«Bibliotime», anno VII, numero 1 (marzo 2004)

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Michele Santoro

Il sistema periodico. Breve storia delle riviste tra comunicazione scientifica e pratica bibliotecaria *



Una storia dei periodici, per quanto breve, non può essere certo contenuta nei limiti imposti da un intervento di questo genere; pertanto le linee che proveremo a sviluppare vanno intese come un primo momento di un'indagine assai più articolata e complessa.

E se per la nostra storia vogliamo riconoscere un punto di partenza, questo non può essere che l'invenzione della stampa: dai primi torchi infatti non escono solo libri, ma anche almanacchi, fogli volanti, fogli di notizie, ossia pubblicazioni che "si ripetono" nel tempo e che mantengono una certa omogeneità di forma.

Queste pubblicazioni consistono di solito in opuscoli di piccolo formato e di poche pagine; il testo, breve e spesso in forma epistolare, narra un fatto di cronaca, una battaglia, un evento naturale, etc.; sono scritti in volgare, in un linguaggio semplice ed essenziale, perché sono rivolti a un pubblico di mercanti, militari, artigiani. Ai fogli di notizie letti pubblicamente (che a Venezia prendono il nome di "gazzette", forse dalla moneta richiesta per "ascoltare" tali notizie) seguono poi gli "avvisi" su singoli avvenimenti.

Tuttavia ciò che chiamiamo "giornalismo" ha una sua preistoria, che precede di molto l'invenzione della tipografia, risalendo almeno agli "Acta diurna" dei Romani, mentre in tempi più recenti il riferimento è ai notiziari manoscritti diffusi dai "menanti", ossia amanuensi che diventano a loro volta dei "gazzettieri".

Ma è solo verso la fine del Cinquecento che si assiste alla nascita dei primi periodici di informazione politica o militare, in particolare in Svizzera e in Germania, mentre le prime raccolte organiche di notizie con periodicità fissa si hanno agli inizi del Seicento, in Olanda e poi in Italia. Nei decenni successivi queste pubblicazioni si moltiplicano sempre più, rispondendo - come nota Armando Petrucci - alla necessità di

soddisfare la richiesta, insorta prepotentemente nell'Europa cinque-seicentesca, di flussi regolari e sempre più abbondanti di informazioni, di dati, di narrazioni di eventi e di descrizioni di ambienti, personaggi, territori.

In questo periodo poi l'editoria periodica dà vita al suo prodotto più tipico e originale, il quotidiano, cioè uno strumento, scrive ancora Petrucci, che

nella cultura contemporanea rappresentò sotto tutti gli aspetti una rivoluzione totale, sia perché abbandonò la forma libraria tradizionale per sceglierne un'altra priva di frontespizio; sia perché la necessità di disporre insieme sempre più numerosi testi sostanzialmente brevi e diversi tra loro obbligò a inventare nuove gerarchie testuali e nuovi modelli di mise en page, come quello a più colonne affiancate; sia perché infine la periodicità obbligata e poi la quotidianità imposero ritmi di composizione, di produzione meccanica e di distribuzione del tutto nuovi; e crearono nuove abitudini di lettura, più libere e sciolte che per il passato, nuovi spazi per il leggere, nuovi usi familiari della carta stampata, un nuovo rapporto con lo scritto.

Ma vi è un altro, fondamentale elemento che porta alla diffusione di pubblicazioni in forma periodica, e che consiste nella necessità di trasmettere alla comunità degli studiosi i risultati della nuova scienza sperimentale.

E' in particolare Elizabeth Eisenstein che ha rilevato come la stampa abbia dato un contributo decisivo non solo allo sviluppo della scienza moderna, ma a ciò che chiamiamo comunicazione scientifica, ossia quel vasto e articolato sistema attraverso cui gli studiosi producono, condividono, valutano, diffondono e conservano i risultati dell'attività scientifica.

Ed è proprio in tal senso che l'editoria periodica assume un ruolo essenziale, dal momento che in questo periodo nascono una serie di riviste volte da un lato a dare notizia delle principali pubblicazioni apparse nei diversi paesi europei, dall'altro a informare la comunità degli studiosi su invenzioni e scoperte.

Sono questi i motivi che portano alla nascita di quello che è considerato il prototipo delle numerose riviste erudite e scientifiche comparse fra Sei e Settecento, vale a dire il Journal des Sçavans. La rivista, fondata a Parigi nel 1665 da Denis de Sallo, si pone l'obiettivo di fornire recensioni di una quantità di libri di argomento letterario e scientifico, ma anche di dare notizie sulla realtà culturale europea attraverso un piccolo numero di contributi originali.

