In view of a reform copyright law in Europe the role of the libraries is crucial. Libraries today are in a critical transition phase of the global and local economies, policies and laws are socially controversial because are limiting the traditional library services when moved in the digital environment. Digital lending or access to digital collections are conditioned by several barriers imposed by economical market. The creation of digital libraries throught the large-scale digitisation and making available of Europe's cultural heritage contained in the library collections are actions subjected to heavy moral and economical rights. Indeed publicly accessible cultural institutions should be in the public interest as well as in the interest of the cultural and creative sector because are fundamental issues for a scientific progress of science. Some issues are today perceived as priority key for a debate focused on the social role of the libraries in the science to follow the challenges that the regulation of technological innovations can be conformed in the society. The libraries are embedded inside emerging issues concerning the freedom of scientific research. Consequently the Open access, open data and open educational resources are intellectual and political areas of international discussion.
L'attuale legge italiana sul diritto d'autore [1] è ritenuta da più parti inadeguata, se non addirittura anacronistica, in quanto obsoleta nella sua formulazione concettuale. Le ambiguità di fondo che in certi punti la norma presenta la rendono, inoltre, di difficile applicazione. Se è pur vero che una legge non può adeguarsi a situazioni di fluidità sociali o tecnologiche e non può certo consolidarsi su processi evolutivi ancora in corso, è anche vero che, a partire dagli anni '90, numerose sono state le introduzioni "forzate" entro la norma per far posto a "concetti innovativi".
A seguito della necessità di introdurre nuovi supporti o nuove forme dell'informazione, come i programmi per elaboratore e le banche dati, o di far posto a nuovi concetti come la copia privata per utilizzi di fonogrammi e videogrammi, la norma ha subito negli ultimi decenni uno stravolgimento nel suo impianto concettuale originario. Si è trattato di forzature - imposte all'epoca dalle emergenti Direttive Europee sulla proprietà intellettuale originate dal contesto della Società dell'Informazione - che ne hanno scardinato l'impianto, il quale fino ad allora aveva ben retto agli scossoni del tempo e aveva mantenuto una certa coerenza concettuale tra il contenuto dell'opera, forma e supporto nel quale l'opera stessa era incardinata. Gli stessi giuristi a seguito di tutti questi rattoppi provenienti dall'ambito internazionale, da quello europeo e dal versante interno definiscono la norma come "Il mantello di Arlecchino [2].
Tentativi di avere un Codice Unico, una norma che in qualche modo rispettasse anche solo formalmente una certa coerenza strutturale, furono messi in campo dapprima nel 2005 dal Magistrato Giuseppe Corasaniti [3] e successivamente dal Prof. Alberto Maria Gambino. La famosa "bozza Corasaniti" [4] era stata redatta con lo scopo di fungere da punto di partenza per una revisione della legge: si era provveduto - attraverso un gruppo di lavoro che comprendeva anche bibliotecari - a riorganizzare (o per meglio dire riordinare) tutto l'articolato, raggruppando articoli e concetti in modo da avere un testo composto di 200 articoli dal quale partire per gli sviluppi di un Testo Unico. La Presidenza del Consiglio dei Ministri - con una nota del 10 ottobre 2005 a firma Mauro Masi - bocciò il testo, esprimendo parere negativo per motivi di merito e di forma.
Un successivo tentativo fu fatto negli anni 2007-2008 con lo scopo di creare un inventario della legislazione esistente per realizzare l'adeguamento anche terminologico alle innovazioni tecnologiche. A capo di questa impresa fu posto il prof. Alberto Maria Gambino [5], il quale aveva disposto l'istituzione di due Commissioni speciali. La prima concentrata sul rapporto tra nuove tecnologie e proprietà intellettuale. La seconda focalizzata sulla revisione della legge sul diritto d'autore. Furono coinvolti, oltre agli attori noti, società per la gestione dei diritti, autori ed editori, le associazioni di categoria, compresa l'Associazione Italiana Biblioteche (AIB), quella dei consumatori, Frontiere Digitali, in un modello di dialogo e costruzione della norma aperto e collaborativo attraverso l'uso di un Wiki appositamente creato. Anche questo tentativo fallì con la caduta del Governo e tutto il lavoro fatto rimase appeso.
Se nell'impianto originario della legge 633/1941 vi era un certo equilibrio tra la tutela dei diritti d'autore e l'accesso all'informazione anche attraverso le biblioteche, a partire dagli anni 2000 il delicato equilibrio si rompe a tutto vantaggio delle lobby di mercato e a sfavore della ricerca, didattica, ma soprattutto a pagarne lo scotto sono i servizi bibliotecari.
Negli ultimi anni, sia la WIPO o OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà intellettuale), sia l'Unione Europea, pur non abbandonando la ricerca di soluzioni affidate ad accordi volontari tra i principali portatori d'interesse, hanno posto in agenda la revisione e il rafforzamento delle "eccezioni e limitazioni" al diritto d'autore. In Italia, la questione è particolarmente problematica, poiché la formulazione delle eccezioni e limitazioni previste dalla L. 633/1941 è in molti casi ambigua e orientata al formato del documento, piuttosto che allo scopo dell'utilizzazione [6]. I cambiamenti dei modelli economici entro il mercato dell'informazione hanno comportato la revisione - a discapito dell'interesse collettivo di accesso all'informazione come bene comune - di tutto l'apparato delle libere utilizzazioni che negli anni 2000 si è trasformato in limitazioni e eccezioni ai diritti.
