Il 1 maggio 2004 è entrato in vigore il nuovo Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio emanato con Decreto Legislativo 22.1.2004 n. 41, che abroga, e quindi sostituisce, la precedente fonte legislativa costituita dal Decreto Legislativo 29 ottobre n. 490, "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali". Il Testo unico raccoglieva in maniera articolata la legislazione vigente in materia di beni culturali e del paesaggio, essendo a ciò limitata la delega del Parlamento al Governo in quel caso. Il nuovo Codice dei beni culturali riprende in gran parte la normativa del Testo unico, ma vi aggiunge alcuni elementi innovativi, in forza di una delega questa volta più ampia, non semplicemente limitata alla riorganizzazione della disciplina vigente, ma volta a "codificare" la materia, con implicazioni diverse che la stessa terminologia usata lascia intendere. Delle novità introdotte dal Codice si è discusso in un recente convegno organizzato dal Centro Servizi Biblioteche della Provincia di Treviso [1], dal quale provengono molti degli spunti di questo contributo.
Il nuovo Codice è suddiviso in cinque parti: 1. Disposizioni generali; 2. Beni culturali, 2.1 Tutela, 2.2 Fruizione e valorizzazione; 3. Beni paesaggistici; 4. Sanzioni; 5. Disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore.
Come evidenziato dalla struttura stessa del Codice, tutela e valorizzazione sono le due grandi finalità dell'intervento legislativo, non limitatamente, tuttavia, alla recente normativa. E' infatti con la Commissione Franceschini ("Commissione di indagine per la tutela e la valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del paesaggio") del 1964 che l'intervento del legislatore in materia di beni culturali si sposta dalla precedente concezione di semplice garante della conservazione fisica del bene a un ruolo attivo di valorizzazione del bene culturale. La stessa Commissione introduce peraltro, rispetto alla legislazione italiana, il concetto di "bene culturale" (che si affaccia per la prima volta a livello internazionale con la Convenzione dell'Aia del 1954, "Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto bellico"), nonché un fondamentale spostamento nella nozione di bene culturale che rimane alla base della normativa recente: dal precedente criterio estetizzante di "bello d'arte", di "belle arti", si passa alla metà degli anni '60 ad un criterio storicistico, secondo il quale "appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, e ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà". Questo spostamento di prospettiva sarà ereditato sia dal Testo Unico del 1999 che dal Decreto legislativo 112/98, così come dal recente Codice del 2004.
Il concetto di "patrimonio culturale", introdotto dalla Franceschini e anch'esso ripreso dalla legislazione successiva, apre inoltre lo spazio per l'inclusione dei beni immateriali tra i beni culturali. Tale possibilità è rafforzata dal Testo unico del 1999 e dal D. Lgs. 112/98, che eliminano la parola "materiale" dalla definizione di bene culturale, lasciando quindi aperta in linea teorica la possibilità di un riconoscimento dei beni immateriali come facenti parte del patrimonio culturale della nazione. Il Codice tuttavia non sembra aprire maggiori spiragli per la concreta ricezione di questa implicita dichiarazione d'intenti, dal momento che all'articolo 2 del Codice si ribadisce la materialità dei beni culturali che sono definiti "cose" [2].
All'art. 1, comma 1 e 2, il Codice recita:
1. In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente codice.
2. La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuoverne lo sviluppo della cultura.
Il richiamo all'articolo 9 della Costituzione pone maggiore enfasi all'attività di promozione dello sviluppo e lascia trapelare una concezione, già presente nella stessa Costituzione, del bene culturale come mezzo per l'arricchimento e lo sviluppo culturale della collettività.
Art. 9 C.
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione.
Da notare peraltro che il secondo comma dell'articolo 1 del Codice ha visto un intervento significativo della Conferenza Stato-Regioni, che ha chiesto la sostituzione della frase "identità nazionale", presente in una precedente formulazione, con l'espressione, dal peso del tutto differente, "memoria della comunità nazionale".
La definizione di patrimonio culturale viene data all'articolo 2:
1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.
2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
L'inclusione del patrimonio paesaggistico è un'altra eredità della Commissione Franceschini, che entra nel Codice a ribadire come il paesaggio sia elemento caratterizzante dell'identità culturale della comunità nazionale.
