Vedere l''invisibile': musei e biblioteche nell'era della Realtà Aumentata
Can new digital technologies applied to cultural heritage and libraries enhance the production of knowledge? Certainly they do multiply the perceptive spectrum of the way we experience spaces, exhibits and documents. Geo-historical contextualisations suspended between real and virtual, hyperlinked narrations, games, interactive surfing, 3D videos, olographic representations and 3D reproductions of objects, of rare or unreachable books and manuscripts are just a few of the digital technologies applications that can significantly alter our perception when visiting museums, art locations and libraries. This is done by increasing the traditional means of experiencing and sharing the knowledge and by promoting new and original versions of the learning contents. Behind this scenario, though, some problematic issues hide, that call for reflection from all the information and documentation experts.
Tra le soluzioni tecnologiche del cosiddetto Internet of things (IoT) quelle che utilizzano la Realtà Aumentata rappresentano uno dei settori maggiormente in ascesa dal punto di vista commerciale e dei campi di applicazione. Al contempo rappresentano anche uno degli aspetti che sta generando le maggiori perplessità alla comunità degli studiosi e degli operatori nell'ambito delle scienze dell'informazione e dell'educazione per le implicazioni cognitive, conoscitive, epistemologiche ed etiche che ne derivano.
Le sfide poste alle scienze dell'informazione e della formazione da queste modalità di fruizione di beni culturali presentano nodi critici forse superiori a quelli posti a tecnici ed informatici dalle problematiche legate agli sviluppi tecnologici e di performance di questi strumenti. Approfondendo le riflessioni, che inquadravano alcune ipotesi progettuali di applicazioni AR per la fruizione di beni culturali, presentate in forma di poster al Convegno Aiucd 2015, cercherò qui di rappresentare alcuni di questi nodi critici.
Cerchiamo di capire innanzitutto, cosa realmente si intende per Realtà Aumentata. Quelle che correttamente dovremmo chiamare "tecnologie per la realtà aumentata" (AR) sono una serie di applicazioni digitali che sovrappongono segnali audio, visivi e tattili digitali alla percezione del mondo reale da parte di un utente munito di un dispositivo idoneo, in genere tablet o smartphone, o indossabile e fornito ad hoc per aggiungere informazioni a ciò che vediamo.
Sono questi i cosiddetti wearable devices e comprendono tra gli altri i visori di realtà aumentata e gli occhiali intelligenti quali i
Google Glass.In tutti questi casi possiamo parlare dell'intermediazione di "protesi" tra il soggetto e l'oggetto per amplificare l'esperienza percettiva e sensoriale del soggetto stesso. Operativamente, le azioni che consentono questa "visione" arricchita consistono principalmente nell'inquadrare con un tablet o uno smartphone un oggetto qualunque e giungere a visualizzare sul display qualsiasi tipo di informazione aggiuntiva: testi, immagini, filmati dal vero o in animazione, tradizionali o 3D.
Uno dei principi della realtà aumentata, infatti, è quello dell'overlay: nel momento in cui il device inquadra un oggetto, l'applicazione lo riconosce e va ad attivare un livello aggiuntivo di informazioni e di comunicazione che si va a sovrapporre e a integrare perfettamente con la realtà, potenziando la quantità di dati di dettaglio in relazione a quell'oggetto. Anche nel caso di dispositivi "indossabili" per esperienze immersive, si tratta sempre di sovrapporre ad un livello percettivo altri strati e livelli di percezione e di informazioni.
Per questa caratteristica che diremmo quasi di epifania magica, la realtà aumentata ha trovato le prime applicazioni nel campo dell'intrattenimento e dei games, ma il passaggio a una forma ibrida di fruizione, il cosiddetto infotainment, non è tardato, spostando il focus tecnologico e applicativo a forme di fruizione a cavallo tra esigenze informative e di intrattenimento.
In questa forma, dal digital marketing agli accessori per il campo dell'automotive, dal turismo intelligente all'esperienza museale, gli orizzonti applicativi di queste tecnologie sono diventati pressoché infiniti.
In questa fase è avvenuto anche l'innesto di questi strumenti nell'ambito cultural-informativo e di gestione e rappresentazione digitale dei beni artistici, museali e documentali.
