«Bibliotime», anno XIV, numero 2 (luglio 2011)

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Anna Galluzzi

Il servizio bibliotecario pubblico è un bene meritorio? Riflessioni a margine del volume di Stefano Olivo La gestione delle biblioteche in Italia



Abstract

Stefano Olivo's book, titled La gestione delle biblioteche in Italia, gives the readers the opportunity to reconsider the role of Italian public libraries in the juridical and administrative framework of this country. In particular, the author highlights how the public library services could be correctly positioned in relation to the categories of public and private goods and proposes their theoretical affiliation to the 'merit goods'. Going through the main phases which have characterised the history of public libraries in Italy and the description of the current management trends, some considerations about the future of public libraries are proposed.

L'accesso diretto alle risorse informative da parte dei singoli cittadini, consentito dalla diffusione dei nuovi media, solleva numerosi interrogativi in ordine al futuro di un'istituzione destinata secondo alcuni osservatori a disciogliersi nel mare dell'informazione. Si tratta di un dibattito reso attuale dalla crescente tensione tra risorse destinate allo sviluppo delle politiche pubbliche e l'emergere dal corpo sociale di nuovi e complessi bisogni. La riflessione inerente la funzione socio-culturale delle biblioteche pubbliche varca quindi il ristretto ambito biblioteconomico e professionale per assumere i connotati della valutazione di sostenibilità economica e amministrativa. In tutti i Paesi occidentali ad economia avanzata, i servizi bibliotecari gravano sul bilancio pubblico in ragione della funzione formativa ed informativa ad essi tradizionalmente attribuita. Sicché, alla luce tanto della moltiplicazione dei canali d'accesso alla "conoscenza" quanto del progressivo e costante declino degli indici di fruizione da parte del pubblico, non è apparso peregrino interrogarsi circa l'opportunità di lasciare alle dinamiche di mercato il soddisfacimento di bisogni che le biblioteche non appaiono più idonee ad assicurare, atteso che, come ebbe ad osservare nel 1994 un portavoce del ministro inglese dei Beni Culturali: "In un mondo in cui nessuno può vantare di poter offrire un'informazione completa [...] non è più necessario che [le biblioteche] siano l'unico mezzo di accesso all'informazione" [1].

Non conoscevo il libro di Stefano Olivo, né sapevo che si trattasse dell'opera vincitrice dell'edizione 2009 del "Premio Bibliographica", bandito dalla Biblioteca di Sardegna con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Mi è capitato virtualmente tra le mani nel cercare su Internet informazioni e occasioni di approfondimento sul tema dei rapporti tra i percorsi storici dello stato sociale e le biblioteche pubbliche e sul loro posizionamento giuridico-amministrativo in relazione alle categorie di pubblico e privato.

Le lettura dell'introduzione da cui è estratto il brano citato in apertura mi ha convinto che potesse trattarsi di una lettura stimolante nell'ambito delle riflessioni che andavo facendo sul tema delle prospettive future del servizio bibliotecario pubblico. Non v'è dubbio infatti che un'analisi - teoricamente fondata - sugli scenari che possono caratterizzare le biblioteche pubbliche nel medio e lungo termine, debba tener conto di almeno due fenomeni di contesto, l'evoluzione della dinamica pubblico/privato e le conseguenze su finalità e contenuti dello stato sociale, e l'affermarsi dell'economia della conoscenza all'interno della network society.

Di quest'ultimo tema si parla ampiamente e da tempo nella letteratura italiana e straniera sulle biblioteche, sebbene spesso in termini in qualche modo semplicistici (dando per acquisiti nessi concettuali che non necessariamente lo sono nell'opinione dei non addetti ai lavori) o puramente tecnologici (senza tener conto delle complesse dinamiche socio-economiche che sono causa e conseguenza delle innovazioni tecnologiche).

Rispetto alla dinamica pubblico/privato e al rapporto delle biblioteche pubbliche con le sorti del welfare nelle società occidentali mi pare invece che la riflessione sia piuttosto limitata, sebbene abbia cominciato ad essere fortemente sollecitata dalle conseguenze della crisi economica manifestatasi a partire dagli anni 2007-2008 [2].