L'importanza del Journal des Sçavans ed il suo influsso sulla cultura del periodo è tale che la rivista sarà ben presto "replicata" in tutta Europa: in Germania ad esempio, nel 1682, nascono gli Acta Eruditorum, mentre in Francia si pubblicano le Nouvelles de la Républiques des lettres, comparse nel 1684 ad opera di Pierre Bayle, e in Olanda esce nel 1686 la Bibliothèque universelle et historique.

Ma è l'Inghilterra il paese che dà i natali al periodico più importante per la nuova tradizione scientifica, e cioè le Philosophical Transactions. La rivista nasce come emananzione della Royal Society, un'istituzione della corona inglese sorta per rendere pubbliche le ricerche scientifiche dei suoi membri: questi ultimi infatti si rendono ben presto conto che, al contrario dei libri, le pubblicazioni periodiche possono consentire una rapida diffusione delle scoperte, in particolare nei campi della medicina nelle scienze naturali.

E' per questo che Henry Holdenburg, a soli due mesi dalla nascita del Journal des Sçavans, fonda le Philosophical Transactions, ispirandosi alla rivista francese ma ponendosi finalità molto diverse: il suo periodico infatti non solo stampa numerosi contributi originali relativi alle più importanti scoperte scientifiche, ma si pone l'obiettivo di arrivare a una vera e propria "registrazione pubblica" di questi articoli: come scrive Jean-Claude Guédon, mentre la rivista parigina "insegue le novità", quella inglese aiuta a "validare l'originalità delle scoperte".

Difatti le Philosophical Transactions nascono in un periodo in cui la questione della proprietà intellettuale occupa un posto di particolare rilievo, in quanto fra gli studiosi è molto sentita l'esigenza di definire il problema della "paternità scientifica" sulle scoperte e regolare le controversie sulla loro priorità. Holdenburg comprende tutto questo e in special modo, scrive ancora Guédon, che

se soltanto avesse potuto portare la maggioranza dei più significativi autori scientifici europei a registrare le loro ricerche sulle Philosophical Transactions, l'uso innovativo della tecnologia della stampa sarebbe diventato un momento di definizione del movimento scientifico europeo. Come risultato, Londra avrebbe fatto per la scienza ciò che Parigi stava mirando a fare per il gusto: diventare un arbitro universale del sapere.

L'intuizione di Holdenburg, volta a fare delle riviste il luogo privilegiato per l'assegnazione della paternità delle scoperte, si dimostrerà vincente nei secoli successivi, trasformando i periodici nel principale strumento di diffusione dell'informazione scientifica.

Ma prima di arrivare a questo importante passaggio, è opportuno tornare al diciassettesimo secolo e analizzare brevemente il cammino dell'editoria "di cultura" in Italia: un cammino che nasce il 28 gennaio 1668 con la fondazione del Giornale de' Letterati, pubblicato a Roma per opera di Francesco Nazari. Questo periodico, per quanto modellato sugli omologhi stranieri, non appare una semplice imitazione di questi ultimi, ma si configura come una rivista originale e di notevole impegno critico che, oltre alle informazioni su nuovi libri, riporta notizie su osservazioni, esperimenti e curiosità naturali, e fornisce traduzioni ed estratti dal Journal des Sçavans e dalle Philosophical Transactions.

Il Giornale de' Letterati avrà una vita assai travagliata, sdoppiandosi in due periodici concorrenti ma che mantengono lo stesso titolo, cessando le pubblicazioni nel 1681 ma rinascendo - non più a Roma ma a Parma e poi a Modena - per opera di Benedetto Bacchini, che la dirigerà dal 1686 al 1697 facendone una delle pubblicazioni più importanti del suo tempo.