La rivoluzione digitale infatti ha avuto ricadute profonde nella trasformazione dei modi della conoscenza anche per le discipline umanistiche, che stanno attraversando un momento di sviluppi impensabili attraverso le "computer sciences". Anzi, sono divenute esse stesse "Data Sciences".
Questo potenziamento riguarda anche l'ambito del Cultural heritage, soprattutto da quando i nuovi web-devices hanno reso accessibili contenuti "aumentati" su un unico supporto e da ogni luogo attraverso la geolocalizzazione (Gps) e le varie forme di display aumentati e immersivi già elencate. A questo riguardo possiamo oggi considerare la AR come uno dei temi e delle tecnologie che vanno ad implementare l'interesse e le indagini teoriche, nonché le progettazioni prototipali, di quel nuovo campo della conoscenza rappresentato dalle Digital Humanities.
Di fatto l'AR è una forma di visual content management 2.0 che può consentire nello specifico a gallerie e raccolte d'arte, musei e biblioteche di aggiungere nuovi livelli conoscitivi e informativi in tempo reale e ad alto tasso di interazione ai propri spazi, oggetti e collezioni.
Già dalle prime sperimentazioni è apparso chiaro che gli attori principali di questa che sta diventando una vera e propria rivoluzione rispetto all'approccio tradizionale, curatori museali, organizzatori della conoscenza, insieme alle aziende del settore, hanno immediatamente colto l'aspetto tecno-magico di queste rappresentazioni virtuali, e la potenza del fattore sorpresa da esse scatenato, per intercettare le esigenze di utilizzatori eterogenei e calamitare nuovi pubblici e nuova attenzione su eventi ed istituti culturali.
Di fatto la realtà aumentata può essere utilizzata dalle istituzioni artistiche, museali e bibliotecarie per comunicare a pubblici della più varia tipologia, provenienza e formazione informazioni essenziali alla comprensione dei manufatti e dei documenti custoditi tra le proprie collezioni. Queste informazioni possono essere fisse e apparire come cartelli pop up a fianco degli oggetti di cui si vuole dare ulteriore approfondimento, oppure possono essere recepite attraverso contenuti multi-mediali (es. audio-video, animazioni).
In questo senso si tratta quindi di tecnologie che si inseriscono nel discorso della Internet of Things, e in particolare nello scenario delle smart cities, città intelligenti dove gli enti e le istituzioni possono dialogare e comunicare con i cittadini attraverso una serie di oggetti che diventano parlanti e con cui è possibile interagire in vario modo, dall'informazione sugli eventi e relative prenotazioni dei biglietti, alla condivisione di oggetti digitali tramite i social media, fino alla creazione di archivi e gallerie personalizzate di immagini o video.
Diventa così possibile, ad esempio, visitare luoghi di interesse storico-archeologico e culturale contestualizzando la visita attraverso una cornice informativa di riferimento, ad es. un palazzo storico o un insieme di edifici storicamente o concettualmente collegati, attraverso l'uso di uno smartphone, di un tablet, di una soluzione di digital signage, oppure sperimentando un'esperienza immersiva che trasforma esposizioni statiche in panorami virtuali o racconti ricchi di risonanze emotive.
Queste nuove forme di user-experiences, nate da parallele ricerche delle scienze cognitive sulla percezione delle informazioni in formato multimediale, mettono quindi a disposizione grandi quantità di nuovi dati, locali e delocalizzati al contempo, che trasformano luoghi di interesse artistico e culturale o musei e biblioteche in realtà multidimensionali. Luoghi, cioè, dove il fare esperienza e il fare conoscenza, e quindi interagire-con e re-interpretare il mondo, vengono alterati in modo significativo dall'uso di espedienti virtuali che trasformano i luoghi del sapere in percorsi, o meglio, in "navigazioni" ipertestuali, vale a dire in "narrazioni".
Non a caso curatori museali ed espositori d'arte stanno rivoluzionando la modellizzazione e l'organizzazione delle collezioni all'interno delle loro istituzioni culturali ispirandosi alle tecniche di messa in scena teatrale o a quelle di storytelling, e predisponendone la presentazione attraverso simulazioni virtuali di ogni tipo per incorniciare reperti, oggetti, collezioni, documenti all'interno di contesti narrativi ed emozionali che arricchiscono sicuramente l'esperienza dell'utilizzatore di valore aggiunto e di possibilità di interazione senz'altro superiori a quelle della fruizione che diremo "tradizionale".
