«Bibliotime», anno XII, numero 1 (marzo 2009)

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Virginia Gentilini

Reference, promozione delle collezioni e opac nelle biblioteche pubbliche: che cos'è una 'bibliografia' nel contesto digitale? *



Riflettendo [1] sull'intersezione del mondo della biblioteca pubblica con quello del digitale, è possibile considerare il tema della bibliografia in due differenti contesti, il reference digitale e la promozione delle collezioni. Oltre a fermarsi su questi due punti, questo intervento cerca inoltre di inserire nella riflessione sul tema della bibliografia alcune considerazioni più generali sulla maniera in cui il digitale modifica forme di lettura e di ricerca, ipotizzando alcune alternative possibili per la promozione delle raccolte delle biblioteche.

Considerando brevemente il contesto del reference - ed in particolare del reference digitale - occorre sottolineare che, fra le varie tipologie di risposta fornite dai servizi del tipo Chiedilo al bibliotecario, la bibliografia intesa in senso classico prevale nettamente, ad esempio, sulla tipologia della domanda fattuale.

La scarsità di domande fattuali, più abituali invece nel mondo del reference anglosassone, si spiega probabilmente sulla base di motivi culturali, che vedono la biblioteca come luogo per studiosi e studenti e non come strumento generale e disponibile a tutta la cittadinanza per reperire informazioni.

In questo senso, i servizi di reference digitale che vedono coinvolte le biblioteche pubbliche si trovano spesso a svolgere funzioni che più correttamente dovrebbero essere svolte dalle universitarie, senza peraltro avere a disposizione la stessa ricchezza di risorse documentarie (paradigmatica è ad esempio la differenza nell'accesso a corpose banche dati a pagamento). Si auspica quindi un maggior livello di coordinamento, se non di cooperazione, fra servizi di reference digitale istituzionalmente differenti. Vista in quest'ottica, è comunque probabile che la forma "bibliografia" mantenga nel tempo la sua vitalità.

Si riporta di seguito un caso reale di domanda arrivata al servizio bolognese Chiedilo al bibliotecario, esempio di cooperazione fra sette biblioteche pubbliche, specialistiche e di associazioni [2], ipotizzando che si tratti di un caso che segnala una linea di tendenza in corso di sviluppo.

Il testo della domanda recita:

Buonasera, per la mia tesi avevo bisogno di trovare alcuni libri sul LINGUAGGIO DI OBAMA durante i suoi discorsi; fino ad ora ho trovato libri che parlano solo della sua vita! Grazie in anticipo per l'aiuto.

La risposta spedita all'utente fornisce per prime alcune indicazioni generali: l'avvertimento di come su fenomeni in corso di svolgimento, quali l'ascesa politica di Barack Obama, non ci si possa aspettare di trovare pubblicazioni critiche approfondite come per temi in qualche modo "storici", e l'indicazione di verificare "in tempo reale" sul catalogo le nuove uscite librarie sul personaggio. Fatta questa premessa, il corpo della risposta è costituito invece dall'indicazione di alcune fonti dirette: una monografia solo presumibilmente vicina al tema specifico (Obama: la politica nell'era di Facebook, di Giuliano Da Empoli), e quattro articoli che non toccano però il linguaggio di Obama ma la sua politica, individuati utilizzando i tradizionali strumenti di spoglio di periodici disponibili in una biblioteca pubblica. La parte più rilevante della risposta è cosituita invece da un elenco di risorse in rete, a vari livelli di aggregazione: il sito ufficiale della campagna elettorale di Obama [3], la lista di risorse in rete dedicate a Obama su Dmoz, Open Directory Project [4], l'account di Barack Obama su Scribd, sito per la pubblicazione e la condivisione di documenti di testo [5], per finire con la voce dedicata al personaggio su Wikipedia, versione inglese [6], specie alle sezioni Written works, References e Further reading.

Quello che si può notare è la prevalenza netta di fonti digitali - ma questo non costituirebbe una sorpresa data l'attualità del tema - e aggregate. Le risorse aggregate sono quelle che forniscono il corpo reale della risposta, e si tratta in tutti i casi di risorse di produzione non bibliotecaria (provenienti cioè da spogli, opac, eccetera) né editoriale nel senso tradizionale del termine.

