«Bibliotime», anno XIV, numero 2 (luglio 2011)
Gli stretti rapporti fra tecnologie e biblioteche sono stati accuratamente indagati specie a partire dagli anni Settanta, cioè da quando gli sviluppi dell'informatica hanno dato il via a quella clamorosa svolta che è stata l'automazione bibliotecaria, per manifestarsi con potenzialità sempre maggiori in seguito all'avvento delle reti, alla nascita dei cataloghi collettivi, all'esplosione di Internet e del Word Wide Web, dando così vita agli innumerevoli dibattiti sui concetti di biblioteca virtuale, biblioteca ibrida, biblioteca digitale, per lasciare poi il campo alle applicazioni di natura più condivisa e sociale tipiche del Web 2.0 e del suo "equivalente" professionale che è la cosiddetta Library 2.0.
Numerosi indizi inducono a pensare che siamo alle soglie di un ulteriore passaggio, determinato dall'affermarsi di quel nucleo di tecnologie che vengono ricomprese nella nozione di Web 3.0: una nozione che trova il suo fondamento nella rivoluzionaria idea del web semantico, lanciata da Tim Berners-Lee fin dal 1998, [1] e che oggi si rafforza grazie ai progressi dell'intelligenza artificiale e delle tecnologie 3D, oltre che ai nuovi criteri di strutturazione dei dati disponibili su Internet, in base a cui il web si dovrebbe trasformare in un'immenso e ben organizzato database. Come infatti è stato scritto di recente,
il Web 3.0 non sarà più un semplice contenitore di parole/immagini/filmati, ma un contenitore di concetti, una base di conoscenze dotato di strumenti (tecniche di Intelligenza Artificiale) in grado di cercare con precisione, mettere in relazione, 'capire' automaticamente il significato dei contenuti e di ragionare su di esso, estraendone informazioni. Però per poter operare efficacemente tra le infinite informazioni del web, questo deve essere trasformato in un database. [2]
Perché ciò possa avvenire, è ovviamente necessario che i dati presenti in rete siano "liberamente accessibili a tutti, senza restrizioni di copyright, brevetti o altre forme di controllo che ne limitino la riproduzione": [3] ed è proprio per questo che è nato un vero e proprio movimento per i "dati aperti", [4] assai vicino ad altre filosofie e pratiche "open" quali l'Open Government, l'Open Science, l'Open Source e l'Open Access, e strettamente connesso con forme di cittadinanza attiva o democrazia diretta. Difatti, affermano i sostenitori di questo movimento, porre dei vincoli a un utilizzo aperto dei dati costituisce "un limite al bene della comunità", per cui tali dati "dovrebbero essere resi disponibili senza alcuna restrizione o forma di pagamento". Ma soprattutto è importante che, "dopo essere stati pubblicati, essi siano riutilizzabili senza necessità di ulteriore autorizzazione, anche se determinate forme di riutilizzo (come la creazione di opere derivate) può essere controllato attraverso specifiche licenze (ad esempio Creative Commons, GFDL)". [5]
Per consentire dunque un opportuno uso - e riuso - di questi dati ha preso vita il progetto Linking Open Data, messo in campo dal W3C Semantic Web Education and Outreach (SWEO) Interest Group, e volto per l'appunto a
estendere il Web creando una rete di dati aperti e disponibili a tutti - offerti dall'Open Data Movement - pubblicando in formato RDF insiemi di dati provenienti da diverse sorgenti e connettendone gli elementi definendo le relazioni che esistono tra questi, in modo da poter passare da un informazione ad un'altra a questa legata anche se appartengono a due sorgenti diverse; questa possibilità vale anche per i crawler dei motori di ricerca, facilitando il recupero delle informazioni. Questo progetto copre diversi dominii di riferimento delle risorse ed è un esempio di evoluzione verso il data-web globale, che può essere sfruttato dalle applicazioni semantiche. [6]
È in tale contesto che si collocano gli articoli di Iryna Solodovnik e di Antonella De Robbio e Silvia Giacomazzi, pubblicati nel numero corrente di Bibliotime e tesi ad esplorare i complessi aspetti - di natura tecnologica, culturale e sociale - legati al concetto di linked open data ed alle sue applicazioni ai più diversi ambiti conoscitivi.