Tuttavia questo scenario ideale viene ad incrinarsi nel momento in cui alcuni elementi distopici di non poco conto intervengono a trasformare l'idillio in una sorta di deformazione straniante del e dal reale.
Il cortometraggio virale "Hyper-Reality" di Keiichi Matsuda rappresenta una possibile versione di questo futuro distopico. Nel video, infatti, percorriamo una città del futuro dove realtà fisica e realtà virtuale si sono ormai fuse in una terza realtà che le contiene in maniera indistinguibile. Non solo, la protagonista subisce una sorta di controllo continuo dei dati personali e biometrici che la costringe a render conto di ogni sua azione ad una sorta di Grande Fratello.
Nulla di nuovo, si dirà, i social media ci sottraggono già montagne di dati personali per orientare scelte e strategie di vendita. Tuttavia, se questi rischi sono veri e reali per tutti gli utilizzi della rete e dei dispositivi mobili, quando si passa dai territori dell'intrattenimento o del marketing digitale a quelli legati a scienza e conoscenza lo scenario si condensa intorno a nodi di forte spessore speculativo.
Ritengo cioè che la problematizzazione relativa a queste sperimentazioni investa sia gli statuti e i paradigmi attraverso cui vengono modellizzati e organizzati i luoghi della conservazione e della memoria storica, sia gli aspetti formativi ed educativi connessi ai saperi, alla cultura e alla loro ricaduta sociale, sia aspetti neuro-cognitivi e conoscitivi.
Il campo di indagine è quindi a mio parere forzatamente multidisciplinare ed interroga le neuroscienze come le scienze della formazione, la fisica come l'informatica, le discipline della comunicazione quanto quelle biblioteconomiche e di conservazione dei beni culturali, aprendo la strada anche alla ridefinizione di ruoli e figure professionali.
Alcuni di questi nodi problematici inerenti all'utilizzo indiscriminato delle tecnologie di AR si concentrano intorno ad alcuni temi che di solito passano del tutto inosservati alla grande massa dei fruitori e, molto spesso anche di coloro che sono preposti alla custodia e alla tutela del patrimonio culturale e della conoscenza.
Volendoli riassumere potremmo condensarli, a mio parere in tre punti chiave:
Sapevamo già che nella Quarta Rivoluzione, o rivoluzione di Turing, siamo diventati organismi che generano informazioni e che condividono queste informazioni con altri organismi, biologici e non, nella cosiddetta "infosfera" (Floridi). Il "non biologici" ovviamente è riferito ai computer, alle macchine, e ai loro cervelli, dotati per l'appunto di "intelligenza artificiale".
Un diluvio di dati provenienti dalle elaborazioni che le macchine fanno di qualsiasi elemento connesso alla rete sta modificando il nostro modo non solo di comunicare, di acquistare beni e servizi e di muoverci nello spazio, ma anche di agire terapia e prevenzione medica, o, sul versante scienze umane, di fare ricerca storica, filologica e critica testuale. E' la cosiddetta scienza "data driven".
Partiamo dunque proprio dalle scienze dell'informazione per evidenziare il primo degli aspetti problematici della AR e di altre tecnologie virtuali rappresentato spesso dalla loro impermanenza: molti dati e molte realizzazioni sono concepiti per una durata effimera, spesso coincidente col solo tempo di un'esposizione museale a tema o di una mostra.
Partendo da un'ottica di conservazione, e quindi di memoria storica e collettiva collegata agli enti musei-biblioteche questa lacuna, il non collegare in modo sistematico i contenuti veicolati da questi strumenti di immediata e spettacolare fruizione, a delle piattaforme di archiviazione e conservazione dei dati che ne preservano la "scientificità", il "controllo di qualità" genera una sorta doppio binario conoscitivo che non aggiunge valore all'informazione.
Esistono sicuramente già enti culturali che riescono a integrare strumenti e display informativi digitali ad archivi propri o collettivi e multimediali strutturati secondo standard internazionali, ma il più delle volte si tratta di materiali separati che viaggiano per canali di fruizione diversificati, frammentati e discontinui. Questo è particolarmente critico per quanto riguarda gli utilizzi che ne potrebbe fare la comunità scientifica di riferimento, delle informazioni e degli oggetti rappresentati in modalità inedite e "aumentate", come quelli che, ad esempio descriverò a breve traendoli da alcuni casi-studio analizzati.