E' possibile considerare questo caso come un esempio di una tendenza generale dell'evoluzione della ricerca in rete, che può essere descritta intersecando due assi: il primo asse, riferito all'attività di ricerca, è costituito dai due poli opposti di mediazione e autonomia, mentre il secondo, riferito alle risorse documentarie, contrappone unità e aggregazione.

Susan Beatty e Helen Clarke, a cui si deve la definizione di questa tendenza, hanno così descritto in immagini questo processo, nel loro intervento dal titolo Neo Reference: Disjunctive Change (Reference Renaissance Conference, agosto 2008, Denver) [7]:

 

L'idea è che il lavoro tradizionale di reference, incentrato sulla mediazione bibliotecaria e la scelta "una ad una" delle risorse migliori, al limite fino alla scelta della singola voce di enciclopedia, sia progressivamente sopravanzato dalla tendenza a utilizzare risorse ad un livello sempre maggiore di aggregazione (il pacchetto di banche dati anziché la banca dati specialistica) e risorse a cui si possa accedere da soli (Wikipedia piuttosto che la banca dati in abbonamento che richiede la presenza fisica dell'utente ad una certa postazione). Non è naturalmente casuale il progressivo rimpicciolimento dell'immagine che rappresenta il lavoro di reference tradizionale svolto fisicamente in biblioteca.

Va detto peraltro che il passaggio da unità e intermediazione da un lato, verso aggregazione e autonomia dall'altro - dinamica ancora relativamente nuova per la nostra professione - sembra mettere nuovamente in campo il tema della disintermediazione fra risorse informative e professionisti dell'informazione.

Alla domanda se l'autonomia crescente dell'utente nella ricerca renda meno necessario il nostro lavoro, si è risposto in senso negativo già parecchi anni fa, dopo il primo shock causato dall'apparizione della rete. Allora ci si è a ragione detti che l'abbondanza di informazione rende più � e non meno � necessario il nostro ruolo in quanto mediatori e filtri, professionisti capaci di fornire la risposta giusta per la specifica esigenza dello specifico utente.

Ciò che però oggi è mutato nella rete è non solo la presenza di una diversa quantità di informazione disponibile, ma di un modo differente in cui la rete stessa ha cominciato ad organizzare l'accesso a quell'informazione: le enciclopedie online, gli archivi di testi e immagini ricercabili, i repertori di siti internet condivisi a livello mondiale, l'esplosione delle pratiche di social tagging sono esempi di questo processo.

Accennando semplicemente ad un tema già ampiamente trattato da diversi autori [8], si può ricordare come la funzione tesa alla compilazione di strumenti (ad esempio le bibliografie) sia nata in un contesto di scarsità della quantità di informazione e dei canali di comunicazione. Tale scarsità ha richiesto la formazione di professionalità specifiche che hanno cercato di mantenere il controllo del sapere: storicamente hanno svolto una funzione di questo tipo, ad esempio, il clero, l'aristocrazia, gli intellettuali, i giornalisti, i mass media così come i bibliotecari. La domanda che può essere posta a questo punto è se tale funzione possa restare la stessa oggi, in un contesto di abbondanza e di condivisione e di fronte ad utenti che hanno a disposizione risorse nate per consentire l'autonomia di ricerca. [9]

Il secondo contesto in cui si può analizzare il tema della bibliografia è quello della promozione delle collezioni nelle biblioteche pubbliche. La vecchia pratica della "promozione alla lettura" si è riversata in quella di pubblicare bibliografie sui siti delle biblioteche. Prendendo come esempio le Proposte della biblioteca di Sala Borsa, [10] è possibile affermare che le pagine dedicate alle bibliografie hanno un buon successo in termini di statistiche di accesso. Sono noti però i limiti di questo tipo di statistiche che, ad esempio, non chiariscono il rapporto fra accesso e uso effettivo delle risorse, né tanto meno dicono nulla sulle caratteristiche di chi accede alle pagine e sul suo grado di soddisfazione. Più significativo sarebbe forse controllare come cambi il tasso di prestito dei materiali compresi nelle bibliografie dopo la loro messa online, ma al di là di sensazioni e osservazioni di buon senso non pare ci siano raccolte di dati strutturate su questi temi.

Una riflessione più ampia sulla pratica della bibliografia per la promozione delle collezioni può invece tentare di porre una correlazione fra bibliografie e opac. L'ipotesi è che si sia tentati di compilare bibliografie come correttivo alle inefficienze degli opac.