Le libere utilizzazioni furono così definitivamente cassate con il decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 68, ed è curioso come molti giuristi ancora oggi parlino del capo V [7] citando le libere utilizzazioni, dove appunto prima era collocata la biblioteca pubblica, come luogo aperto di conoscenza. Se a ciascun diritto possono corrispondere una o più eccezioni o limitazioni dei diritti, va anche sottolineato che va posta differenza tra eccezione e limitazione del diritto (d'autore), quest'ultima pur non richiedendo autorizzazione ai detentori dei diritti, necessita di compenso (anche forfetario).
Le eccezioni (o limitazioni) ai diritti d'autore possono riguardare categorie definite, come appunto le biblioteche, o condizioni particolari come l'uso personale (fotocopie, copia privata fonogrammi e videogrammi), la ricerca, didattica, o situazioni di svantaggio. Curioso come la ricerca sia bellamente ignorata dalla norma. E' qui che dovrebbe imperare una solida clausola sull'accesso aperto alla ricerca. Di fatto la norma cita "motivi di ricerca" solo in abbinamento al termine (obsoleto) "terminali" nell'art. 71ter:
Art. 71-ter: 1. E' libera la comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali aventi tale unica funzione situati nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico, degli istituti di istruzione, nei musei e negli archivi, limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza.
Altrettanto curiosamente, anche la didattica è completamente assente, se non per l'eccezione prevista - nota come eccezione "degradata" per l'aggiunta all'art. 70 - per l'uso di immagini a bassa risoluzione o degradate, a scopi didattici, introdotta pochi anni fa da un decreto ad hoc, dopo alcuni casi che avevano fatto assai discutere il popolo della rete.
Art. 70 1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o scientifico di cui al presente comma.
Le biblioteche in sostanza "esistono" - nella norma - come eccezioni, come del resto la ricerca e la didattica. Il termine "biblioteche" compare nella norma solo tre volte e precisamente nelle tre eccezioni: art. 68 fotocopie, 69 prestito, 71ter messa a disposizione di terminali per uso di ricerca. La legge italiana andrebbe riformata anche in merito alla spinosa questione delle news, che tocca la sfera del diritto d'autore e giornalismo. Anche sul fronte delle eccezioni per le rassegne stampa, la norma denuncia tutta la sua obsolescenza, non considerando gli aspetti correlati alle nuove tecnologie, ma soprattutto alla luce delle nuove formazioni sociali di rete che avanzano, scavalcando da tempo confini di proprietà e sconfinando in territori aperti.
E' emblematico il recente caso della chiusura del servizio di rassegna stampa che da decenni gli archivisti di Camera e Senato fornivano non solo a onorevoli, ma anche a giornalisti e cittadini. Nell'era dell'informazione "open" la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica oscurano il servizio delle rassegne stampa online. Le ragioni del diritto d'autore prevalgono sul diritto di accesso all'informazione, a seguito delle pressioni degli editori, preoccupati che la libera diffusione in rete degli articoli potesse danneggiare le vendite dei quotidiani in edicola.
Le normative nei singoli stati membri sul diritto d'autore nella società dell'informazione - nonostante l'attività di armonizzazione europea operata dalle Direttive - sono tuttora frammentarie. La Commissione Europea, lo scorso ottobre, ha pubblicato un riepilogo delle attività per la revisione del sistema del copyright in Europa al fine di giungere, nel 2014, alla decisione se cambiare alcune direttive, elaborare una nuova direttiva (una specie di codice europeo del diritto d'autore) o promuovere l'aggiornamento del sistema del copyright tramite forme di soft law (e quindi senza cambiare le direttive). Il documento è una sorta di Roadmap [8] che sottolinea l'importanza della digitalizzazione di collezioni di biblioteche e archivi nel fornire opportunità di consultazione di contenuti da remoto ma soprattutto nell'incrementare sfide e opportunità in termini di intermediazione culturale con i nomali canali nel mercato economico.
A supporto di una revisione normativa è stata lanciata l'iniziativa Licences for Europe, [9] con l'obiettivo di individuare soluzioni concrete per promuovere l'accesso online e la "portabilità" dei contenuti al di là delle frontiere. Quattro i campi d'azione:
1. Accesso transazionale ai servizi di musica e video online,
2. Contenuti generati dagli utenti
3. Disponibilità in rete dei film e audiovisivi europei
4. Attività di text and data mining finalizzata alla ricerca scientifica
Le biblioteche partecipano ai tavoli tramite EBLIDA (European Bureau of Library Information and Documentation Associations) che si occupa di coordinare la European Copyright User Platform (ECUP), un'azione concertata le cui finalità sono di aumentare la consapevolezza sul diritto d'autore, stimolare le discussioni, predisporre modelli di clausole contrattuali per l'utilizzo dell'informazione su supporto elettronico. In quella sede si sta predisponendo un documento per la riforma nel sistema del diritto d'autore in Europa.
Ad oggi le Direttive sulla materia sono dieci, le ultime due non ancora recepite in Italia:
La direttiva sul riuso dell'informazione pubblica - di cui al paragrafo seguente - deve essere recepita dagli stati membri entro il 18 luglio 2015, ma in Italia si sono succeduti recentemente alcuni provvedimenti normativi che ne hanno anticipato i contenuti, entro un insieme organico di decreti che hanno toccato gli aspetti della pubblicità e trasparenza dei dati della pubblica amministrazione [10].