Altra novità del Codice è il trattamento unitario di tutela e valorizzazione, in quanto la tutela viene ricondotta alla pubblica fruizione, sulla quale viene posta una certa enfasi, specificamente all'articolo 2, comma 4:
4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela.
e ancora all'articolo 3:
1. La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.
Questa enfasi ha aperto un dibattito rispetto al peso eccessivo che viene riconosciuto alla fruizione pubblica la quale, pur nei limiti posti dallo stesso articolo 3, comma 3, e dall'articolo 6 che recita che "la valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze", porta ad identificare come fine ultimo la pubblica fruizione, laddove in molti casi possa invece essere più opportuno non esporre certi beni al godimento pubblico; soprattutto ci si è chiesto se tale interpretazione non comporti un rischio di perdita di valore del bene culturale in sé e per sé, indipendentemente dall'uso pubblico che ne viene fatto, e in ultima analisi anche il rischio di "mercificazione" del bene culturale.
Occorre aggiungere che i timori sono rafforzati dalle non ben chiare, e per certi versi ambigue, disposizioni che hanno accompagnato la nascita della "Patrimonio dello Stato S.p.A", con compiti di valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato, e della "Infrastrutture S.p.A", con compiti di finanziamento soprattutto di infrastrutture e opere pubbliche, di cui si è molto parlato sui mezzi di comunicazione [3].
La valorizzazione viene trattata nell'articolo 6 del Codice:
1. La valorizzazione consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso. Essa comprende anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.
2. La valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze.
3. La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale.
Il comma 1 e 3 dell'articolo 6 introducono alcuni elementi innovativi rispetto alla precedente legislazione: l'estensione del concetto di valorizzazione anche agli interventi di conservazione del patrimonio culturale, e l'apertura alla partecipazione di soggetti privati alle attività di valorizzazione del patrimonio culturale.
Inoltre, viene posto l'obbligo al proprietario del bene culturale di garantirne la conservazione del bene, in particolare all'articolo 1, comma 5: "I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione". Questo elemento non era presente nella precedente legislazione, secondo la quale l'obbligo di garanzia della conservazione avveniva solo come conseguenza dell'esercizio del potere di controllo dall'Amministrazione (per esempio, con l'imposizione di un intervento di restauro).
Agli articoli 1, 4, 5, 7 il Codice stabilisce le competenze in materia di tutela e valorizzazione, e prevede forme di cooperazione tra il Ministero per i beni e le attività culturali, le regioni e gli altri enti territoriali nello svolgimento di tali attività, prevedendo inoltre casi in cui vi siano competenze specifiche delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali :
Art. 1
3. Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione
Art. 4
1. Al fine di garantire l'esercizio unitario delle funzioni di tutela, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, le funzioni stesse sono attribuite al Ministero per i beni e le attività culturali, di seguito denominato "Ministero", che le esercita direttamente o ne può conferire l'esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento ai sensi dell'articolo 5, commi 3 e 4. Sono fatte salve le funzioni già conferite alle regioni ai sensi dei commi 2 e 6 del medesimo articolo 5.
2. Il Ministero esercita le funzioni di tutela sui beni culturali di appartenenza statale anche se in consegna o in uso ad amministrazioni o soggetti diversi dal Ministero.
Art. 5
1. Le regioni, nonché i comuni, le città metropolitane e le province, di seguito denominati "altri enti territoriali", cooperano con il Ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela in confromità con quanto disposto dal Titolo I della Parte seconda del presente codice.
2. Le funzioni di tutela previste dal presente codice che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, raccolte librarie non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale, nonché libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato, sono esercitate dalle regioni.
3. Sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", le regioni possono esercitare le funzioni di tutela anche su raccolte librarie private, nonché su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato.
[…]
Art. 7
1. Il presente codice fissa i principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio culturale. Nel rispetto di tali principi le regioni esercitano la propria potestà legislativa.
2. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici.
Ulteriore novità del Codice 2004 è l'introduzione del procedimento di "verifica dell'interesse culturale" del bene, introdotto all'articolo 12.
Art. 12
1. Le cose immobili e mobili indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte alle disposizioni del presente Titolo fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2.
2. I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussitenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.
[…]
Tale procedimento è previsto per i beni culturali di proprietà dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali e per le persone giuridiche private senza fini di lucro, così come elencati all'articolo 10 del Codice stesso. La verifica spetta al Ministero per i beni e le attività culturali, che tramite i suoi organi competenti può farla d'ufficio o su richiesta degli enti proprietari del bene. Il Ministero ha quindi il compito di verificare la sussistenza dell'interesse culturale dei beni di proprietà dei suddetti enti che quindi, fino a verifica contraria sono considerati beni culturali. Nel momento in cui il bene sottoposto a verifica risulta privo dell'interesse culturale, non ricade più nell'ambito di applicazione del Codice, può essere sdemanializzato ed è alienabile.