Per i semiotici, invece, la "zona d'ombra di queste tecnologie è rappresentata dall'essere delle specie di "media occulti". Gli studi di semiotica sui cosiddetti new media, sempre attenti ad indagare empiricamente il campo nel suo farsi evolutivo, lo hanno compreso in anticipo su altre discipline e ne hanno fatto oggetto, come per i vecchi media del resto, delle proprie analisi che mai come ora possono incrociarsi ed integrarsi a riflessioni e diagnosi che di fronte alle nuove tecnologie intercorrono tra i tecnici dell'informazione, bibliotecari, archivisti o curatori museali.
Le più recenti ricerche in semiotica riportano come con l'avvento delle esperienze virtuali ed immersive il concetto di mondo reale come mondo naturale, cioè di un universo che si presenta all'uomo costruito in un modo "decifrabile e interpretabile" (Greimas), abbia finito per dilatarsi nella concezione di Ipermondo.
Questo Ipermondo viene percepito da un iper-soggetto, cioè il detentore del dispositivo mobile, della protesi meccanica e dei suoi contenuti digitali.
Iper-soggetto in quanto il soggetto percipiente diventa, tramite la protesi, il punto di transito di un duplice flusso di informazioni, uno proveniente dal mondo "naturale", l'altro da quello "virtuale" (Finocchi).
Nella New Media Age, o era Postdigitale, insomma, i nuovi modelli esperienziali che l'informazione elettronica va a stimolare e costituire creano nuovi flussi semiotici di spazio-tempo-soggettività. Costruiscono cioè, spostandosi di continuo tra Universi di Discorso differenti (testuali, visuali, tattili, sonori) nuovi rapporti di senso tra l'uomo e i linguaggi.
In questi nuovi rapporti di senso spesso le barriere di intermediazione del pensiero critico sono abbattute dall'apparente immediatezza con cui il dato viene esperito. Esso, il dato cioè, tende ad essere assunto come vero, autentico e reale a prescindere da qualunque indagine sulla fonte. Quanto più le interfacce diventano user-frendly e quanto più rapidamente con pochi gesti, ad es. con pochi sfioramenti tattili, si raggiungono le informazioni desiderate, tanto più il lavoro umano, tecnico e concettuale che sta dietro a quelle realizzazioni, e il suo apparato di significazione ideologica non vengono percepiti.
Poiché il gesto non è neutro e genera dei tracciati neuronali, la faccenda appare più seria di quanto potrebbe apparire, enunciando questa evidenza deprivata dei necessari riferimenti ai processi cognitivi e di significazione che la coscienza di un soggetto percipiente produce. Questo significa, in altre parole, che l'informazione assunta dal soggetto tramite questi strumenti di intermediazione viene vissuta quasi come epifania magica.
Ora la contemplazione di epifanie magiche è proprio l'opposto del processo che caratterizza il pensiero critico. L'epifania magica crea mitologie là dove il pensiero critico produce conoscenza razionale. In contesti differenti entrambi questi modelli di rappresentazione e spiegazione della realtà hanno le loro peculiari ragioni d'essere.
Ma nel momento della fruizione "alta" del prodotto culturale, il rischio reale è quello di una riduzione e banalizzazione del dato conoscitivo a mero spettacolo, dove gli elementi critici di contestazione vengono neutralizzati o addirittura soppressi. In questo modo, impercettibilmente, nella struttura narrativa della contestualizzazione e presentazione possono essere veicolati messaggi valoriali e ideologie precise occultati nella forma del realismo e della naturalità apparenti.
Queste strutture, questi percorsi non sono rappresentazioni "neutre" della realtà. Sono invece rappresentazioni di culture, di visioni del mondo, di ideologie e di nuovi ordinamenti dei saperi. Il vero spauracchio socio-politico insito nel dilagare di queste forme di fruizione ed esperienza è dunque quello della manipolazione occulta, sia essa finalizzata all'acquisto compulsivo sia, molto più insidiosamente, a veicolare strumentalizzazioni ideologiche, o favorire comportamenti inconsci e creare mitologie sociali.