Ponendosi dal punto di vista dell'utente "medio" della biblioteca pubblica, alcuni punti critici degli opac come oggi li conosciamo in Italia ruotano innanzitutto intorno ad un difetto di funzionamento nella ricerca semantica, certamente variabile a seconda delle caratteristiche dei singoli opac (in particolare delle interfacce di ricerca), ma comunque legato alla povertà intrinseca dell'indicizzazione semantica.

Tale relativa "povertà" è ben illustrata dal confronto tra le stringhe formalizzate di parole utilizzate dai linguaggi standardizzati delle biblioteche e le descrizioni bibliografiche presenti sui cataloghi di rivenditori online di libri [11]. Questi ultimi pubblicano infatti per i testi in uscita (certo non per quelli del passato) sintesi e recensioni in linguaggio naturale nati per essere alla portata di tutti.

In alcuni campi fondamentali, inoltre, come quello della narrativa, i nostri opac sono notoriamente del tutto privi di indicizzazione semantica [12].

Infine l'uso estensivo di Google, ormai "incorporato" nelle abitudini quotidiane di chiunque usi la rete con la stessa immediatezza con cui si manda un sms o si scorrono i titoli in prima pagina su un quotidiano, fa sì che, nella ricerca semantica su opac, l'unico campo efficacemente riconoscibile da parte dell'utente finale sia quello della "ricerca libera". Anzi, va ammesso che è proprio il paragone con Google a permettere di spiegare in modo intuitivo e veloce come funzioni la ricerca libera negli opac. Tenendo presente questo, non si può evitare di chiedersi quale uso in prospettiva andrà fatto di campi più raffinati come soggetti e classificazioni.

In generale, l'opac risulta difficile da utilizzare perché nasce privilegiando un'architettura finalizzata prima di tutto al controllo bibliografico. Ciò significa, però, che l'utente "ideale" dell'opac è l'utente intermedio (il bibliotecario), mentre l'utente finale (il cittadino) resta in qualche modo relegato in una posizione secondaria. Poiché l'utente finale non conosce quasi niente dei complessi problemi legati al controllo bibliografico, la sua impressione può essere che l'opac sia semplicemente uno strumento di inventariazione relativo alla semplice presenza/assenza di un certo libro in biblioteca, la cui interrogazione risulti però insensatamente difficile.

La soluzione maestra a questo genere di problemi sembra essere la user education ma, almeno in termini di uso di massa, va forse ammesso come questa non sia una strada sostenibile. E' probabilmente più facile cambiare un opac che cambiare i modi in cui le persone pensano e fanno ricerche in rete.

La strada da percorrere potrebbe invece essere quella degli opac di nuova generazione. Paul G. Weston [13], ad esempio, ha illustrato in diversi interventi le caratteristiche che rendono più dinamici e flessibili questi tipi di opac, che si definiscano opac arricchiti, social opac, o che ci si rifaccia alla parola chiave Googlezon (metà Google, metà Amazon), alludendo ad intefacce di interrogazione che combinano alcune delle caratteristiche di questi due colossi della ricerca [14].

Il tema è stato di recente trattato anche da Agnese Galeffi in Un catalogo "nuovo" per nuovi servizi, in particolare nella sezione dedicata alla qualità dell'opac. Citando Karen Coyle [15], l'autrice riporta questa visione dei possibili sviluppi dei cataloghi:

probabilmente [...] nel futuro la distribuzione dell'informazione da parte delle biblioteche non avverrà tramite il catalogo come lo intendiamo oggi, ma per mezzo di qualcosa di totalmente nuovo che manterrà comunque quelle che sono le funzioni storicamente determinate di questo strumento. Questo processo verrà anche accelerato dall'evoluzione, nell'opinione degli utenti e nel pensiero comune, dall'equivalenza informazione = biblioteca, e quindi informazioni = libri, a quella informazione = web. E' anche per questo motivo che molti cataloghi stanno trasformando la propria interfaccia [...] in portali, integrando ai dati relativi al proprio posseduto, informazioni derivanti da altre fonti. [16]

Tornando al tema della promozione delle collezioni, è inoltre possibile fare un'ulteriore ipotesi. Percorsi di lettura, bibliografie tematiche e strumenti simili vengono compilati per ovviare all'arretratezza relativa di un pubblico che in buona parte non partecipa al mondo digitale e si trova ancora, paradossalmente, in un mondo di scarsità culturale. La domanda "cosa posso leggere di interessante?" - caso tipico del reference nella biblioteca pubblica - sconcerta nel mondo che ci siamo abituati a definire di information overload e che di stimoli ne offre troppi, anziché troppo pochi. Occorre dunque chiedersi se, prima ancora di promuovere le collezioni, non bisognerebbe spingere per un massiccio superamento sia del digital divide che dell'information divide, temi che difficilmente professionisti dell'informazione di qualunque tipo possono considerare estranei ai propri interessi..