In merito ai dati aperti è stata approvata dal Parlamento europeo il 26 giugno 2013 la Direttiva europea 2013/37/UE sulle norme di utilizzo del patrimonio informativo del settore pubblico, intese a rafforzare l'accesso alle informazioni degli enti pubblici anche con l'utilizzo di nuove applicazioni. La nuova direttiva, rivolta principalmente alle istituzioni di conservazione come biblioteche, archivi e musei, modifica la precedente 2003/98/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo 24 gennaio 2006 n. 36 e introduce un netto cambio di rotta:
Le biblioteche, i musei e gli archivi detengono una notevole quantità di preziose risorse di informazione del settore pubblico, in particolare dal momento che i progetti di digitalizzazione hanno moltiplicato la quantità di materiale digitale di dominio pubblico. Tali raccolte del patrimonio culturale e i relativi metadati possono costituire una base per i prodotti e servizi a contenuto digitale e hanno un enorme potenziale per il riutilizzo innovativo in settori quali la formazione e il turismo.
La direttiva fornisce indicazioni sul formato europeo per i dati di biblioteche, musei e archivi nei progetti di digitalizzazione in partenariato con soggetti privati per accelerare i tempi di accesso al patrimonio culturale da parte dei cittadini, e garantendo diritti di esclusiva a partner privati per periodi di tempo limitati a massimo dieci anni per i materiali di dominio pubblico. Si istituiscono nuovi diritti sui dati pubblici, sancendo il generale principio di riutilizzabilità degli stessi nel rispetto della proprietà intellettuale e della privacy e introducendo il principio di disponibilità dei dati/documenti, in qualsiasi formato o lingua.
La nuova direttiva, non ancora recepita in Italia, è da considerarsi necessario strumento di armonizzazione minima nel contesto dell'Unione europea, utile a liberare grandi quantità di dati da tutti i paesi in particolare nel settore della cultura che, in Europa, vede una presenza e un ruolo pubblici assolutamente preminenti.
Una riforma della legge sul copyright viene invocata non solo in Italia o in Europa, ma anche in ambito anglosassone, in particolare a seguito della necessità di poter dar corso a progetti di digitalizzazione del patrimonio scientifico posseduto dalle biblioteche. Il dibattito attorno al caso Google Libri ha alimentato la necessità di trovare forme e modi alternativi alla rigida struttura della gestione dei diritti, relative autorizzazioni e prima ancora individuazione dei detentori, procedure difficili e strade improbabili nella maggior parte dei casi che impediscono la costruzione di biblioteche digitali.
Nei progetti di digitalizzazione il materiale da digitalizzare può comportare numerose complessità, legate appunto alla gestione dei diritti. Vi possono essere testi che ricadono nel pubblico dominio, ambito di non facile identificazione, opere orfane, libri in commercio e quindi tutelati a doppia mandata (diritti d'autore sommati a diritti editoriali) oltre a una buona fetta di testi posseduti da biblioteche, non più reperibili nel mercato e raggiungibili solo tramite il prestito bibliotecario, i cui diritti commerciali sono scaduti, ma comunque soggetti a diritti d'autore.
Il quadro è assai complesso e non è facile per utenti e biblioteche capire per un'opera consultata chi ne detiene i diritti, fino a quando, che tipo di diritti... Di conseguenza non è facile rispettare dei diritti se non è chiaro a chi questi diritti appartengano e fino a quando.
La mappa evidenzia che il 20% delle opere (monografiche) possedute dalle biblioteche è di dominio pubblico (zona verde). Questa percentuale non è uguale in tutti i Paesi in quanto le norme e i relativi meccanismi che accordano le tutele variano da Paese a Paese [11]. Il territorio libero può essere quindi più o meno ampio, con grosse differenze tra USA e Europa. Nella zona relativa ai titoli coperti da qualche forma di diritto (zona gialla pari a circa l'80%), abbiamo testi riconducibili alle opere in commercio (zona rossa) dove si scatenano le guerre degli ebook condotte sui dispositivi mobili, sui formati, sull'impossibilità di erogare prestiti digitali. Nella parte restante (zona grigia) abbiamo tutti i testi fuori commercio e quindi fuori diritti editoriali, ma ancora coperti dal diritto d'autore, che dura 70 anni dopo la morte. La parte grigio-chiara si riferisce alle opere orfane, grande tematica calda anche in Europa, in particolare a seguito della recente direttiva europea.
Il pubblico dominio è un commons, un bene comune di inestimabile valore, un bene indispensabile che - come il nostro ambiente naturale e il patrimonio fisico - merita di essere esplicitamente riconosciuto, protetto e apprezzato. Ogni anno decine di autori (e le loro opere) - uscendo dai termini di protezione del copyright - entrano in questo territorio libero dove le produzioni intellettuali sono liberamente fruibili e condivisibili senza restrizioni e possono concorrere alla costruzione di nuova conoscenza. Ma non è così in tutto il mondo. È noto che le peculiarità delle norme sul diritto d'autore presentano differenze più o meno marcate nelle diverse giurisdizioni europee e comportano durate di protezione differenti da Paese a Paese. Non solo, ma notevoli sono anche le differenze rispetto al sistema anglosassone noto come copyright.