Da ultimo, ma non ultimo, segnaliamo l'allarme sollevato da pedagogisti e scienziati dell'educazione che contiene a sua volta, come accennato sopra, riferimenti multidisciplinari sia agli aspetti cognitivi che semiotici appena illustrati. Il rischio segnalato è quello, tutt'altro che improbabile che, lo scenario distopico di Hyper-Reality si stia già concretizzando in una preponderanza dell'oggetto virtuale sull'oggetto "reale" nell'esperienza conoscitiva.
E cioè che, tra un oggetto o una narrazione virtuali, non sempre ricostruiti con estremo rigore filologico, ma sicuramente molto accattivanti ed emozionanti, e il loro omologo reale, siano i primi a catturare maggiormente l'interesse ed il coinvolgimento dello spettatore ai danni del secondo. Che, cioè, lo spettatore chino sul tablet dimentichi il dipinto reale, la statua, il monumento che gli stanno di fronte, perso nel viaggio virtuale che ne racconta storia e dettagli:
However, to pursue the original goal, improving the experience of visitors, inte-grating technology per se shouldn't be the main design driven force. As discussed in[7], technology should be conceived as a mediator to improve the visitor's experience not as a tool that diverts the attention from the cultural object or site to the technical device. The experience has to be attractive and enjoyable from the users' point of view but it also has to meet the educational goals underlying most cultural heritage sites [1].
Certamente viviamo in un contesto sociale dove il rigore filologico e l'inquadramento storico dei prodotti dell'informazione – basti pensare alle fiction-tv – sono spessissimo sacrificati ad esigenze di spettacolarizzazione sempre più pressanti, che generano non solo "fake" e "bufale", ma abituano a non porsi domande sulla qualità e sulle "fonti" di ciò che viene rappresentato, appiattendo e banalizzando qualsiasi dato sul livello della captazione emozionale ovvero del cosiddetto "effetto wow!". Scherzo, ovviamente, ma non troppo.
Tra banalizzazione e contraffazione, dunque, le applicazioni di AR, che siano games, fiction o ricostruzioni storiche sommarie, possono addirittura veicolare disinformazione e divenire delle sorta di "inquinanti" diseducativi del conoscere e dell'apprendere.
Non sono mancati i casi di "games" immersivi, o di narrazioni pseudo-storiche di supporto a fruizioni museali anche importanti, che sono caduti in falsi storici clamorosi al solo scopo di privilegiare la spettacolarizzazione di una rappresentazione. Cito fra tutti il caso di una ricostruzione storica in cui due edifici notissimi, che contigui non sono affatto, sono stati avvicinati in una ricostruzione virtuale al solo scopo di rendere più accattivante una sequenza narrativa.
Eviteremo di dare un nome ad altri casi noti, rispettando il principio che sia meglio biasimare il peccato del peccatore, e limitandoci ad osservare che se i falsi storici sono già molto discutibili ed imbarazzanti all'interno di altri usi mediatici, ad es. fiction e mini-serie tv che ne abbondano, la cosa diviene a mio parere inammissibile in quegli spazi e quei contesti dove viene agita una specifica mission di divulgazione culturale alta.
Musei e biblioteche sono anche luoghi produttori di cultura, ricerca e conoscenza, di rigore scientifico nella presentazione dei propri patrimoni di beni e documenti e non c'è pretesto divulgativo che ne giustifichi deroghe. Certamente la discussione è complessa e lo è molto di più di quanto i temi qui messi in evidenza possano far supporre.
Non ho toccato ad esempio le problematiche inerenti le tipologie e gradi di invasività delle protesi e la loro interazione con gli spazi in cui agiscono, oppure i problemi connessi con la sicurezza dei dati personali e della privacy degli utilizzatori. Il quadro è comunque vasto e dal mio punto di vista anche assai stimolante. Che fare dunque?
Con buona pace dei semiotici e delle ansie diffuse tra i guru del pensiero sulle possibili derive della civiltà post-informazione, sulla riva opposta dell'appiattimento culturale, della manipolazione ideologica e della dissociazione psichica giace un potenziale di utilizzi "virtuosi" del virtuale che potrebbe, se non pareggiarne la pericolosità, almeno attenuarne significativamente la ricaduta.