Un ultimo elemento che complica il discorso è più specificamente legato alle caratteristiche del mondo digitale e ruota attorno alla "forma" bibliografia nel contesto digitale. Sono già state rilevate le modifiche che il web sta portando alle abitudini di lettura [17]. Quello che non sappiamo ancora è se questo avrà conseguenze sulla lettura in generale - e di quale tipo - oppure no, ma al momento è difficile pensare che non si assisterà ad un cambiamento in qualche modo rilevante.

Sul web la lettura sequenziale ed approfondita tipica della pagina stampata si trasforma in passaggi veloci da una notizia puntuale all'altra, da un punto della rete ad un altro. Con un buon grado di semplificazione, si potrebbe dire che l'unità di misura della lettura online non è il libro, ma neanche l'articolo, bensì post, il pezzo breve, generalmente di taglio descrittivo-informativo, tipico dei blog. Si può parlare quindi di un passaggio da una lettura "in verticale" ad una "in orizzontale", senza però voler attribuire alla lettura orizzontale necessariamente l'idea della superficialità e della carenza di qualità. Si tratta di due forme diverse di fruizione dei contenuti, le cui conseguenze future, anche in questo caso, ci sono ancora sconosciute.

Un contributo alla riflessione intorno a che cosa sia la "forma" bibliografia può venire dall'analisi contenuta in un libro proveniente da un ambito di studi estraneo a quello specifico della biblioteconomia, Everything is miscellaneous: the power of the new digital disorder di David Weinberger [18], che ha per oggetto sono le forme di organizzazione della conoscenza in ambito digitale.

Che tipo di oggetto è una bibliografia? Per un bibliotecario, una bibliografia è l'elenco, tendenzialmente esaustivo, di risorse documentarie su un determinato argomento, a prescindere dalla loro presenza in archivi determinati. Ma ad uno sguardo esterno alla professione, che si soffermi a considerare che tipo di "oggetto fisico" sia una bibliografia, può apparire che la bibliografia sia semplicemente una lista, cioè una specifica organizzazione della conoscenza che può variare dall'elenco nel caso più semplice (ad esempio "cose da comperare per la cena") alla struttura ad albero nel caso più complesso (ad esempio la classificazione di Linneo). La lista è una forma storicamente legata a tecnologie specifiche, quelle della scrittura e della carta.

In questo senso, la bibliografia come tipologia astratta è un elenco determinato da alcune caratteristiche, tutte determinate dai limiti fisici della pubblicazione su carta:

Passando al digitale questi limiti sono superabili, oppure l'origine "cartacea" di questa forma di organizzazione si riversa anche sulla sua traduzione digitale?

Assumendo il punto di vista di Weinberger, si potrebbe affermare che l'ordine di organizzazione della conoscenza in ambito digitale si sposta verso modelli che contraddicono quasi punto per punto le caratteristiche tipiche di che cosa è una bibliografia, almeno per la forma tradizionale in cui la conosciamo.

Prendiamo come esempio "librario" facilmente comprensibile le modalità di ricerca nel catalogo di vendita di Amazon. Fatta una ricerca su Amazon, il risultato è una lista di titoli, cioè una bibliografia - nel senso comune, non professionale, del termine - ma caratterizzata da una forma di organizzazione della conoscenza che è:

Weinberger fa non a caso un esplicito paragone con la classificazione a faccette di Ranganathan. Nella classificazione a faccette nessuna faccetta viene considerata la "radice" di un albero (non esiste una struttura gerarchica), e questo aspetto si adatta molto bene a come funziona il mondo digitale. In Amazon, quello che il motore di ricerca fa è costruire volta per volta uno specifico "albero" on the fly, basato sull'interazione con l'utente, componendo le diverse faccette in un risultato diverso. Questa tecnologia esprime l'idea che la conoscenza non ha una sola forma, ma tante forme quanti sono i punti di vista [19].