L'ironico fotomontaggio Classe del 2013 [12] sta a indicare tutti quegli autori che dal 1 gennaio 2013 ricadono - assieme a tutte le loro opere - nel dominio pubblico in tutti quei paesi dove vige la regola dei settant'anni dopo la morte (per la maggior parte Paesi membri dell'Unione Europea, Brasile, Israele, Nigeria, Russia, Turchia ...). Si tratta di tutti gli autori morti nel 1942 in conseguenza, direttamente o indirettamente, delle persecuzioni razziali e le cui opere stanno per esser ripubblicate in edizioni anche digitali in modo più o meno lucrativo.
Le opere orfane sono opere assoggettate al regime di protezione del diritto d'autore, che si presume non siano di pubblico dominio, ma i cui titolari dei diritti sono sconosciuti o introvabili [13]. Il 13 settembre 2012 è stata approvata dal Parlamento Europeo e passata al Consiglio d'Europa per l'applicazione negli stati membri, la nuova direttiva sulle opere orfane che trae origine dalla raccomandazione sulla digitalizzazione e l'accessibilità online del patrimonio culturale pubblicata nel 2006. La direttiva dovrebbe rendere più sicura e semplice per le istituzioni pubbliche, come musei e biblioteche, la condivisione delle opere orfane con il pubblico, in quanto va a regolamentare uno dei tanti e diversi aspetti che intervengono nei progetti di digitalizzazione.
La direttiva, non ancora recepita in Italia, presenta ambiguità di fondo nell'individuazione dei titolari dei diritti, procedura lunga e complessa e spesso con esiti incerti e, non da poco, nella responsabilità di chi si carica dell'onere - peraltro assai costoso - di digitalizzare opere che magari sono ancora soggette a diritto d'autore. Numerose le critiche che hanno definito la direttiva non sufficientemente ambiziosa, in quanto oltre ai costi che una ricerca diligente comporta, sarebbe comunque troppo rischioso per le biblioteche e gli archivi accollarsi la responsabilità di eventuali richieste di risarcimento danni, al riapparire del titolare dei diritti.
Se lo scopo della norma sarà favorire l'accesso a queste opere, dando certezza legale alle biblioteche sulla legittimità dell'utilizzazione effettuata, i compensi dovuti ai titolari dei diritti eventualmente ricomparsi dovranno essere sostenibili e corrisposti solo in caso di dimostrabile e significativo pregiudizio subìto per effetto dell'utilizzazione (si veda in tal senso il considerando 35 della Direttiva 2001/29/CE) [14].
La direttiva sulle opere orfane non comprende quei casi che riguardano la digitalizzazione dei testi fuori commercio, ma ancora soggetti a diritto d'autore, che non attraggono più l'interesse del mercato editoriale, sono magari andati al macero ma compongono il 70% del patrimonio delle biblioteche accademiche che servono prevalentemente la ricerca.
Al di là degli orfani e dei confini posti dal pubblico dominio, altre guerre di diritti imperversano nel territorio tra diritti editoriali e diritti d'autore. Da una parte i libri in commercio, dove nuovi modelli economici ruotano attorno agli e-book, in piattaforme e formati di distribuzioni tra i più vari verso dispositivi mobili sempre più sofisticati, dall'altra i testi raggiungibili fisicamente solo nelle biblioteche i cui diritti impediscono la loro libera circolazione entro il mercato.
Nel contesto bibliotecario, ma anche nella ricerca e didattica, sono varie le criticità che tale rigido assetto comporta. Non sono poche le case editrici che - per motivi correlati ai diritti - hanno imposto alle biblioteche regole restrittive al prestito degli e-books o addirittura che rifiutano di vendere e-book alle biblioteche. Il prestito bibliotecario è un servizio di base per garantire a tutti il diritto alla lettura ed è uno strumento fondamentale di promozione culturale. Questo diritto dev'essere garantito anche in ambiente digitale. Non troppo tempo fa la Penguin Books annunciava uno stop alle pubblicazioni digitali e ai prestiti online. Il modello Harper Collins limita a 26 downloads i prestiti digitali effettuabili da una biblioteca, mentre in Italia il distributore Edigita li limita a 60 per copia acquistata, file che rimane per sempre utilizzabile per archivio, uso on site in biblioteca ed eventualmente a scopo di deposito su device con i limiti di DRM fissati.
La clausola nota come esaurimento del diritto o diritto di prima vendita consente lo scambio, il regalo, il prestito e ovviamente la vendita dell'usato consentendo un mercato parallelo del libro (i noti mercatini dei libri usati) o il normale prestito tra persone. Nello "specifico digitale", il file non è soggetto a tale clausola proprio perché staccato dal mezzo fisico, ma troneggia la regola one copy-one user: laddove una copia sia stata presa a prestito nessun altro la può scaricare.
Se da un lato gli editori reimmettono sul mercato un numero maggiore di titoli grazie ai libri elettronici e alla stampa su richiesta (area rossa della mappa), dall'altro molti titoli restano confinati nelle collezioni e negli archivi delle biblioteche d'Europa (area grigia), in quanto si tratta di testi fuori commercio. Gli editori non possono sostenere le spese per commercializzare e immagazzinare libri che non vendono bene, in particolare libri accademici, di nicchia che sono presenti solo come copie a stampa negli scaffali delle biblioteche. Allo scopo nel 2011 era stato messo a punto dalla Commissione Europea un documento apposito, il MoU Memorandum of Understanding (MoU) on Key Principles on the Digitisation and Making Available of Out-of-Commerce Works [15].