L'unica perplessità è dettata dalla validità (non smentita dal Codice) del principio del silenzio-assenso nei casi in cui il richiedente non riceva risposta dalla Soprintendenza regionale (che ha il compito di procedere nella verifica a livello locale) entro i 120 giorni prefissati. Se entro tale scadenza dalla richiesta la Soprintendenza non si pronuncia, qualsiasi sia il motivo del ritardo (lungaggini burocratiche, mancanza di personale, ostacoli di varia natura) si considera che la verifica abbia avuto esito negativo. In altri termini, il bene può perdere lo status di "bene culturale" anche se la verifica di fatto non è mai avvenuta, ma è semplicemente trascorso il periodo suddetto senza che si sia avuta nessuna risposta da parte degli organi competenti.
Rimane pressoché invariato rispetto al Testo unico del 1999 il procedimento di "dichiarazione di un rilevante interesse culturale del bene" previsto invece per i beni di proprietà privata, intesi come beni di proprietà delle persone fisiche e delle persone giuridiche con fine di lucro.
Il procedimento di dichiarazione (già nel Testo unico del 1999) ha aperto il dibattito in ambito giuridico rispetto alla natura costituente o meno del provvedimento amministrativo rispetto allo status di bene culturale. Il Codice rafforza l'interpretazione dei sostenitori della natura costituente del provvedimento, dal momento che all'articolo 10, comma 3, specifica "sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13", lasciando intendere che senza la dichiarazione tali beni non sono da considerarsi beni culturali dal punto di vista giuridico. Tuttavia, ci sembra di poter sostenere con maggiore realismo l'interpretazione secondo la quale il provvedimento non ha natura costituente, poiché il bene culturale è tale indipendentemente dalla sussistenza del procedimento giuridico, essendo il concetto di "bene culturale" un concetto meta-giuridico. Senza dimenticare, tuttavia, che la piena applicabilità del Codice necessita invece di tale provvedimento.
Infine, ci sembra particolarmente degna di nota l'introduzione nel Codice della definizione di biblioteca, non presente nella precedente legislazione, e inclusa all'articolo 101:
Art. 101
1. Ai fini del presente codice sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le areee e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
2. Si intende per:
a) <<museo>>, una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio;
b) <<biblioteca>>, una struttura permanente che raccoglie e conserva un insieme organizzato di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio;
c) <<archivio>>, una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca.
[…]
Le tre definizioni accostate lasciano spazio per numerosi commenti, che non hanno mancato di entrare nella discussione del convegno sopra citato. Non è chiaro, per esempio, perché mai la biblioteca non "acquisisca, inventari ed ordini" i beni a differenza di musei ed archivi che invece lo fanno. E' evidente come l'enfasi sia posta sulle attività di conservazione, e non vengano sufficientemente riconosciute le altre attività che la biblioteca svolge. Ne è conferma il fatto che l'attuale formulazione dell'articolo alla frase "e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio" è frutto di un intervento della Conferenza Stato-regioni, che ha chiesto di sostituire la precedente forma "e ne assicura la consultazione al fine di promuoverne la lettura e lo studio" che limitava ampiamente la portata della frase.
Rossana Morriello, Biblioteca di Studi classici - Università Ca' Foscari di Venezia, e-mail: rossana.morriello@unive.it
Nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio, D. Lgs. n. 41 del 22/01/2004 <http://www.bap.beniculturali.it/organizzazione/leggi/Codice2004.pdf>.
Giovanni Boldon Zanetti, Beni culturali e ambientali: lezioni di legislazione, dispensa, Venezia, Cafoscarina, 2004.
Il diritto dei beni culturali, a cura di Carla Barbati, Marco Cammelli, Girolamo Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2003.
Fausto Rosa, Legislazione bibliotecaria, dispensa, <http://lettere2.unive.it/ridi/wplis02-1.pdf>, aggiorn. 2003/2004.
[1] Il convegno si è tenuto presso la Provincia di Treviso in data 11 giugno 2004, ed ha visto la partecipazione di Giovanni Boldon Zanetti e Fausto Rosa, docenti rispettivamente di Legislazione dei beni culturali e ambientali, e di Legislazione bibliotecaria presso l'Università Ca' Foscari di Venezia.
[2] Tale definizione è inoltre rafforzata dal fatto che alcuni istituti previsti dalla legislazione, come per esempio la prelazione, l'espropriazione, l'esportazione presuppongono la materialità del bene
[3] Si veda a riguardo: Il diritto dei beni culturali, a cura di Carla Barbati, Marco Cammelli, Girolamo Sciullo, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 50-51