Da questo punto di vista il contributo di Stefano Olivo mi pare particolarmente interessante, in quanto ci propone un'analisi e un approccio che di solito i bibliotecari tendono a disdegnare, quello giuridico-amministrativo, anche grazie al fatto che l'autore ha una formazione personale composita che contempla - accanto a quella biblioteconomica - una laurea in Scienze Politiche. Il punto di vista dell'autore è totalmente interno al contesto italiano, rispetto al quale il suo studio aiuta non solo a chiarire il percorso storico che le biblioteche pubbliche hanno alle spalle nel nostro Paese, ma anche a interpretare il presente alla luce di questo percorso. Alcuni elementi che emergono dalla sua analisi possono però certamente essere utilizzati come strumenti interpretativi più generali allo scopo di comprendere il posizionamento delle biblioteche pubbliche e individuare le motivazioni socio-politiche del difficile momento che esse stanno attraversando in buona parte del mondo occidentale.

Il volume si articola in quattro capitoli, completati da un'introduzione e una conclusione.

Il primo capitolo propone un approfondimento sulla definizione e l'evoluzione normativa dei servizi pubblici locali in Italia, a partire dalla "legge sulle municipalizzazioni" del 1903, passando per le indicazioni contenute nel dettato costituzionale e per i cambiamenti della normativa sugli enti locali (soprattutto a seguito della costituzione delle Regioni), fino ad arrivare all'impatto della legislazione comunitaria sull'impianto normativo italiano, alla riforma costituzionale del 2001 (e conseguente giurisprudenza interpretativa) e al nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004.

Tale approfondimento, nel ricostruire il quadro normativo di riferimento delle biblioteche pubbliche italiane, ne mette in evidenza l'ambigua categorizzazione che da sempre oscilla tra il concetto di "servizio pubblico privo di rilevanza economica" e quello di "bene culturale", rendendo poco trasparente il posizionamento di queste biblioteche nel panorama giuridico nazionale, nonché poco chiaro il loro ruolo agli occhi dei cittadini.

Nel secondo capitolo, dedicato alla vocazione funzionale e al ruolo sociale della biblioteca pubblica in Italia, l'autore ripercorre la storia di questo istituto nel nostro Paese dalla nascita fino alla crisi contemporanea. È proprio nella lettura e nel tentativo di interpretare le difficoltà attuali della biblioteca pubblica che - dal mio punto di vista - emerge il contributo più interessante e più originale del lavoro di Olivo, in particolare nell'interpretazione della biblioteca come bene meritorio e sistema autopoietico.

Nel parlare della biblioteca come bene meritorio è necessario innanzitutto richiamare alcuni concetti sviluppati dalla teoria giuridico-economica nel tentativo di classificare i beni in quel continuum che va dal pubblico al privato e che presenta dei tratti di complessità che - per chi si occupa di biblioteca pubblica - non si possono ignorare.

Secondo la classificazione tradizionale dei beni di Paul Samuelson [3] e di Richard Musgrave [4], richiamata dall'autore, il bene pubblico puro è un bene non rivale e non escludibile, ossia un bene la cui fruizione da parte di un individuo non impedisce né impoverisce l'uso di un altro e dal cui utilizzo non si può escludere nessuno. All'altro capo del continuum vi sono i beni privati, caratterizzati da perfetta rivalità ed escludibilità, quindi beni a fruizione individuale e incompatibile con il consumo da parte di altri. All'interno di questo continuum - come spesso accade in questi casi - è molto difficile identificare esempi di beni pubblici e beni privati puri e quasi tutti i casi reali stanno nel mezzo. Dunque, la maggior parte dei beni è caratterizzata da quella scarsità che è la condizione in cui si determina la cosiddetta "tragedia dei beni comuni", ossia l'esaurimento del bene a causa dell'accaparramento da parte degli individui (il fenomeno dei free riders). In questa situazione, la soluzione da sempre adottata dalle comunità organizzate è l'affidamento a un soggetto terzo, che - a seconda dei casi - può essere lo stato (e sue articolazioni) o il mercato. Il criterio principale in base al quale si determina l'opportunità dell'assunzione del bene/servizio sul bilancio pubblico (e la sua proprietà e/o gestione pubblica) o l'affidamento alla libera dinamica di mercato è rappresentato dalle esternalità, ossia dalle ricadute che un certo tipo di bene o servizio ha (o può avere) sulla collettività nel suo complesso, oltre che evidentemente dalla rilevanza economica dello stesso.