Si tratta di poter digitalizzare quell'ampia zona grigia attualmente inaccessibile e che comprende testi andati al macero e presenti solo nelle biblioteche. Si tratta di una priorità a favore del progresso scientifico e tecnologico [16]. Per questo, sarebbe opportuno che l'Europa non si limitasse a regolare la digitalizzazione e la messa in rete delle opere orfane; una riforma dovrebbe poter consentire, a determinate condizioni, la digitalizzazione di tutte le opere fuori commercio presenti nelle collezioni di biblioteche, archivi, musei e altri istituti culturali.
Proprio lo scorso 14 novembre 2013 il Giudice Danny Chin del Tribunale di New York ha emesso la tanto attesa sentenza [17] nettamente a favore del progetto Google, le cui motivazioni si fondano sulla prevalenza della tutela dell'interesse pubblico rispetto agli interessi editoriali. E' una vittoria decisiva del Fair Use e delle biblioteche accademiche, un piccolo passo verso una visione più innovativa del diritto d'autore, anche se per ora limitato agli Stati Uniti. Il Giudice accoglie in pieno la tesi di Google sostenendo da una parte che gli editori non subiscono danni economici dalla digitalizzazione di testi per i quali non hanno dimostrato l'interesse a mantenerli vivi nel tempo, dall'altra sottolineando come la digitalizzazione del progetto Google non vende né copie digitali dei libri fuori stampa, né gli snippet estratti e tanto meno è presente pubblicità nelle pagine web a corredo del titoli dei testi. Anzi la digitalizzazione consente agli utenti della rete di scoprire nuovi libri e nuovi autori che prima erano confinati nella loro fisicità a un eterno oblio. L'audace sentenza è di notevole portata storica e sicuramente avrà un impatto anche in Europa.
Lo sfruttamento delle versioni digitali è un business che fa gola a molti soggetti della catena editoriale. In Paesi come la Francia - entro il progetto ReLire Registre des livres Indisponibles en réédition électronique [18] - il processo di individuazione dei testi fuori commercio è demandato alla Bibliothèque Nationale de France (BnF), mentre il processo di distribuzione delle versioni digitali è affidato a una società di gestione collettiva dei diritti. Anche nel caso delle edizioni digitali per non vedenti non è tutto oro quel che luccica.
L'accesso alla conoscenza passa anche attraverso la consapevolezza che si debba rovesciare la logica delle cosiddette eccezioni, tra le quali anche l'accesso alle opere da parte delle categorie svantaggiate. Ad oggi soltanto il 5% dei libri pubblicati nel mondo - meno dell'1% nei Paesi in via di sviluppo - è disponibile in formati accessibili per gli oltre 287 milioni di non vedenti e ipovedenti (in termini tecnici, visually impaired persons, persone con danni visivi) che non hanno accesso alla cultura nei supporti a stampa e in video, essendo inabilitate alla lettura per disabilità fisica.
L'OMPI [19] comincia a considerare il problema dell'accesso ai libri da parte dei non vedenti nel 2004, a seguito delle pressioni sorte in seno a un gruppo di accademici, esperti legali, politici, premi Nobel, scienziati, sviluppatori di software, bibliotecari, organizzazioni internazionali, che si riuniscono nel 2004 per discutere il futuro della WIPO. Il documento noto come la "Dichiarazione di Ginevra per il futuro della WIPO", sottoscritto da oltre 700 organizzazioni e personalità di tutto il mondo, [20] getta le basi per i lavori sulla linea "Access to knowledge A2K and the WIPO Development Agenda". Pur continuando a collocare la discussione "teorica" entro la sfera delle eccezioni al diritto d'autore, e tentando di trovare un modo per armonizzare tali eccezioni a livello internazionale, nel 2007 in seno alla terza conferenza A2K l'assemblea generale WIPO adotterà 45 raccomandazioni (alcune delle quali ricadono sull'argomento pubblico dominio) [21].
Nel giugno 2013 la comunità internazionale, così come rappresentata in seno alla WIPO, approva il Trattato di Marrakesh per facilitare l'accesso alle opere pubblicate delle persone cieche, con disabilità visive o con altre difficoltà di lettura dei testi a stampa. Comprensibile quindi che esso sia stato accolto con molto entusiasmo soprattutto per le conseguenze significative per quanto attiene l'accessibilità di testi fondamentali per l'educazione, la formazione e la crescita culturale delle persone beneficiarie in quei paesi in cui ancor oggi la loro fruizione è condizionata da difficoltà economiche e vincoli legali, ma per essere attuato deve essere ratificato dai singoli stati. È importante quindi che i governi, le istituzioni educative, formative e culturali, i centri di produzione e le organizzazioni rappresentative si attivino per trarre il massimo vantaggio possibile da questo nuovo strumento internazionale.
Il processo di ratifica entro l'Unione Europea però è particolarmente lento e complicato (non è chiaro chi deve fare cosa e quando). Prima che inizi il processo di ratifica i 28 Stati membri dell'UE devono dare il via libera per la firma del trattato da parte del Consiglio dell'Unione europea [22]. Simonetta Vezzoso - Osservatore in WIPO per l'AIB Associazione Italiana Biblioteche - in questo stesso numero di Bibliotime tratta approfonditamente la questione del Trattato e delle difficoltà di ratifica in Europa. La Commissione europea e il Consiglio dovranno decidere se la ratifica del trattato è di competenza esclusiva dell'UE o di "competenza mista" con gli Stati membri. Se la competenza è condivisa, tutti i 28 Stati membri dovranno ratificare il trattato singolarmente [23].
