sia sui sopporti
informativi tradizionali che su
quelli digitali che viaggiano in rete, la
missione del bibliotecario si
configura sempre più come quella di
un mediatore, di selezionatore
della informazione veramente valida e
significativa. Da qui l'importanza
vitale della funzione delle biblioteche
pubbliche in un mondo in continua
e frenetica trasformazione.
Romano Vecchiet, Direttore della Biblioteca comunale di Udine,
ha
inteso nel suo intervento approfondire il dibattito biblioteconomico
in
merito alle biblioteche popolari nel periodo dell'ultimo trentennio
del
secolo scorso; un periodo che, ponendosi a cavallo tra l'esperienza
di
Antonio Bruni a Prato e quella milanese di Ettore Fabietti, non era
stato
adeguatamente studiato. Vecchiet trae alimento alle sue riflessioni
da tre
opere che affrontano i problemi delle biblioteche per il popolo:
Le
biblioteche circolanti, di Luigi Morandi, deputato di
orientamento
democratico, pubblicato a Firenze nel 1868; Delle
biblioteche
circolanti nei comuni rurali, di Vincenzo Garelli, pedagogista
di
orientamento rosminiano, edito a Torino nel 1870; Autodidattica
e
biblioteche popolari di Giuseppe Neri, un maestro elementare poi
Ispettore
scolastico, pubblicato nel 1888 a San Casciano.
Nei tre
autori, ma soprattutto in Giuseppe Neri, è preponderante
l'enfasi e
l'entusiasmo pedagogico,mentre sono ignorati i problemi
organizzativi,
anzi è sufficiente "l'entusiasmo del bene" senza
dover scendere nei
dettagli pratici. Non c'è alcun bisogno, scrive
poi Morandi, di
sovvenzioni statali, perché per le biblioteche basta
il contributo
volontaristico dei singoli.
Per Neri la biblioteca popolare deve
rimanere comunque uno strumento
sussidiario della scuola, organizzata da
un maestro elementare e non da un
bibliotecario. Garelli è
dell'opinione che le collezioni debbano
contenere solo libri educativi ed
edificanti: le classi subalterne devono
essere paternalisticamente
convertite ai sani valori borghesi e
patriottici.
Analogamente, per
Luigi Morandi le biblioteche circolanti hanno la
funzione di fare degli
operai e degli altri appartenenti ai ceti inferiori
dei patrioti
consapevoli e convinti, dei veri Italiani.
Appare chiaro come per gli
autori citati, nessuno dei quali è
bibliotecario per formazione o
professione, la biblioteca popolare si
configuri essenzialmente come
espressione di una cultura borghese
vagamente positivista e filantropica,
permeata di
ideali risorgimentali,
ed atteggiata ad un deciso, e
politicamente preoccupato, paternalismo nei
confronti dei ceti
popolari.
Giorgio Ghezzi ha affrontato il periodo delle
biblioteche popolari
successivo all'avvento del fascismo: il regime si
preoccupa di controllare
e poi di fascistizzare tutte le istituzioni
culturali politicamente
pericolose o anche neutre, in base ad un progetto,
non sempre perseguito
coerentemente, già appropriatamente
definito "fabbrica del
consenso"; in quest'ottica anche le biblioteche
popolari, che si erano
organizzate per iniziativa di Fabietti nel 1909
come Federazione italiana
delle Biblioteche popolari, vengono a confluire
nel 1932 nell' Ente
nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche,
rigidamente
controllato dal partito e dal governo.
L'intervento del
Relatore si focalizza sull'Elenco di autori non graditi
in Italia di cui
si proibiva la stampa, la lettura e la eventuale
traduzione in italiano,
pubblicato nel 1941 dalla Commissione
appositamente istituita nel 1938. In
86 pagine vengono elencati 1.100
autori e 1.600 opere nocive politicamente
o moralmente.
Lo studio di Ghezzi permette di delineare alcune
tipologie di libri ed
autori proibiti: libri sul Duce
(es. la biografia di
Mussolini scritta da Prezzolini), libri sulle
esperienze belliche etiopiche
e spagnole (es. Oggi in Spagna, domani in
Italia di Carlo Rosselli); opere
di autori ebrei o che trattino di
argomenti ebraici; libri di contenuto
antifascista; libri considerati
pornografici in base al senso del pudore
espresso all'epoca (tra cui le
opere di romanzieri come Pittigrilli, ma
anche classici come Boccaccio,
Casanova, Balzac, Mirabeau, e parecchi testi
scientifici di sessuologia).
E' significativo che sulle 17 opere che
superarono le duecentomila copie
vendute in Italia durante la dittatura
fascista, ben 13 comparissero
nell'elenco.
A Giorgio Montecchi,
docente di biblioteconomia
all'Università di Milano, è
toccato il compito di trarre
delle conclusioni di carattere generale dalle
relazioni precedenti.
Dalla 5. Legge di Ranganathan: la biblioteca
è un organismo in
crescita, Montecchi trae spunto per affermare
come sia riduttivo e
semplicistico affermare che la nascita delle
biblioteche pubbliche possa
ascriversi al Public libraries Act del 1850,
in cui il Parlamento inglese
espresse la necessità di biblioteche
aperte alla generalità
dei cittadini, senza alcuna spesa per i
servizi essenziali, finanziate
dallo stato o dalle comunità locali.