Sono moltissimi i periodici che, nella nostra penisola, si affiancano o si sostituiscono al Giornale de' Letterati, fra cui possiamo citare solo i più rilevanti: La Galleria di Minerva, edita a Venezia nel 1696 ad opera di Girolamo Albrizzi; il Giornale de' letterati d'Italia, anch'essa pubblicata a Venezia da Apostolo Zeno, Scipione Maffei e Antonio Vallisneri, e che ha goduto di grande prestigio sia per l'accuratezza delle recensioni che per la competenza dei collaboratori; e infine le Novelle Letterarie, nate a Firenze nel 1740 ad opera di Giovanni Lami e considerate uno dei migliori periodici dell'epoca. In effetti, ha scritto Luigi Balsamo,

questa dei "giornali dei letterati" è una delle più significative ed efficaci innovazioni dell'editoria moderna, in quanto aprì nuovi canali di comunicazione culturale al di là di qualsiasi confine, non solo geografico, avviando nel nostro paese un processo di sprovincializzazione che ha caratterizzato il Settecento.

Nel secolo diciottesimo si diffonde in Italia quella forma di giornalismo culturale di tono moraleggiante già presente in Inghilterra grazie a periodici quali il Tatler e lo Spectator, e che viene riproposta nella nostra realtà prima dalla Gazzetta Veneta di Gaspare Gozzi, poi dalla Frusta letteraria di Giuseppe Baretti.

Ma è anche la lezione dell'illuminismo che circola nella nostra penisola ad essere tradotta in una nuova e assai interessante rivista, Il Caffé, promossa da Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria ed altri intellettuali, che fanno di questo periodico in uno dei prodotti più alti dell'illuminismo italiano.

A partire dall'Ottocento le riviste "di cultura" si differenziano sempre più, dando vita a un processo di specializzazione che porterà alla nascita del vero e proprio periodico scientifico.

In questo periodo infatti si assiste al declino delle tradizionali accademie, che nei secoli precedenti avevano costituito il principale "organo" di discussione e di circolazione delle ricerche, mentre la comunità scientifica si differenzia sempre più, favorendo la nascita di una quantità di riviste a più specifico carattere disciplinare.

E' per questo che la rivista assume peculiarità ben precise, presentandosi come un insieme di articoli di autori diversi, ordinati sulla base di criteri omogenei e pubblicati con cadenza periodica. Inoltre, avendo l'obiettivo di ridurre al minimo le difficoltà di comunicazione all'interno di una determinata comunità, essa acquisisce quella stupefacente unità di forma, quell'aspetto quasi rituale di disposizione degli articoli, quella omogeneità di lingua e di stile che ancora oggi costituiscono le caratteristiche più evidenti dei periodici scientifici.

L'importanza della rivista però non è legata solo ai suoi connotati formali o alla sua capacità di diffusione fra gli studiosi, ma è strettamente associata alle modalità di comunicazione che essa impone e consolida, una comunicazione, scrive Pietro Greco, che ben presto "cessa di essere diretta e diventa comunicazione mediata":

i risultati di una ricerca originale vengono pubblicati solo dopo una valutazione preventiva di qualità. Nei primi tempi è il direttore della rivista che decide se un saggio è degno o meno di essere pubblicato. Poi il numero di richieste di pubblicazione sale e sale anche il tasso di specializzazione degli articoli. La valutazione preventiva viene affidata alla review, alla rivisitazione critica, di un peer, un pari, per esperienza, dell'autore. Insomma, le riviste iniziano a pubblicare solo articoli che hanno superato il vaglio di uno o due membri, esperti e rigorosamente anonimi, della medesima comunità scientifica cui appartiene l'autore.

Dunque è il meccanismo del peer review che si afferma come il criterio più efficace per assegnare attendibilità e valore scientifico alle pubblicazioni, dal momento che la produzione di conoscenza è inseparabile dalla sua accettazione all'interno della comunità degli studiosi, cosa che modifica in modo sostanziale la maniera stessa di fare scienza.

La rivista "moderna" quindi offre vantaggi indiscutibili agli studiosi, rendendo pubblici i risultati delle ricerche, convalidandoli da un punto di vista scientifico ed assegnandone la priorità ai rispettivi autori. E tuttavia, almeno a partire dal secondo dopoguerra, è apparso evidente che essa non era più in grado di soddisfare al requisito fondamentale della comunicazione scientifica, vale a dire la tempestività dell'informazione, la sua capacità di essere diffusa nella maniera più rapida; le riviste cartacee infatti presentano tempi di realizzazione e di trasmissione eccessivamente (e a volte insopportabilmente) lunghi, dovuti alle esigenze di filtro scientifico non meno che alle lentezze editoriali e postali.

La necessità di adottare meccanismi di comunicazione sempre più efficaci e veloci è dunque avvertita come essenziale dagli studiosi, specie da quando si è manifestato un altro fattore volto a rendere ancora più critico il rapporto fra la comunità scientifica ed il suo principale veicolo d'informazione: ci riferiamo al progressivo aumento dei costi.