Maggiori sono le esternalità positive, maggiore è la probabilità che si riscontri un fallimento del mercato e, dunque, l'opportunità che il bene/servizio sia affidato al settore pubblico. All'interno dei beni caratterizzati da rilevanti esternalità positive, si riconoscono le categorie dei "beni sociali puri" e dei cosiddetti "beni meritori", distinti in base alla coincidenza o meno tra le preferenze individuali e quelle collettive. Nel caso dei beni sociali c'è una sostanziale coincidenza, invece per quello che riguarda i beni meritori la preferenza è espressa solo da una parte della collettività ma l'esistenza di valori condivisi (ossia valori che "il singolo, in quanto membro della comunità, è disposto ad accettare anche qualora questi siano in contrasto con le sue preferenze individuali" [5]) convince il decisore politico a porre a carico del pubblico questi beni.

Così mentre, ad esempio, i servizi di assistenza sanitaria o quelli per la sicurezza dei cittadini sono beni sociali in quanto interessano l'intera collettività, l'istruzione ovvero i parchi attrezzati per i bambini sono beni meritori in quanto, pur essendo fruiti solo da una parte della comunità, sono di solito riconosciuti dall'opinione pubblica come un contributo al miglioramento della qualità di vita della comunità nel suo complesso e - in ogni caso - sono parte integrante dei valori condivisi e accettati dai suoi componenti. Di conseguenza, sono posti a carico del pubblico e finanziati dall'intera comunità. Allo stesso modo, le biblioteche pubbliche - pur essendo teoricamente aperte a tutti - di fatto sono di interesse e vengono utilizzate solo da una parte della popolazione; tuttavia, fin dalla loro fondazione, esse sono state considerate importanti per il raggiungimento degli obiettivi di benessere e democrazia di una società.

Ne consegue che i beni meritori per continuare a restare nella sfera pubblica debbano ottenere un riconoscimento del loro valore economico e sociale, ossia che si possa "dimostrare" l'esistenza di esternalità positive e che queste siano anche percepite e condivise da parte della collettività e del potere politico. Sulla base di questi presupposti, appare condivisibile la conclusione di Stefano Olivo:

Si tratta di uno schema teorico che, riteniamo, fornisce un appropriato fondamento interpretativo alle vicende attraversate dall'istituzione bibliotecaria sino ad oggi e che consente di formulare alcune ipotesi utili a tracciare le linee di un suo sviluppo coerente. Guardare alla biblioteca pubblica come ad un servizio di tipo meritorio, equivale infatti ad interpretare le esternalità che essa produce come la realizzazione dei valori comunitari che contraddistinguono la collettività servita. [6]

Da questa interpretazione che mette la biblioteca pubblica in relazione a un sistema di valori fondamentali che ne salvaguardano l'esistenza come servizio e bene meritorio discende la definizione della stessa come sistema autopoietico. Così si esprime in proposito l'autore:

Se è vero [...] che "il sistema [autopoietico] non può recepire nulla di nuovo dall'esterno senza trasformarsi in qualcos'altro o disgregarsi", la biblioteca che si prestasse ad assorbire indiscriminatamente ogni input esterno, ogni richiesta di prestazioni, per quanto estranee ai suoi presupposti fondanti, smarrirebbe la propria individualità e con essa la qualifica di servizio pubblico. In quanto sistema autopoietico, la biblioteca è quindi tenuta a salvaguardare la conservazione di un vincolo tra servizi erogati e valori cui questi si ispirano e a fondare su di essi una propria coerente autorappresentazione [...]. [7]

Una lettura restrittiva e superficiale di queste parole potrebbe far pensare a un'adesione e una giustificazione di un atteggiamento conservatore da parte della biblioteca pubblica, ma quando si legge che i valori cui l'autore fa riferimento sono quelli del Manifesto IFLA/Unesco, in particolare "istruzione e apprendimento, equità di accesso all'informazione, libertà intellettuale, gestione flessibile, dimensione locale e cooperazione" [8], si comprende che la ratio di questa interpretazione consiste nell'evitare che la biblioteca, nel tentativo di garantirsi una sopravvivenza ad ogni costo, rinneghi se stessa e metta in discussione alcuni dei principi di base su cui è stata fondata e che sono determinanti per il riconoscimento delle sue esternalità positive.

