Academic Journals' evaluation in HSS is fairly debated in the recent years, and even the advantages brought by Open Access in these sectors are under discussion, especially those concerning dissemination and scientific value. This research aims to present new reflections about Italian journals of Area 10, by comparing the ministerial classifications of the last three years and the amount of periodicals listed in DOAJ. It results that Italian OA publications in these fields are progressively renown and positively valuated: notwithstanding they are still not characterized by a huge level of diffusion, both for quantity and for subjects covered.
Ampiamente discusse sono le problematiche dell'uso dell'Open Access per l'ambito umanistico. Pur di fronte alla possibilità di ampia e rapida circolazione delle pubblicazioni, tradotta per il singolo utente nel vantaggio di disporre direttamente sui propri dispositivi di numerosi testi scientifici [1], tale pratica si scontra non solo con solide e radicate idee sulla qualità e sulla forma dei testi, ma anche con perplessità sull'effettivo vantaggio, in termini di diffusione, del prodotto della ricerca [2].
Si sono così venuti a creare schieramenti di specialisti, talvolta fortemente contrapposti, a sostegno dei diversi modelli di pubblicazione [3], anche se la maggior parte degli studiosi del settore, che vivono l'Open Access piuttosto passivamente, percepisce tale problematica in maniera meno marcata, senza criticare, sostanzialmente, l'opera di classificazione operata negli ultimi anni, e senza fuggire nemmeno la possibilità di libero accesso alle pubblicazioni scientifiche.
Non sembra infruttuoso, dunque, seguire questa linea e cercare una sorta di dialogo tra queste due tendenze, non necessariamente opposte, analizzando la classificazione delle pubblicazioni italiane ad accesso aperto di area umanistica nelle liste ministeriali di periodici degli ultimi anni, cercando di vedere se e come è mutato l'approccio nei loro confronti. Naturalmente si è consci di come sia impossible sostenere una completa sovrapposizione tra i due ambiti, conoscendo lo scarto esistente tra le due tradizioni editoriali per quantità di titoli prodotti e per copertura temporale, come ben visibile nelle ricche liste di periodici di fascia A [4]. Il panorama Open Access stesso presenta una marcata variabilità interna, che rende complessa una classificazione del tipo di documenti e delle loro modalità di distribuzione [5] e che è difficilmente gestibile da un utente non completamente avvezzo alla questione.
Un tentativo di ordinamento del settore è stato approntato dalla Directory of Open Access Journals, che garantisce, a livello internazionale, la qualità delle riviste Open Access ad essa iscritte, rendendole facilmente consultabili dal singolo ricercatore [6]. L'operato della Directory, pur con le necessarie distinzioni, si può ritenere in un certo senso analogo a quanto svolto dagli elenchi ministeriali delle riviste, poiché fornisce non solo uno strumento di raccolta e di orientamento nel settore, ma anche un primo metro di giudizio sul valore del prodotto scientifico.
Alla luce delle criticità sopra esposte, e pur nella consapevolezza che DOAJ non raccoglie in sé tutte le riviste Open Access esistenti, si è scelto di utilizzare i dati pubblicati dalla Directory per questo approccio di analisi "pratica" del valore delle riviste ad accesso aperto, confrontando i periodici da essa censiti con quelli resi noti nelle liste ministeriali dell'Area 10 nel periodo 2013-2015 [7]. Si è scelto di focalizzare l'analisi sulle pubblicazioni italiane per avere la massima tangenza tra i due elenchi, considerando i diversi criteri di selezione delle due liste: lo spoglio dei dati, aggiornato ai primi giorni del gennaio 2016, ha permesso di individuare 104 riviste italiane umanistiche comprese nella Directory ed afferenti ai settori disciplinari presi in esame.
A livello generale, si nota che, come facilmente immaginabile, le riviste inserite in DOAJ sono piuttosto giovani, nate per lo più, oltre il 70%, dopo il biennio 2003-2004, anni delle dichiarazioni di Berlino e Messina, e in un numero consistente nell'ultimo quinquennio. È possibile vedere in tale quadro un riflesso della progressiva distribuzione capillare del mezzo informatico tra i ricercatori, piuttosto che una sempre più solida presa di coscienza, da parte degli studiosi, del fenomeno Open Access. Quest'ultimo aspetto viene piuttosto suggerito dal "ritardo" di iscrizione alla Directory rispetto all'anno di nascita della rivista, che col tempo si riduce sempre di più, specialmente nell'ultimo decennio, attestandosi quasi esclusivamente tra gli zero e i tre anni.