Negli ultimi decenni infatti si è andati incontro a una incessante proliferazione del numero delle riviste, spesso a bassa tiratura ma dai costi assai elevati, riviste che di norma sono di proprietà di grandi editori internazionali. Di anno in anno i costi di tali riviste sono aumentati costantemente, costringendo le biblioteche a drastici tagli negli abbonamenti, e inducendo di conseguenza gli editori ad aumentare ulteriormente i prezzi.

In presenza di tale situazione, la comunità scientifica ha fatto ricorso a strategie alternative, in particolare rivolgendo la propria attenzione alle tecnologie digitali, capaci di attenuare - se non di risolvere - i problemi di celerità dell'informazione e di contenimento dei costi. Di conseguenza si è assistito non solo al progressivo trasferimento in veste elettronica delle principali pubblicazioni seriali, ma alla creazione di riviste nel solo formato digitale: un fenomeno che toccherà l'apice negli anni Novanta, con l'affermarsi di Internet come grande contenitore di periodici elettronici e la comparsa di forme radicalmente nuove di diffusione dell'informazione scientifica.

In particolare la possibilità di replicare sulla rete i vantaggi delle pubblicazioni tradizionali, ma con in più il valore aggiunto rappresentato dalla tempestività e dalla globalità dell'informazione, viene sfruttata tanto dalla comunità scientifica quanto dai grandi editori internazionali, anche se con finalità opposte e concorrenti.

In realtà la contrapposizione fra la comunità degli studiosi e gli editori commerciali è precedente all'avvento del digitale, e risale almeno agli anni Sessanta quando, per dirla con Jean-Claude Guédon, questi editori sono riusciti a impossessarsi di quel vero e proprio "eldorado" rappresentato dalle riviste accademiche e di ricerca, dando vita a un "mercato inelastico" in cui la domanda non è determinata dai costi e i costi non sono condizionati dalla domanda.

Si tratta di una situazione che trova la sua genesi nel meccanismo stesso della comunicazione scientifica: difatti gli studiosi pubblicano i loro lavori su riviste che sono di proprietà degli editori commerciali, ai quali generalmente cedono tutti i diritti, non solo non ricevendo alcuna retribuzione, ma essendo a volte costretti a versare un contributo per la pubblicazione.

Così gli editori, con un paradosso che assicura loro ampi margini, possono "rivendere" questi lavori alle biblioteche delle stesse università di cui fanno parte gli studiosi che li hanno prodotti, innescando quella spirale che costringe le biblioteche a tagliare gli abbonamenti per far fronte agli aumenti dei costi, e che vede gli studiosi espropriati dei vantaggi - economici oltre che informativi - di un sistema di cui sono parte determinante.

D'altra parte il passaggio dal formato cartaceo a quello elettronico non sembra aver comportato particolari benefici, se è vero che le biblioteche hanno dovuto sottostare ad ulteriori aumenti per ottenere la versione elettronica di riviste già possedute su supporto tradizionale, o al pagamento di tariffe assai elevate per l'utilizzo di periodici esistenti nella sola veste digitale.

Il quadro è completo se si considera che negli ultimi anni si è verificato un processo di vera e propria concentrazione editoriale, che ha consentito a pochi editori internazionali di detenere la quasi totalità della produzione scientifica, e dunque la possibilità di determinare i prezzi dei periodici in maniera sempre più arbitraria e avulsa dalle leggi del mercato.

A fronte di questa situazione, le frange più sensibili della comunità scientifica e di quella bibliotecaria hanno rivolto il loro interesse alla rete Internet, da un lato promuovendo la nascita di riviste elettroniche ad accesso libero, dall'altro individuando strategie dirette a un uso "alternativo" dell'informazione scientifica.

In particolare nel 1990 Ann Okerson, la bibliotecaria americana che con più energia si è interessata ai problemi dei periodici e dei loro costi, lancia un forte appello affinché ricercatori e istituzioni rivendichino una sorta di comproprietà sull'informazione da essi prodotta, interrompendo così il predominio degli editori commerciali. Per far ciò, scrive Okerson, la comunità internazionale dovrebbe indurre gli studiosi a servirsi sempre meno del tradizionale canale cartaceo e sfruttare invece le potenzialità di Internet, inviando le proprie pubblicazioni ad appositi archivi elettronici su cui possano essere rese disponibili per un pubblico vasto, e facilmente recuperate grazie ai meccanismi di rete.