Semplificando, se la biblioteca pubblica ha tra i suoi compiti fondamentali quello di fungere da camera di compensazione delle opportunità informative, formative e di crescita personale per coloro che sono in una condizione di svantaggio (immigrati, anziani, disabili ecc.), l'affermazione di valori politici e sociali di segno diverso (ad esempio, lasciare alla libera dinamica del mercato le possibilità di successo o insuccesso delle persone, senza intervenire con alcun correttivo) non può né deve tradursi in un cambiamento valoriale della biblioteca, perché solo la permanenza dei valori fondativi ne può garantire l'esistenza.

Chiarito il posizionamento giuridico-amministrativo della biblioteca pubblica e il percorso storico che ne ha determinato in Italia una collocazione ambigua e ambivalente, l'autore sposta l'attenzione sulla realtà delle biblioteche pubbliche italiane. Il terzo capitolo contiene infatti un'analisi comparata delle leggi regionali di settore, utilizzando come casi di studio quelli della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia Romagna e della Provincia Autonoma di Trento allo scopo di far emergere modelli giuridico-organizzativi differenti e relativi punti di forza e di debolezza.

Il quarto capitolo costituisce la parte propositiva del volume, attraverso l'individuazione di modelli gestionali e prospettive di sviluppo. Olivo si sofferma in particolare sui sistemi bibliotecari e sulla cooperazione e riflette sull'applicazione dei principi del management alle biblioteche e sulla loro interazione con le dinamiche amministrative in cui la biblioteca pubblica è inserita. Questa parte dell'analisi, pur essendo molto chiara, nonché corredata di esempi e casi di studio, non contiene spunti di riflessione ed elementi di analisi particolarmente originali, a conferma del fatto che, pur in presenza di un quadro interpretativo chiaro della situazione in essere e delle motivazioni che l'hanno determinata, individuare strategie efficaci per il futuro delle biblioteche pubbliche italiane e suggerire dei percorsi che possano incontrare le esigenze degli enti finanziatori, il gradimento dei cittadini e le richieste di professionalità dei bibliotecari non è né banale né scontato, e - come lo stesso Olivo fa notare - in qualche modo ricade al di fuori delle disponibilità della biblioteca stessa come istituzione, cosicché quello dell'autore è più un auspicio che un programma di azione:

Si è [...] creduto di individuare i più promettenti fattori di sviluppo nell'adozione di politiche cooperative promosse su vasta scala, fondate su programmi equilibrati in grado di assegnare a ciascuna struttura un ruolo appropriato alle risorse rispettivamente disponibili, nonché nella costante diversificazione dell'offerta al pubblico perseguita tramite criteri gestionali mutuati dalle discipline di matrice economico-aziendale. [9]

Più densa di suggestioni mi pare invece la riflessione che l'autore propone nelle conclusioni e che fa riferimento a quella che lui stesso chiama l'"ideologia dell'organo burocratico "biblioteca'", definita come "un'aspirazione, se non all'isolamento, quanto meno alla separatezza rispetto all'organizzazione burocratico-amministrativa di cui fa parte. Ad essa soggiace cioè una scarsa inclinazione da parte del bibliotecario italiano a "vivere il ruolo amministrativo" che lo caratterizza ed a gestire le relazioni che da esso derivano." [10]

Accade così che "Per quanto istituzionalmente deputato alla tessitura di una fitta rete di relazioni, il sistema-biblioteca appare poco propenso ad attivare dinamiche negoziali proprio con il gruppo di interesse da cui dipende il suo futuro sviluppo. Nella persuasione di dover limitare le 'incursioni destabilizzanti' della politica a tutela di una vision sviluppata in ambito professionale, i bibliotecari si rivelano quindi sprovvisti di efficaci strategie atte a migliorare la posizione della struttura cui appartengono all'interno del proprio ente." [11]