Come Stiegler, filosofo nella scia derridiana, suggerisce: "there is a great need for a 'pharmacology' in today's society to counter the poisonous fumes of economic, ethical and cultural impoverishment" [2].
Se come Stiegler, filosofo che non rifiuta i New media, anzi cura un proprio sito/blog molto apprezzato, Ars industrialis, derridianamente ipotizziamo che un pharmakon possa essere sia "veleno" che rimedio, in questo caso alle peggiori manipolazioni della mente e del pensiero critico, questo pharmakon può e deve trovare proprio nel "Logos", in questo caso nel rigore contenutistico, nel dialogo tra discipline e nell'inquadramento storico e filologico, un viatico tutt'altro che accessorio bensì di sostanza alla dilagante superficialità e al pressapochismo culturale ed informativo della nostra epoca.
L'impoverimento culturale dei nostri giorni denunciato dai filosofi della scienza e dell'informazione, in fin dei conti, non è a mio parere da imputare tanto alle nuove tecnologie bensì ai contenuti pensati, progettati e veicolati "a monte"dalle stesse, indipendentemente dal fatto che, per la loro stessa natura ed impatto sulle funzioni cognitive ("il medium è il messaggio"), alcune di esse si stiano rivelando più "a rischio" di altre.
Credo che le criticità evidenziate possono e devono trovare un superamento nell'integrazione tra saperi specialistici e tecnologie, nonché nell'educazione ad un uso consapevole. Ben usate, queste applicazioni possono diventare formidabili espansioni dell'esperienza conoscitiva, a patto che se ne rispettino i limiti e le si integrino con gli apparati più tradizionali del sapere.
Quello che ora cercherò di raccontare sinteticamente è una serie di esempi "virtuosi" in cui tecnologie complesse e "di punta" hanno reso un ottimo servizio ai beni culturali, implementando, anziché diminuire, lo spessore informativo accademico e "scientifico" di una serie di manufatti e documenti.
Qualche anno fa mi è capitato di incrociare in maniera del tutto casuale, anche se legata ad alcune mie ricerche di allora, le attività condotte dall'Integrated Research Team (IRT) – Alma Heritage Science dell'Università di Bologna coordinato dal Prof. Casali (Centro Fermi di Roma) e dalla Dott.ssa Morigi (Università di Bologna).
Il team è composto per lo più da fisici ma di fatto integra, come suggerito dalla denominazione, altri specialisti, tra cui curatori museali e tecnici del restauro in una collaborazione multidisciplinare assai proficua.
Attraverso una combinazione ed integrazione di tecniche di imaging multispettrale, radiografia digitale, tomografia computerizzata 3D con raggi X e rendering digitale in graphic motion il team ha dato nuovo spessore di conoscenza scientifica alle proprietà di alcuni manufatti e documenti altrimenti non riscontrabili con altri strumenti di indagine e le ha rese visualizzabili e fruibili in rappresentazioni assai spettacolari anche per un pubblico di non addetti ai lavori.
Non mi addentro nell'approfondimento degli aspetti tecnologici di questi strumenti di indagine e di resa tridimensionale, che oltretutto sono protetti in parte da brevetti, ma mi limito a descrivere come questo tipo di simulazione, se veicolata da applicazioni di AR, possa davvero arricchire di elementi e dati conoscitivi straordinari, perché altrimenti "invisibili", sia la percezione di un pubblico "inesperto" sia le indagini degli studiosi.
L'ipotesi progettuale che presentammo in forma di poster al Quarto Convegno AIUCD,
Digital Humanities e beni culturali: quale relazione?, che si è tenuto al campus Einaudi di Torino nel dicembre 2015, riguardava l'implementazione di un software per la gestione in AR di dati strutturati comprendenti i suddetti rendering animati in 3D, per rendere fruibili digitalmente delle informazioni di grande rilievo storico-scientifico e di forte impatto su una serie di utilizzi operativi .Ho condensato queste ricadute in alcune tipologie di utilizzo corredate dagli esempi e casi-studio elaborati dal Team.
Le tecniche di imaging multispettrale, basate sull'acquisizione di immagini in diverse bande spettrali, trovano molteplici applicazioni nel settore dei Beni Culturali. Più recentemente le tecniche di imaging multispettrale sono state applicate all'indagine di antichi manoscritti e pergamene la cui leggibilità sia stata fortemente compromessa dal tempo.