Interessanti informazioni giungono dall'analisi ponderata alla luce dei liste rese note dall'agenzia ministeriale. È difficile tenere in grande considerazione il dato che l'ampia maggioranza delle riviste sia reputata scientifica fin dal 2013, fatto dovuto sicuramente alla data di fondazione spesso ben anteriore all'ultimo triennio. Solo il 15% dei periodici selezionati entra in graduatoria a partire dal 2014: per lo più questi sono fondati in un periodo assolutamente recente, oppure sono affiancati ad una rivista cartacea di diverso codice identificativo [8].
Vario è poi il quadro offerto dal rapporto tra gli anni di inserimento delle riviste all'interno di DOAJ e gli elenchi ministeriali. Se circa il 75% dei periodici, a causa del ristretto lasso di tempo interessato dall'opera valutatoria, era già stato listato dal repertorio internazionale al momento dell'inclusione nel numero delle riviste scientifiche, le rimanenti testate, tra cui non mancano anche titoli di lunga storia, sono state aggiunte alla Directory solo negli ultimissimi anni, contemporaneamente o in seguito all'avvenuta classificazione ministeriale [9].
Un panorama così tratteggiato permette di sottolineare come, tra le riviste ad accesso aperto, vi sia una rapida e riconosciuta affermazione di standard qualitativi condivisi e certificati, anche tra le testate più giovani. Le tendenze evidenziate, inoltre, consentono da un lato di confermare gli standard selettivi di DOAJ, che annovera al suo interno periodici già considerati scientifici dal ministero, dall'altro di riconoscere l'adesione delle riviste sia ai livelli qualitativi condivisi, e ben valutati in ambito perlomeno nazionale, sia e soprattutto al sistema di diffusione digitale che la Directory rappresenta.
Pur nella non perfetta sovrapposizione tra i "Subjects" ricercabili on-line ed i settori disciplinari utilizzati in ambito ministeriale, che porta ad uno spostamento di alcune riviste in altre aree non bibliometriche qui non considerate, sembra che nelle liste di periodici scientifici non figuri una ridotta manciata di titoli, riferibili soprattutto a diverse branche dell'architettura e dell'arte, nati nella quasi totalità negli ultimi anni e spesso a carattere piuttosto divulgativo [10]. È pertanto possibile che per questi motivi non abbiano affrontato l'iter valutativo accademico, o che, al contrario, non detengano sufficienti requisiti di scientificità.
L'analisi delle riviste contenute in DOAJ permette di evidenziare una situazione nel complesso abbastanza positiva per le testate ad accesso aperto, pur con le criticità sollevate. Più confortante, in un certo senso, è il numero dei periodici inseriti nelle tabelle della fascia A, visto che, rispetto al totale delle riviste considerate in quest'analisi, il numero delle testate eccellenti si fissa su un rapporto di uno a quattro [11]. Tale valore è leggermente più alto, pur con i necessari distinguo riguardo a numerosità e caratteristiche del campione, del rapporto complessivo della globalità delle riviste classificate nella fascia A [12].
Di questo 25% del totale, più della metà era presente nel gruppo delle riviste eccellenti fin dal 2013, mentre le restanti sono state aggiunte negli anni successivi, soprattutto nell'ultima tornata di valutazione. Non è così scontato il fatto che le riviste di più lunga storia editoriale abbiano un maggiore impatto di valutazione, dal momento che solo poco meno della metà dei periodici eccellenti è contraddistinto da un'attività superiore al decennio [13], mentre una quindicina circa di testate è di più recente fattura, con pochi numeri, anche meno di tre-quattro annate, all'attivo. Infatti, pur considerando che un periodo di soli tre anni non sia del tutto sufficiente per una esaustiva analisi diacronica, si nota una diffusa coincidenza tra le date di inserimento nelle liste delle riviste scientifiche e in quelle di eccellenza. Poche sono le eccezioni con ritardo nel riconoscimento dell'alto profilo scientifico, limitate a scarti puntuali evidenziati soprattutto nel più recente processo di valutazione.