Del resto, lo scarso interesse dei bibliotecari per gli aspetti giuridico-amministrativi del loro lavoro è un dato piuttosto diffuso e riconoscibile in Italia, tanto che quei bibliotecari che riescono a raggiungere posizioni di vertice nelle loro realtà bibliotecarie (siano esse all'interno degli enti locali o delle università) mal tollerano la preponderanza che la gestione amministrativa tende a prendere sui contenuti tecnico-biblioteconomici e vivono inevitabilmente come un detrimento il fatto di doversi occupare non più solo della biblioteca in senso stretto ma anche di servizi e attività più ampie e collaterali, anche se questo a volte può significare una maggiore possibilità di incidere sulla vita e sul futuro della biblioteca. [12]

In conclusione, la lettura del volume di Stefano Olivo è una lettura stimolante soprattutto all'interno del tentativo di approfondire le possibilità di sopravvivenza della biblioteca pubblica nell'attuale quadro di crisi dello stato sociale e di messa in discussione del ruolo del soggetto pubblico rispetto alla proprietà e alla gestione dei beni sociali e meritori. Questa chiave interpretativa potrebbe anche essere ulteriormente approfondita attraverso la rilettura in chiave critica delle origini della biblioteca pubblica e l'analisi del quadro giuridico-amministrativo nel quale essa ha trovato la propria ragion d'essere allo scopo di verificarne l'attualità e la validità rispetto ai profondi cambiamenti degli equilibri politici, della struttura sociale e delle dinamiche economiche della società contemporanea.

Del resto, riconoscere e rendere esplicito che i concetti di pubblico e privato non sono universali e immutabili, ma vanno storicizzati e inquadrati geograficamente è condizione imprescindibile per una valutazione più corretta del posizionamento della biblioteca pubblica. Inoltre, inserire l'istituzione "biblioteca pubblica" nella categoria dei beni meritori, dichiarandone al contempo un fondamento valoriale molto forte, è la strada migliore per rovesciare quell'approccio sterilmente ideologico che spesso caratterizza i tentativi dei bibliotecari di difendere l'importanza della biblioteca pubblica di fronte al crescente disinteresse socio-politico nei suoi confronti.

Si tratta, in pratica, di riconoscere che ciascun contesto nazionale costruisce un sistema di servizi e mantiene in seno al pubblico un insieme di beni sulla base dell'equilibrio tra due tipi di valutazioni: l'esistenza di valori culturali condivisi e fatti propri dai governi nazionali e l'utilità e opportunità di una gestione pubblica all'interno di una strategia politico-sociale di medio-lungo termine. Lì dove venga meno anche uno solo di questi elementi di valutazione o si determini uno sbilanciamento tra questi fattori, equilibri acquisiti da tempi ormai lunghissimi possono essere rimessi in discussione, tanto più se l'evoluzione tecnologica apre all'orizzonte alternative di tipo diverso per rispondere alle necessità formative e informative da cui l'esigenza di fondare biblioteche pubbliche è nata.

Anna Galluzzi, Biblioteca - Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini", e-mail: anna.galluzzi@gmail.com


Note

[1] Stefano Olivo, La gestione delle biblioteche in Italia. Sviluppo e prospettive di un servizio pubblico locale, Cargeghe (SS), Documenta Edizioni, 2010, p. 9.

[2] Si veda il par. iniziale del Rapporto sulle biblioteche italiane 2009-2010 dal titolo Biblioteche e crisi economica.

[3] Cfr. Paul A. Samuelson, Economia, Bologna, Zanichelli, 1983.

[4] Cfr. Richard Abel Musgrave, Finanza pubblica, equità, democrazia, Bologna, Il Mulino, 1995.

[5] Ibid., p. 186 (citato in S. Olivo, La gestione delle biblioteche in Italia cit. p. 110).

[6] S. Olivo, La gestione delle biblioteche in Italia cit. p. 110.

[7] Ibid., p. 116.

[8] Ibid., p. 113.

[9] Ibid., p. 296.

[10] Ibid., p. 261.

[11] Ibid., p. 261-262.

[12] Cfr. Costruire nuove biblioteche o un nuovo modo di essere biblioteche? Un percorso italiano attraverso 19 interviste, "Bollettino AIB", 49 (2009), 4, p. 459-482, <http://www.aib.it/aib/boll/2009/0904459.htm>.




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