Nello specifico si cita il caso di un codice palinsesto conservato presso la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino e gravemente danneggiato in occasione dell'incendio che devastò la Biblioteca nella notte tra il 25 e il 26 gennaio del 1904, distruggendo gran parte della sua raccolta di manoscritti. Per merito della telecamera multispettale, dalla superficie annerita è riemerso, perfettamente leggibile, il testo miracolosamente preservato sotto lo strato annerito.
Qui l'esempio riportato era quello di una mummietta egizia di gatto conservata nel Museo Civico Archeologico di Bologna, che l'animazione tridimensionale "sbendava", rivelando all'interno la conformazione dello scheletro dell'animale, compresa la particolarità del collo spezzato. Il dato conferma l'ipotesi degli studiosi che questa fosse pratica consueta e riferita al fatto che gli animali posti nella tomba del defunto venivano probabilmente sacrificati in questo modo per seguire il padrone nell'aldilà.
Il caso-studio presentato è una statua in bronzo di giovane Eros conservata presso il Getty Museum che ha richiesto la Tac 3D dell'intera statua, la prima nel mondo ad essere effettuata in modo completo su manufatti di questo tipo.
I risultati sono stati stupefacenti non solo per il virtuosismo delle immagini in 3D in rotazione che svelano tutta la struttura esterna ed interna della statua, ma soprattutto perché, agli occhi allenati degli esperti, le TAC hanno restituito un numero impressionante di informazioni anche dopo un esame di pochi minuti.
Sono stati individuati in tempi brevissimi le tracce che indicano la tecnica di fusione, i sistemi di realizzazione della cera, le riparazioni dei difetti, i problemi strutturali, le differenze di spessore e molte altre informazioni.
In questa categoria rientra anche l'indagine della statua lignea giapponese Kongo Rikishi del XIII secolo, restaurata nel 2008 presso il Centro di Conservazione e Restauro "La Venaria Reale" a Torino. La TAC ha permesso di far luce sulla complessa tecnica, denominata yosegi-zukuri, con cui sono stati assemblati i masselli di legno di cipresso hinoki che costituiscono l'opera. In seguito questa TAC è stata utilizzata anche per il restauro. Il rendering 3D ha permesso la visualizzazione degli strati lignei attraverso animazioni che li mostrano smembrati a fette come si può vedere nella suggestiva immagine di copertina della rivista Hig Performance Computing HPC che ospita un articolo correlato.
L'ultimo esempio che si riporta è la Tac 3D del "Globo Celeste" di Vincenzo Coronelli conservato nella Biblioteca Manfrediana di Faenza, che ha permesso di scoprirne la struttura ed il conseguente rifacimento.
Nell'antica biblioteca di Faenza, prima della seconda guerra mondiale, erano conservati due globi del Coronelli: il globo "celeste" e quello "terrestre". Durante la seconda guerra mondiale il globo "terrestre" venne distrutto da un bombardamento. Sulla base delle stampe originali dell'epoca e dei risultati della TAC del globo celeste gemello il restauratore ha potuto ricostruire una riproduzione fedele della struttura originale del globo che ora è stata ricollocata nella Biblioteca comunale di Faenza.
Termino qui la mia carrellata che potrebbe contenere molti altri esempi suggestivi. Perché questa scelta? Le Digital Humanities applicate al Cultural Heritage sono un campo ancora in via di costituzione e alla ricerca di un assetto e uno statuto epistemologico sufficientemente circoscrivibili, soprattutto a causa della loro connaturata condizione di campo multidisciplinare.
Nell'ambito delle Digital Humanities, infatti, la multidisciplinarietà non è una variante possibile, bensì un aspetto necessario alla loro stessa esistenza e alla loro efficacia. Tuttavia, all'interno del dibattito in corso sull'effettivo impatto di queste nuove discipline sul "produrre nuove forme di conoscenza", mi è sembrato opportuno far rientrare una disamina delle nuove tecnologie di Realtà Aumentata applicate ai beni culturali per alcune ragioni precise.