In realtà la genesi
delle biblioteche pubbliche affonda nel lungo
periodo, è necessario
ribadirlo ripercorrendo anche brevemente la
storia delle biblioteche in
Italia, a cominciare perlomeno dalle grandi
biblioteche umanistiche,
quali la Malatestiana di Cesena, messe a
disposizione del pubblico anche
se costituito da un ristrettonumero di
eruditi, e non di una istituzione
ecclesiastica.
Con la Rivoluzione
francese si afferma il principio che la lettura e
l'accesso alla cultura
ed informazione non è più un atto di
munificenza e
liberalità da parte di singoli o dello stato, ma un
preciso diritto
del cittadino, non più semplice suddito.
L'esperienza delle
biblioteche popolari in Italia, che si inscrive in
questa lunga tradizione,
non si può quindi riduttivamente
configurare come un semplice
episodio ormai appartenente al passato; la
preoccupazione pedagogica che
sembra alla base della loro istituzione
nella seconda metà del
secolo scorso trova la sua giustificazione
nel fatto che quasi i due terzi
degli italiani erano analfabeti. In
realtà quella delle biblioteche
popolari è stata una
esperienza concreta, formativa di generazioni
di bibliotecari, ancora nel
secondo dopoguerra (tra cui Giovanni Bellini,
Direttore della Sormani),
prima della loro definitiva scomparsa, nel 1978,
appena vent'anni fa;
esperienza vissuta e sofferta che, secondo Montecchi,
all'affermarsi del
concetto di biblioteca pubblica in Italia ha dato di
più rispetto
al modello astratto e distante della Public library
inglese e più
ancora
statunitense che si è venuto affermando
a partire dagli anni
cinquanta.
Riceviamo e
pubblichiamo un contributo
di Maria
Stella Rasetti ricevuto
via posta elettronica:
Gentile
Maurizio di Girolamo, ho
appreso da AIB-CUR del seminario organizzato per
domani presso la
Società Umanitaria di Milano sul tema "Dalle
biblioteche popolari
alla biblioteca pubblica".
Purtroppo non mi
sarà possibile essere presente, per precedenti
impegni fuori di
sede. Desidero però partecipare in qualche modo,
sia pure in forma
minimale, ai lavori del seminario, nella mia
qualità di
coordinatrice nazionale delle Biblioteche fuori di
sé, quelle
biblioteche che in diverse regioni d'Italia realizzano,
ad integrazione
delle attività ordinarie di informazione e
distribuzione di
documenti, forme di promozione della lettura presso fasce
di pubblico meno
avvezzo ai libri e alla lettura, creando occasioni
irrituali di accesso
all'informazione in luoghi esterni alla biblioteca
stessa: strade, piazze,
mercati e supermercati, spiagge, campeggi, piscine,
negozi, bar, stazioni
ferroviarie e della metropolitana, persino
discoteche, ospedali,
prigioni.
Il movimento delle Biblioteche fuori di sé è
abbastanza
forte, a giudicare dall'attenzione che la professione riserva
loro,
soprattutto da quando si sono costituite a partire dal 1995
in
coordinamento nazionale. Ritengo che esse esprimano in chiave
moderna
l'esigenza profonda delle biblioteche popolari di creare
discriminazioni
positive a favore di coloro che sono tagliati fuori dai
consumi culturali,
contribuendo a ridurre le barriere fisiche e
psicologiche che tengono
lontana dalla pratica della lettura la stragrande
maggioranza della
popolazione nel nostro paese.
Le BFS hanno
accreditato una consistente letteratura professionale, e oggi
compaiono
anche in una rubrica su "Biblioteche oggi" (il primo numero
è
uscito a novembre). Prive di ogni istanza populistica e
rivendicativa,
scevre dal rischio demagogico di "portare i libri al
popolo", oggi le BFS
costituiscono UNA delle possibili risposte alle
trasformazioni in atto
nella pratica della lettura: ridotta sempre
più ad attività
residuale, da svolgere nei ritagli di tempo,
nelle connessioni fra una
attività ed un'altra.
La moltiplicazione nel tempo e nello
spazio delle occasioni di
incontro-scontro con i libri, la "seduzione" di
un libro prima di un
viaggio in treno o in metrò, mentre si aspetta
il proprio turno dal
parrucchiere, sono strategie molto concrete e molto
poco demagogiche che
queste biblioteche adottano per trasformare
(ovviamente nella misura che
è loro congeniale e possibile, e quindiin sinergia con altri
istituti e soggetti) quello che è un privilegio di
pochi in un
diritto da estendere nella realtà al massimo numero di
persone.
Tra i relatori invitati al convegno, c'è Romano
Vecchiet, un "amico"
delle Biblioteche fuori di sé, che meglio di me
potrà
illustrare il ruolo che esse stanno svolgendo nell'ambito
della promozione
della lettura. Augurando ai relatori e ai partecipanti al
seminario, oltre
che a lei, i miei migliori auspici per un proficuo lavoro
di riflessione e
approfondimento, sono a chiederle di poter ricevere - alle
condizioni che
vorrà indicarmi - i materiali di documentazione del
seminario
stesso.
Cordiali saluti.
Maria Stella Rasetti
Coordinamento nazionale delle Biblioteche fuori di
sé Biblioteca
Comunale Vallesiana