E se il primo si focalizza sulle interazioni fra linked open data, metadati e ontologie come "parte della complessa galassia dei linguaggi di comunicazione sul web", il secondo approfondisce le tematiche connesse alla nozione di dati aperti e ai suoi rapporti con gli altri movimenti "open". Fra questi, un'importanza particolare assume la corrente che si rivolge a una specifica categoria di dati, quelli di tipo bibliografico e documentale, e che quindi viene a interessare "i cataloghi delle biblioteche (OPAC), i database e le basi di conoscenza e gli archivi aperti". Difatti i sostenitori dell'iniziativa - che non a caso ha preso il nome di "Open Biblio" - affermano che questi dati dovrebbero essere "aperti e facilmente condivisibili e riutilizzabili", proprio perché legati in maniera immediata e diretta al mondo della conoscenza; l'obiettivo del movimento infatti è quello di "promuovere una cultura solidamente aperta al fine di ottenere, da chi produce meta-informazione in ambito biblioteconomico o delle scienze dell'informazione, dati bibliografici aperti e disponibili liberamente per l'uso e il riuso da parte di chiunque e per qualsiasi scopo".
Ora, di eccezionale rilievo appaiono le potenzialità insite in questa proposta, che può condurre alla creazione di una rete bibliografica di dimensioni inimmaginali, liberamente accessibile e facilmente utilizzabile e riutilizzabile da chiunque in qualsiasi parte del mondo; ciò peraltro consentirebbe di ridurre (e forse di eliminare) le problematiche legate al "deep web", ossia al fatto che i database catalografici sono tuttora inclusi in quella parte del web che è inattingibile dai motori di ricerca, pur costituendo la percentuale quantitativamente e qualitativamente più rilevante dell'intera rete Internet. [7] Infine, un insieme di dati bibliografici rigorosamente organizzato in base ai paradigmi del web semantico verrebbe a costituire una struttura di una densità e una ricchezza senza precedenti, con una quantità di collegamenti tra dati e metadati in grado di aumentare in maniera straordinaria la nostra capacità di accedere alla conoscenza e utilizzarla nelle forme più dinamiche e funzionali. Sarà questa la strada verso la Library 3.0?
Michele Santoro
[1] Tim Berners Lee, Semantic Web Road map, September 1998, <http://www.w3.org/DesignIssues/Semantic.html>. L'idea è stata poi sviluppata nell'articolo di Tim Berners-Lee, James Hendler e Ora Lassila intitolato The Semantic Web. A new form of Web content that is meaningful to computers will unleash a revolution of new possibilities, pubblicato su "Scientific American" il 17 maggio 2001.
[2] Angelo Panini, Verso il Web 3.0?, <http://www.slideshare.net/littlepan/web3-presentation>. Sul tema si veda anche l'omonima voce di Wikipedia, <http://it.wikipedia.org/wiki/Web_3.0 >.
[3] Dati aperti, in "Wikipedia, l'enciclopedia libera", <http://it.wikipedia.org/wiki/Dati_aperti>.
[4] "Gli open data fanno di frequente riferimento a informazioni rappresentate in forma di database e riferite alla tematiche più disparate, ad esempio cartografia, genetica, composti chimici, formule matematiche e scientifiche, dati medici e pratica, delle bioscienze, dati anagrafici, dati governativi, ecc." (ibid.).
[5] Ibid.
[6] Simone Dezaiacomo, Linking Open Data e DBpedia, in "Web 3.0: semantic web e nuove opportunità di marketing", 25 gennaio 2009, <http://semanticweb30.wordpress.com/2009/01/25/linking-open-data-e-dbpedia/>.
[7] Al riguardo si veda tra l'altro The Deep Web, "Internet Tutorial. Your basic guide to the Internet", <http://www.internettutorials.net/deepweb.asp>; Marcus P. Zillman, Deep Web Research 2011, <http://www.deepwebresearch.info/>.
[8] L'espressione Library 3.0 è attestata in letteratura professionale, ma soprattutto come estensione del concetto di Library 2.0, in quanto viene ad includere, in una cornice di social networking, le tecnologie più recenti quali il mobile computing, gli RFID o i codici QR, piuttosto che far riferimento ai presupposti del Web 3.0, che come abbiamo visto sono l'intelligenza artificiale, il web semantico e le tecnologie 3D. Sull'argomento si veda in particolare Woody Evans, Building Library 3.0: Issues in creating a culture of participation, Oxford, Chandos Publishing, 2009; Colleen Kenefick - Susan E. Werner, Moving towards Library 3.0: taking management basics into the future, "Journal of Hospital Librarianship", 8 (2008), 4, p. 464-468; Grace Saw - Heather Todd, Library 3.0: where art our skills?, World Library and Information Congress, 73rd Ifla General Conference and Council, 19-23 August 2007, Durban, South Africa, <http://archive.ifla.org/IV/ifla73/papers/151-Saw_Todd-en.pdf>.
«Bibliotime», anno XIV, numero 2 (luglio 2011)