A livello italiano, ci dice appunto Vezzoso, il Regolamento attuativo dell'articolo 71-bis, emanato con Decreto ministeriale del 14 novembre 2007, n. 239 e che si riferisce alla categoria di disabilità sensoriali (difficoltà connesse al funzionamento di organi sensoriali, quali vista ed udito) non è del tutto allineato con le categorie di beneficiari di cui all'Articolo 3 del Trattato di Marrakesh, e ciò implica la necessità di modifica tale decreto al fine di estenderlo alle altre disabilità.
Creare leggi sul copyright adatte a tutelare le attività nelle università e nella ricerca e nei servizi erogati dalle biblioteche accademiche e di ricerca è ormai imprescindibile. Potremmo parlare di un quadro normativo specifico per un copyright scientifico, che preveda due linee di sviluppo:
Servono norme e regolamenti che diano indicazioni chiare agli amministratori degli enti per una gestione del copyright responsabile nell'interesse dell'istituzione e non solo di soggetti privati. Con le attuali norme sembra che si siano tutelati più gli interessi delle lobby di mercato che la ricerca e l'educazione. Laddove si rafforzano le tutele di qualcuno si restringono le libertà di tutti...
La maggior parte delle ricerche è finanziate con fondi pubblici. Gli autori che pubblicano i risultati delle loro scoperte sulle prestigiose riviste che costano migliaia di euro per un anno di abbonamento cedono i diritti gratuitamente in esclusiva a terzi soggetti del mercato, solitamente grossi editori. Le istituzioni, per poter avere accesso ai contenuti, sono costrette ad acquistare - pagando quote pazzesche sempre con fondi pubblici di ricerca - tramite le proprie biblioteche. Un paradosso a cui il movimento Open Access da decenni sta tentando di porre rimedio.
Lo scorso 17 luglio la Commissione Europea ha emanato due importanti documenti sull'accesso aperto all'informazione scientifica rivolti agli Stati membri. Il primo è la "Comunicazione COM (2012) 401 final", Towards better access to scientific information: boosting the benefits of public investments in research" [24], che definisce gli obiettivi di una policy sull'accesso aperto ai contenuti della ricerca finanziata nel corso del programma quadro Horizon 2020 (Orizzonte 2020). Il secondo è la "Raccomandazione 2012/417/UE" [25] "sull'accesso all'informazione e sulla sua conservazione", pubblicata in GUCE L 194/39 e che fornisce il contesto di applicazione della policy stessa.
La Commissione pone l'accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche come principio generale di Orizzonte 2020, il programma quadro dell'UE per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione per il periodo 2014-2020. L'intenzione è di estendere l'obbligo di deposito per tutte le pubblicazioni scientifiche risultanti da progetti finanziati in Orizzonte 2020 in tutti settori disciplinari. Queste misure integrano un'altra importante Comunicazione della Commissione, anch'essa emanata il 17 luglio 2012, focalizzata sulla realizzazione dello Spazio europeo della ricerca (SER), un mercato unico della ricerca e dell'innovazione in Europa per migliorare la circolazione, la concorrenza e la collaborazione transfrontaliera fra ricercatori, istituti di ricerca e imprese.
È interessante sottolineare come sul portale Research Italy [26] del Miur vi sia una pagina in cui si parla di Open Access, comprendendo in ciò anche gli open data, una "modalità di pubblicazione dei risultati scientifici ormai molto diffusa e utilizzata, [...] fortemente sostenuta dall'Unione europea (Ue)". Per raggiungere l'obiettivo, si legge nel documento, le pubblicazioni finanziate dai fondi di Hit2020 [27] saranno rese accessibili secondo una delle due modalità previste dalla Raccomandazione europea:
E' importante sottolineare che dallo scorso ottobre 2013 anche in Italia esiste una norma per garantire l'accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica finanziata con fondi pubblici [28]. Il testo della norma è stato formulato nella sua versione definitiva a seguito di vari emendamenti presentati in Senato, interventi che ne hanno peggiorato l'impianto originario, in particolare in merito al periodo di embargo degli articoli, allontanandolo dalle raccomandazioni europee (citate precedentemente).
Anche se resta la soddisfazione per questo primo risultato, mantenere un embargo più lungo rispetto ad altri Paesi comporterebbe un tasso di citazioni più basso per le pubblicazioni degli autori italiani, una restrizione che non gioverebbe di certo, in termini di impatto, alla ricerca del nostro Paese. "L'accesso aperto ai risultati di ricerca è universalmente riconosciuto come uno strumento per ottimizzare e potenziare l'attività di ricerca - ha sottolineato Ilaria Capua, virologa e ricercatrice - e l'Italia non può continuare ad essere il fanalino di coda anche nell'attuazione di strategie che riguardano le politiche della ricerca".