Una di queste è proprio che gli strumenti digitali avranno sempre più un senso solo se davvero riusciranno a potenziare la conoscenza del patrimonio culturale e documentale, e che, per fare questo, dovranno fare ricorso a team multidisciplinari dove il ruolo di mediazione di bibliotecari e curatori può essere rilevante se agito, insieme alla metodologia scientifica e storica, con adeguate conoscenze e la consapevolezza dei limiti e dei rischi insiti nelle tecnologie, ma anche delle loro immense opportunità.
Come Floridi suggerisce dal versante filosofico-teorico, se vogliamo che l'impiego delle tecnologie per la virtualizzazione della realtà rendano davvero un servizio alla società dell'informazione, tutti gli attori coinvolti, compresi i fruitori, dovrebbero sviluppare adeguati strumenti di approfondimento ed interpretazione che diano conto sia delle realtà naturali sia di quelle artificiali per individuare quando realmente servono e a chi servono.
A conclusione possiamo citare l'intervento di Manfred Thaller al Quarto Convegno AIUCD, intervento mirante proprio a definire alcuni postulati teorici a presupposto di una possibile collocazione epistemologica delle DH, in cui, tra i possibili aspetti fondativi veniva citata la funzione di dotare le scienze umane di strumenti e servizi conoscitivi e informativi impossibili da ottenersi se non attraverso il medium digitale:
If you simply convert forms of behavior, which have been developed in the analog library community into digital form, this may make the adaptation of librarians to the digital world easier, but it does not necessarily help humanities researchers. A long-term preservation project is definitely not automatically a digital humanities project; nevertheless, I have had responsible tasks within half a dozen of them. The crucial point here in my opinion is, that we should focus on what is specific, about the content of the digital humanities, that is concentrate on the way in which we can keep the knowledge gained by humanists over the time, not about general questions of how to preserve digital objects per se" [3].
In tutti gli esempi presentati l'ipotesi di lavoro era quella di utilizzare la AR per poter rendere accessibili in maniera innovativa contenuti altrimenti inaccessibili ad un pubblico ordinario, ma anche di esperti, che facesse esperienza solo dell'oggetto "reale".
Quello che ci augurammo allora e che personalmente mi auguro ancora è che quindi si possa, in un prossimo futuro, parlare molto più di "augmented knowledge" che di "augmented reality".
Antonella Brunelli, Biblioteca del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione - Università di Bologna, e-mail: antonella.brunelli@unibo.it
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Cameron F., The Liquid Museum: New Institutional Ontologies for a Complex, Uncertain World, The International Handbooks of Museum Studies, vol. 17, Part 2, Disciplines and Politics, Wiley, 2015.
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Finocchi R., Ipermedia e Locative Media. Cronologia, semiotica, estetica, Edizioni Nuova Cultura, 2016
Damone G. - Scelzi R., I media occulti della Realtà aumentata, relazione presentata a Nuove forme d'interazione: dal web al mobile, XLIII Convegno Aiss, Bologna, 25-27 settembre 2015, Atelier 1 - Realtà aumentata: protesi, controllo, ideologia, Libellula Edizioni, 2016.
Finocchi R., Iperimmaginare l'ipermondo: locative media e augmented reality, relazione presentata a Nuove forme d'interazione: dal web al mobile, XLIII Convegno Aiss, Bologna, 25-27 settembre 2015, Atelier 1 - Realtà aumentata: protesi, controllo, ideologia, LibellulaEdizioni, 2016.
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[1] Romano, M. (et al.), Augmenting Smart Objects for Cultural Heritage: A Usability Experiment, in Augmented Reality, Virtual Reality, and Computer Graphics: Third International Conference, AVR 2016, Lecce, Italy, June 15-18, 2016. Proceedings, Part II, edited by Lucio Tommaso De Paolis, Antonio Mongelli, 18, p. 186-204.
[2] Presentazione della Performative conference: Pharmakon: Whitch culture?, 28-30/11/2014 in
Ars Industrialis, Association internationale pour une politique industrielle des technologies de l'esprit, <http://arsindustrialis.org/pharmakon-whitch-culture>.[3] Thaller, M., Are the Humanities an Endangered or a Dominant Species in the Digital Ecosystem? An Interview, in : Francesca Tomasi - Roberto Rosselli Del Turco - Anna Maria Tammaro (eds.), Humanities and Their Methods in the Digital Ecosystem. Proceedings of the Third AIUCD Annual Conference (AIUCD2014). Selected papers. ACM, New York, 2015.