La bibliografia tradizionale, con le sue caratteristiche di rigidità e preordinazione, è il contrario di tutto ciò? Per riprendere il paragone fatto, se "l'unità di misura" della lettura online è il post, la miglior forma di organizzazione della conoscenza potrebbe allora non essere la bibliografia, quanto piuttosto un aggregatore di formati RSS, cioè qualcosa che sia composto da notizie puntuali, costruito esattamente sulle necessità del singolo utente, sempre aggiornato e sempre modificabile.

Tornando al tema della promozione delle collezioni nelle biblioteche pubbliche, tentiamo dunque una casistica delle possibili forme di promozione, chiedendoci quale di esse si adatti di più a vivere sul web:

  1. La bibliografia intesa in senso classico (un repertorio esaustivo e svincolato dalla presenza fisica dei documenti che cita): per quanto realizzi al meglio un ideale di completezza e approfondimento, è un modello che cozza contro ogni aspettativa dell'utente medio di ottenere comunque un risultato immediato. L'esperienza quotidiana del reference dice che è problematico persino indirizzare un utente ad un'altra biblioteca della stessa città, e che questo preferirà, in molti casi, una risposta sufficientemente adatta subito, piuttosto che una risposta migliore ma differita. Nei confronti di questo tipo di atteggiamento vanno evitate condanne a priori. Piuttosto, ne andrebbero indagate le ragioni, ad esempio chiedendosi quanto la disponibilità di risposte in rete alteri il panorama complessivo del mondo dell'informazione.
  2. La bibliografia, limitata al posseduto della biblioteca e magari alle sole novità, su un tema scelto da chi si occupa della promozione delle collezioni: questa opzione incarna la forma storica propria della lista stampata unita ad una forma di controllo dell'informazione da parte di una categoria professionale (i bibliotecari), che scelgono temi ed estensione delle bibliografie presumendo che questo incontri gli interessi del loro pubblico.
  3. La segnalazione di singoli testi, articoli, siti legati a temi di interesse generale: si tratta in questo caso di una forma più attuale e più coerente con le caratteristiche della lettura in rete (orizzontale anziché verticale), perché risponde ad un'esigenza di velocità di aggiornamento e di ipertestualità. In qualche misura, il modello che sta dietro a questo tipo di segnalazioni "tematiche" è quello del blog, del diario in continuo aggiornamento. Ciò che resta invece uguale rispetto al passato è il controllo in qualche modo "alla fonte" che i bibliotecari esercitano.
  4. Il risultato di una ricerca su opac di nuova generazione: è l'alternativa che potrebbe associare le possibilità offerte da una semantica arricchita (quella tradizionale biblioteconomica insieme a qualche genere di folksonomy), alle possibilità proprie di un'ipertestualità spinta (con tutti i relativi rimandi ad altre risorse in rete a testo pieno, a recensioni, eccetera). Ciò che inoltre segnerebbe una vera differenza rispetto ai casi visti sopra è che lascerebbe il controllo della produzione dei risultati completamente nelle mani dell'utente finale. Sarebbe l'utente a scegliere l'argomento della ricerca, a scegliere termini da utilizzare che siano per lui familiari e significativi (senza doversi adattare alle nostre formalizzazioni), a scegliere l'ordinamento dei risultati e così via.

In conclusione, va ammesso che in questa riflessione sono emerse più domande di quante risposte siano state date, ma ciò appare d'altra parte coerente con il periodo di intensi mutamenti che viviamo, in cui attestarsi su posizioni di certezza sembra davvero sconsigliabile. Volendo però indicare alcuni punti conclusivi ai quali prestare particolare attenzione, potremmo considerare i seguenti:

Virginia Gentilini, Biblioteca Sala Borsa - Bologna, e-mail: virginia.gentilini@gmail.com


Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario La bibliografia nel mondo digitale, Modena, Biblioteca della Fondazione San Carlo, 16 dicembre 2008.

[1] Si ringraziano per il contributo critico all'elaborazione di questo intervento Fabrizia Benedetti, Anna Galluzzi e Serena Spinelli.

[2] <http://www.bibliotecasalaborsa.it/documenti/8137>.

[3] <http://www.barackobama.com>.

[4] <http://www.dmoz.org/Regional/North_America/United_States/Society_and_Culture/Politics/Candidates_and_Campaigns/Presidential/Candidates/Obama,_Barack/>.