A titolo di paragone in Germania, negli stessi giorni, è stata varata una norma simile, anche se meglio formulata. La legge tedesca sul diritto d'autore è simile a quella italiana e sarebbe stato opportuno - e vantaggioso - emulare una simile impostazione per il disposto normativo sull'accesso aperto in Italia. La discussione al Senato [29] è stata piuttosto faticosa, a causa dei numerosi emendamenti che hanno tentato di svuotarne o indebolirne fortemente il contenuto. Con la brillante formulazione tedesca - che lascia all'autore la facoltà di decidere se e dove rendere accessibili i propri articoli - il diritto d'autore resta nelle mani dell'autore stesso, risolvendo così alla base molti dei problemi emersi con altre policy OA formulate da altri Paesi.
Tuttavia, in parallelo alla conversione del decreto "valore cultura", il Parlamento ha approvato nell'Ordine del giorno del 3 ottobre l'impegno del Governo [30] a modificare in questo senso la norma appena attuata. Come sottolinea MariaChiara Pievatolo, la vicenda della norma italiana sull'OA - il suo stesso essere collocata nella materia museale dei beni culturali e non in quella attiva della ricerca - è sintomo e indice di un rischio: se l'OA italiano viene imposto come l'ennesimo adempimento burocratico è destinato a fallire, prima nello spirito e poi, probabilmente, anche nella lettera.
La rivoluzione digitale e la cultura del remix hanno avuto un impatto su tutti i processi connessi alla gestione della conoscenza, inclusa l'educazione. Il movimento dell'educazione aperta ha tratto ispirazione da tre fattori principali:
A dieci anni di distanza dalla prima conferenza, in cui era stato definito il termine OER, in occasione della conferenza 2012, UNESCO pubblica la Dichiarazione di Parigi sulle OER che, in dieci punti, incoraggia le istituzioni a creare piattaforme per la diffusione delle OER. In Italia entro il Gruppo OA in seno alla CRUI [32] si sta analizzando la presenza e/o applicazione di OER nei corsi universitari e nelle piattaforme e-learning, anche in relazione ai recenti sviluppi di forme didattiche open come la flipped classroom (classe rovesciata) e in relazione al nuove fenomeno dei MOOC (Massive Open Online Courses).
Riproduzione digitale, consultazione di opere digitali, uso di piattaforme per e-book, prestito digitale (digital lending), manifestazioni per la promozione culturale di opere su vari supporti anche digitali: audio, video... sono tutte attività che nella biblioteca pubblica richiedono inoltre un notevole potenziamento infrastrutturale: reti, accesso Wi-Fi...
L'Europa ci chiama e richiama su questo punto. Ma non solo biblioteche digitali focalizzate su opere di dominio pubblico, mi riferisco a Europeana, OpenLibrary, InternetArchive... E' opportuno ripensare al sistema diritti proprio per poter digitalizzare soprattutto quel materiale che non è più in commercio ma che è linfa vitale per la biblioteca accademica e di ricerca, ancora soggetto a diritto d'autore, introvabile, magari al macero, che sopravvive solo negli scaffali fisici delle biblioteche e che compone quasi il 70% del patrimonio delle biblioteche di ricerca.
Urge quindi una riforma sul diritto d'autore che preveda ampi spazi per il patrimonio culturale inteso come bene comune. Un'agenda legislativa per l'epoca digitale: Copyright 2.0? Un Codice che tenga conto delle innovazioni tecnologiche e di mercato da una parte, ma anche e soprattutto della necessità di costruire biblioteche digitali come patrimonio collettivo in progetti di digitalizzazione nazionali ed europei.
Antonella De Robbio, CAB Centro di Ateneo per le Biblioteche - Università degli Studi di Padova, e-mail: antonella.derobbio@unipd.it
* Il presente articolo è stato presentato come relazione testuale al convegno "Left or Right: diritto d'autore e open data in Europa", organizzato dal filosofo ed europarlamentare Gianni Vattimo e tenutosi a Torino il 15 novembre 2013 (cfr. <http://www.leftoright.eu/>). Il convegno ha voluto essere un momento di sintesi dello stato dell'arte. Con questo intento, inoltre, il gruppo ALDE realizzerà una pubblicazione degli atti che sarà divulgata all'interno e all'esterno del Parlamento Europeo.
[1] Legge 22 aprile 1941 n. 633 Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio (G.U. n.166 del 16 luglio 1941).
[2] Luciano Menozzi, Il mantello di Arlecchino. Il diritto d'autore, 2001, vol 72, n. 3.
[3] All'epoca Presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d'autore presso il Ministero dei beni e le attività culturali
[4] Una versione del testo è ancora disponibile sul sito di Interlex <http://www.interlex.it/copyright/bozzagcor.htm>.
[5] Allora Presidente del Comitato Consultivo Permanente per il diritto d'autore, dopo Corasaniti.
[6] <http://wiki.aib.it/aibpermibac:diritto-d-autore>.
[7] La rubricazione attuale è la seguente: Capo V - Eccezioni e limitazioni / Sezione I - Reprografia ed altre eccezioni e limitazioni [artt.65-71quinquies, compreso 68bis] / Sezione II - Riproduzione privata ad uso personale [artt.71sexies-71octies] / Sezione III - Disposizioni comuni [artt. 71nonies-71decies].
[8] <http://ec.europa.eu/governance/impact/planned_ia/docs/2014_markt_005_copyright_aquis_en.pdf>.
[9] L'iniziativa, promossa congiuntamente dai commissari Michel Barnier (Mercato interno e servizi), Neelie Kroes (Agenda digitale) e Androulla Vassiliou (istruzione, la cultura, il multilinguismo e politiche giovanili) è stata annunciata nella Comunicazione "Content in the Digital Single Market" del 18 Dicembre 2012, <http://ec.europa.eu/internal_market/copyright/docs/copyright-infso/121218_communication-online-content_en.pdf>.