Gli aspetti considerati, alla luce della linea evolutiva presentata più sopra, indicano sostanzialmente che le riviste ad accesso aperto presentano i requisiti per essere considerate fin da subito di alto livello, tanto quanto le riviste tradizionali. Nei meno frequenti casi di ritardo di questo riconoscimento, si nota comunque una certa rapida adesione alle indicazioni ministeriali, da ritenersi un sicuro elemento di pregio.
A conclusione dell'analisi, sembra possibile prendere le considerazioni emerse, se non come giudizio complessivo sull'universo delle riviste ad accesso aperto, come un'ulteriore prova dei criteri di qualità garantiti dalla DOAJ, giustificando a posteriori, in un certo senso, quella scelta di parzialità del campione considerato di cui si è detto in apertura.
Non vi sono dubbi che la scelta ristretta alla Directory non abbia considerato la globalità del settore, ma ha nondimeno fornito spunti di riflessione sul valore e sull'utilità della pubblicazione ad accesso aperto, per settori disciplinari non pienamente ricettivi alla problematica e per ricercatori che, da utenti passivi, si trovano a dover interagire con tali strumenti. Infatti le ora centrali classificazioni ministeriali, da un lato, e la nota e accessibile DOAJ, dall'altro, sono strumenti di comodo utilizzo che non costringono lo studioso a disperdere le ricerche in repertori più complessi o settoriali [14], navigando in diversi siti internet, ciascuno con una propria copertura tematica, con diversi criteri di raccolta di testi e con diverse tipologie e quantità di dati liberamente disponibili [15].
Pur con tutti questi aspetti che rendono estremamente variabile il quadro complessivo della problematica e che esulano dall'analisi qui proposta, l'approccio seguito per queste considerazioni ha permesso di concludere, in ultima analisi, che le pubblicazioni italiane ad accesso aperto in area umanistica non sono di scarso valore scientifico, né sembrano essere inferiori, a livello di valutazione ministeriale, rispetto alle pubblicazioni tradizionali [16].
Resta semmai aperta la questione del numero ridotto dei titoli considerati, una minima parte rispetto al copioso elenco nelle tabelle di riviste scientifiche. Risulta perciò auspicabile che, per una migliore analisi e più accurate riflessioni, aumenti nel futuro il numero delle riviste Open Access e migliori la loro indicizzazione in comodi ed ampi repertori, garantendo così una maggior copertura dei numerosi settori tematici che contraddistinguono le HSS.
Luca Scalco, Università degli Studi di Padova, e-mail: scalco.luca@gmail.com
[1] Pur con la problematica legale, come già sottolineato in Anna Maria Tammaro - Alberto Salarelli, La biblioteca digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2006, p. 277-288; Giuseppe Vitiello, Il libro contemporaneo, Milano, Editrice Bibliografica, 2009, p. 193-201. Si aggiunga il più recente "problema" di Academia, che tuttavia chiarisce la sua posizione, <https://www.academia.edu/copyright>.
[2] Si veda ad esempio Enrico Zucchi - Luca Scalco, Quale futuro per le riviste accademiche? Valutazione, open access e distribuzione: una tavola rotonda patavina sull'accesso aperto e sulla valutazione nei settori umanistici (aree 10-11), "Bibliotime", 17 (2014), 3, <http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-xvii-3/zucchi.htm>.
[3] A titolo d'esempio si veda l'editoriale de "La rivista di Engramma", <http://www.engramma.it/eOS2/index.php?id_articolo=21>. Sulla problematica in area francese si veda il recente rapporto IPP: Maya Bacache-Beauvallet - Françoise Benhamou - Marc Bourreau, Le revues de sciences humaines et sociales en France: libre accès et audience, Rapport IPP N°11- Juillett 2015, p. 33, <http://www.ipp.eu/publication/juillet-2015-revues-sciences-humaines-et-sociales-shs-en-france-libre-acces-et-audience/>.