[5] <http://www.scribd.com/barackobama>.

[6] <http://en.wikipedia.org/wiki/Barack_Obama>.

[7] Slide disponibili su <http://www.bcr.org/referencerenaissance/presentations.html>.

[8] Cfr. Clay Shirky, Here comes everybody: the power of organizing without organizations, New York, Penguin Press, 2008.

[9] "When a profession has been created as a result of some scarcity, as with librarians or television programmers, the professionals are often the last ones to see it when that scarcity goes away. It is easier to understand that you face competition than obsolescence" (ibid., p. 58).

[10] <http://www.bibliotecasalaborsa.it/bibliografie/>.

[11] Cfr. David Lankes, Developing an Open Infrastructure for the Greater Good, 2007, slide disponibili su <http://quartz.syr.edu/rdlankes/Presentations/2007/ASIDIC.pdf>.

[12] Cfr. Denise Picci, L'indicizzazione della narrativa: esperienze a confronto, "Bollettino AIB", (2008), 1, p. 25-43, <http://www.aib.it/aib/boll/2008/0801025.htm>.

[13] Cfr. ad es. la sintesi dell'intervento sugli opac di nuova generazione fatto da Paul G. Weston al seminario Bridging the gap: realizzare e diffondere nuovi servizi per creare insieme agli utenti la biblioteca del futuro (o che verrà), tenutosi presso la Cineteca di Bologna il 09.06.2008. Una sintesi non esaustiva dell'intervento si trova su

<http://nonbibliofili.splinder.com/post/17424603/Bridging+the+gap%3A+realizzare+e>. Interessanti anche i commenti al post. Sugli stessi temi cfr. anche Paul Gabriele Weston e Salvatore Vassallo, "...E il navigar m'è dolce in questo mare": linee di sviluppo e personalizzazione dei cataloghi, in La biblioteca su misura: verso la personalizzazione del servizio, a cura di Claudio Gamba e Maria Laura Trapletti, Milano, Bibliografica, 2007.

[14] Per approfondimenti cfr. Karen Calhoun, The Changing Nature of the Catalog and its Integration with Other Discovery Tools, 2006, <http://www.loc.gov/catdir/calhoun-report-final.pdf>; e Karen Markey, The Online Library Catalog. Paradise Lost and Paradise Regained?, "D-Lib Magazine", 1/2, (2007), <http://www.dlib.org/dlib/january07/markey/01markey.html>.

[15] Caren Koyle, The Library Catalog: Some Possible Futures, "The Journal of Academic Librarianship", (2007), 3, p. 414-416. Il preprint dell'articolo è consultabile su <http://www.kcoyle.net/jal_33_3.html>.

[16] Agnese Galeffi, Un catalogo "nuovo" per nuovi servizi, "Bollettino AIB", (2008), 2/3, p. 171-186. Citazione a p. 179.

[17] Cfr. ad es. Information Behaviour of the Researcher of the Future, rapporto finale di uno studio commissionato fra gli altri dalla British Library nel 2008, <http://www.jisc.ac.uk/media/documents/programmes/reppres/gg_final_keynote_11012008.pdf>. Parzialmente sulla stessa scia il rapporto Living and learning with New Media, relativo al progetto Kids' Informal Learning with Digital Media: An Ethnographic Investigation of Innovative Knowledge Cultures, a cura della University of Southern California e della University of California, Berkeley, <http://digitalyouth.ischool.berkeley.edu/>.

[18] David Weinberger, Everything is miscellaneous: the power of the new digital disorder, Times Books, 2007. Cfr. anche il blog <http://www.everythingismiscellaneous.com/>.

[19] "In the third order of order, a leaf can hang on many branches, it can hang on different branches for different people, and it can change branches for the same person if she decides to look at the subject differently. It's not that our knowledge of the world is taking some shape other than a tree or becoming some impossible-to-envision four-dimensional tree. In the third order of order, knowledge doesn't have a shape. There are just too many useful, powerful, and beautiful ways to make sense of our world." (ibid., p. 83).

[20] Sulla tendenza alla staticità delle procedure nelle organizzazioni di lavoro formali e sui limiti ai processi di innovazione cfr. Clay Shirky, in particolare il capitolo 10 dell'opera citata, dal titolo Failur for free.




«Bibliotime», anno XII, numero 1 (marzo 2009)

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