[10] A riguardo si veda Antonella De Robbio, Operazione trasparenza per le amministrazioni pubbliche, "Il Bo", 13 maggio 2013, <http://www.unipd.it/ilbo/content/operazione-trasparenza-le-amministrazioni-pubbliche>; Id., Da marzo, dati aperti nella pubblica amministrazione. Con qualche domanda, "Il Bo" 20 maggio 2013, <http://www.unipd.it/ilbo/content/da-marzo-dati-aperti-nella-pubblica-amministrazione-con-qualche-dubbio>.
[11] Si veda la mappa del Pubblico Dominio: <http://publicdomainday.org/sites/www.publicdomainday.eu/files/World_copyright-terms.jpg>.
[12] Pubblicato nel numero di dicembre 2012 di The Public Domain Review, <http://publicdomainreview.org/2012/12/11/class-of-2013/>. Sono Bruno Schulz, scrittore e pittore polacco; Robert Musil, scrittore e drammaturgo austriaco; la scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery, autrice di numerosi libri per l'infanzia; l'austriaco Stefan Zweig, che tra gli anni venti e gli anni trenta è stato uno degli scrittori più famosi del mondo; Edith Stein religiosa e filosofa tedesca dell'Ordine delle Carmelitane Scalze (in religione Teresa Benedetta della Croce), morta ad Auschwitz-Birkenau, assistente di Edmund Husserl e studiosa di Martin Heidegger.
[13] Per un approfondimento sulla direttiva si veda: Antonella De Robbio, L'Europa mette on line le opere orfane, "Il Bo", 28 settembre 2012, <http://www.unipd.it/ilbo/content/leuropa-mette-line-le-opere-orfane>.
[14] <http://wiki.aib.it/aibpermibac:diritto-d-autore>.
[15] European Commission - IP/11/1055, 20/09/2011, Diritti d'autore: la Commissione media un accordo per aumentare la disponibilità del numero di libri fuori commercio <http://ec.europa.eu/internal_market/copyright/out-of-commerce/index_en.htm>.
[16] Sia la Direttiva che il MoU prevedono l'utilizzo delle opere per finalità culturali e scientifiche e ampie garanzie di tutela degli interessi morali e patrimoniali degli autori, ivi compreso il diritto di vietare l'uso dell'opera. Vi è poi la Raccomandazione della Commissione sulla digitalizzazione e l'accessibilità in rete dei materiali culturali e sulla conservazione digitale del 27 ottobre 2011, che incoraggia gli stati membri a rivedere il loro sistema normativo in modo tale da favorire i progetti di digitalizzazione di massa.
[17] Il testo, che si compone di 30 pagine, è raggiungibile a <http://publicknowledge.org/files/google%20summary%20judgment%20final.pdf>.
[18] Si tratta del progetto ReLire: il programma francese per la digitalizzazione di Stato <http://relire.bnf.fr/>.
[19] OMPI, in italiano Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale, WIPO in inglese.
[20] Per la traduzione italiana della Dichiarazione si veda <http://www.aib.it/aib/editoria/n17/0509ginevra.htm>.
[21] Lista di discussione internazionale per seguire il dibattito, <http://lists.keionline.org/pipermail/a2k_lists.keionline.org/>.
[22] Ad oggi oltre 57 Paesi nel mondo incluso USA (ma non l'Europa) hanno sottoscritto il Trattato WIPO di Marrakesh, ma nessun Paese lo ha ancora ratificato. Perché esso entri in vigore è richiesta però la ratifica di 20 stati, dopo di che qualsiasi stato potrà aderirvi [cfr. l'articolo di Simonetta Vezzoso in questo numero di Bibliotime].
[23] L'articolo 18 del Trattato stabilisce che l'entrata in vigore del testo negoziato a Marrakesh avvenga a seguito della ratifica di almeno venti paesi contraenti.
[24] <http://www.kowi.de/Portaldata/2/Resources/fp/2012-com-access-scientific-information.pdf>.
[25] <http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:194:0039:0043:IT:PDF>.
[26] <https://www.researchitaly.it/fare/ricerca-e-societa/comunicare/>.
[27] Horizon2020 Italia.
[28] Si tratta del disposto normativo contenuto nell'art. 4 del Decreto "valore cultura" (DL 8 agosto 2013, n. 91 "Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo"), approvato definitivamente dalla Camera il 3 ottobre 2013 e convertita con modificazioni dalla Legge 7 ottobre 2013, n. 112, <http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2013;91>. Si veda in proposito Antonella De Robbio, L'Open Access è legge anche in Italia, "Il Bo", 25 ottobre 2013, <http://www.unipd.it/ilbo/content/l%E2%80%99open-access-e-legge-anche-italia>.
[29] <http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede_v3/Ddliter/comm/41869_comm.htm>.
[30] Una richiesta di modifica sottoscritta dai deputati Ilaria Capua e Stefano Quintarelli proprio per riallineare la neonata norma italiana ai tempi europei; cfr. <http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=7498&stile=7>.
[31] Il termine Copyright 2.0 viene usato dal Prof. Ricolfi per intendere una nuova visione per un copyright innovativo entro una cornice WIPO per una Convenzione di Berna 2, appunto 2.0.