[4] Elemento cruciale per la ricerca umanistica, cfr. ad es. Matteo Romanello, New Value-Added Services for Electronic Journals in Classics, "JLIS", 2 (2011) 1, <leo.cineca.it/index.php/jlis/article/view/4603>; Paola Galimberti, Qualità e quantità: stato dell'arte della valutazione della ricerca nelle scienze umane in Italia, "JLIS", 3 (2012) 1, p. 5617-9, <http://leo.cineca.it/index.php/jlis/article/view/5617>.
[5] Diversi sono ad esempio i tipi di riviste disponibili in formato digitale, da periodici "gold" di recente fattura ad annate storiche di riviste tradizionali (è il caso ad esempio delle riviste francesi presenti in Gallica <http://gallica.bnf.fr/>). Inoltre da tempo editori tradizionali investono in questo tipo di pubblicazioni, indicizzando le riviste in diversi motori di ricerca e repertori. Tra essi, molto noti e utilizzati sono JCR e SJR, su cui sono state già effettuate valutazioni sulle testate italiane (Cfr. Andrea Capaccioni - Giovanna Spina, La presenza delle riviste italiane di area umanistica e sociale nel Journal Citation Reports (JCR) e nello SCImago Journal Rank (SJR): dati e prime analisi, "JLIS", 3 (2012) 1, 2012, segnatamente p. 4787-4-6, <leo.cineca.it/index.php/jlis/article/download/4787/5353>).
[6] <
[7] Presenti, pressoché annualmente, alla pagina <http://www.anvur.org/index.php?option=com_content&view=article&id=254&Itemid=623&lang=it>. Per i dati in DOAJ si sono spuntati i seguenti filtri: Journals, Country of Publisher = Italy. Le riviste sono classificate per ISSN e non per nome. La scelta del triennio è giustificata dalla necessità di avere elenchi piuttosto numerosi ed omogenei, successivi ai primi pubblicati e alla relativa serie di polemiche e revisioni.
[8] Doppio ISSN caratterizza ad esempio gli "Annali della Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania", inserita tra 2013-2014, "Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia", aggiunta tra 2014-2015, e "Historika", in elenco tra 2013- 2015.
[9] A mero titolo di esempio cfr. la rivista "Philomusica" <http://www.paviauniversitypress.it/rivista/philomusica-on-line/3>.
[10] Non si tiene conto delle riviste a doppio ISSN di cui è presente in elenco un solo codice identificativo, ad esempio IpoTESI di Preistoria (print), con la versione on-line valutata scientifica per l'area 10.
[11] Risultano doppie, nella versione online e cartacea, "Historika" e "Studi Slavistici", mentre è inserita nella Classe A, solo la versione online di "Je-LKS", peraltro annoverata tra le eccellenti dell'Area 11 <http://www.je-lks.org/> .
[12] <www.anvur.org/attachments/article/254/RegDocumentodiAccompagnam~.pdf>
[13] Quasi tutte le riviste, tranne minime eccezioni, sono state inserite nella fascia A già dal 2013.
[14] Oltre ai noti Scopus e WOS, con l'ultimo prodotto Emerging Sources Citation Index, sono noti numerosi strumenti open di varia natura, come la Electronic Journals Library, con testi accessibili e non, (<http://rzblx1.uni-regensburg.de/ezeit/index.phtml?bibid=AAAAA&colors=7&lang=en>), o altri cluster di siti, articoli e giornali a carattere tematico, come Ancient World Online (<http://ancientworldonline.blogspot.it/>).
[15] Problema complementare, come accennato, è la digitalizzazione di annate storiche delle riviste, che rimangono comunque utili alla ricerca umanistica (come il progetto BIASA, <www.periodici.librari.beniculturali.it >).
[16] A titolo indicativo Maria Cassella, Social peer-review e scienze umane, ovvero "della qualità nella Repubblica della scienza", "JLIS", 1 (2010) 1, <http://leo.cineca.it/index.php/jlis/article/view/30>; Maria Cassella, Open Access e comunicazione scientifica, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, p. 46-47; Mauro Guerrini - Gianfranco Crupi, L'open access: work in progress, "JLIS", 3 (2012), 2, p. 8676-2, <http://leo.cineca.it/index.php/jlis/article/viewFile/8676/7818>.