Nello stesso anno si registra l'importante l'iniziativa di Stevan Harnad: docente di psicologia all'università di Southampton, Harnad ha fondato e diretto per oltre quindici anni la prestigiosa "Behavioral & Brain Sciences", una rivista tradizionale basata su un sistema di peer review assai rigoroso e selettivo. E tuttavia, consapevole dell'inadeguatezza dello strumento cartaceo ai fini di una rapida diffusione delle conoscenze, lo studioso rivolge la propria attenzione alle possibilità di Internet, arrivando così alla fondazione di "Psycoloquy", una tra le prime riviste elettroniche in rete, che mantiene tutte le caratteristiche di selettività e di filtro scientifico proprie dei tradizionali periodici cartacei, ma che sfrutta le potenzialità di Internet per agevolare i contatti fra i collaboratori e facilitare la trasmissione e la ricezione degli articoli.

Un ulteriore, fondamentale passaggio si verifica l'anno successivo, e precisamente nell'agosto del 1991, quando Paul Ginsparg, fisico delle alte energie presso il Los Alamos National Laboratory, mette a punto un database in grado di ricevere e rendere disponibile su Internet una serie di articoli, rapporti tecnici e abstract che gli autori preferiscono non inviare alle riviste, ma rendere pubblici in maniera immediata e diretta sulla rete. L'iniziativa ha un travolgente successo, se è vero che, in poco più di tre anni, questo primo open archive raccoglie lavori relativi a 25 diverse aree disciplinari, ed è utilizzato da più di 25.000 utenti di oltre 70 paesi.

Le conseguenze dell'iniziativa di Ginsparg sono davvero rivoluzionarie, sia perché l'archivio si configura come un'alternativa assai efficace alla pubblicazione sui periodici convenzionali, sia perché la possibilità concessa agli autori di collocare liberamente in rete i propri lavori costituisce una sfida al predominio dell'editoria commerciale, dal momento che non è richiesta nessuna tariffa agli autori, nessuna cessione forzosa dei diritti, nessun costo per le biblioteche.

Ma l'esperienza di Los Alamos ha un influsso determinante anche su Stevan Harnad il quale, nel giugno del 1994, lancia ciò che egli stesso definisce una subversive proposal, un'idea cioè volta a superare il tradizionale sistema cartaceo di pubblicazione attraverso la collocazione immediata e diretta degli articoli sulla rete.

Difatti, si chiede Harnad, se l'obiettivo degli autori scientifici non è quello di ricevere una retribuzione ma di essere letti da un numero il più possibile ampio di pari, perché continuare a pubblicare su riviste cartacee e non collocare i propri lavori direttamente su Internet? E' solo in questa maniera, sostiene infatti lo studioso, che è possibile risolvere i problemi dei costi, della tempestività dell'informazione e del mantenimento dei diritti.

Queste riflessioni - e le iniziative da esse originate - hanno condizionato in maniera decisiva il percorso dellea comunicazione scientifica, da un lato dando vita a una quantità di periodici elettronici liberamente disponibili su Internet, dall'altro favorendo la nascita di open archives destinati a contenere documenti non necessariamente pubblicati sulle tradizionali riviste.

Oggi questo duplice modello, che guarda da un lato ai periodici ad accesso aperto e dall'altro agli open archives, è sostenuto da numerose attività di promozione e di sostegno; fra queste ricordiamo SPARC, che consiste in una stretta alleanza fra università, biblioteche e organizzazioni accademiche allo scopo di creare un'alternativa alle disfunzioni del mercato editoriale; o la Open Archive Initiative, che si propone di sviluppare gli standard necessari a garantire l'accesso alle risorse disponibili nei diversi archivi aperti esistenti sulla rete; o infine la Budapest Open Access Initiative, volta a garantire l'accesso gratuito alla produzione scientifica mondiale attraverso lo sviluppo tanto degli open archives quanto di nuovi periodici ad accesso aperto.

Ma anche la comunità bibliotecaria è coalizzata, attraverso il fondamentale strumento dei consorzi, allo scopo di acquisire licenze per l'accesso a riviste scientifiche ed altre risorse digitali, ridurre i costi dei periodici elettronici grazie a trattative unitarie e centralizzate, moderare i prezzi degli abbonamenti e offrire agli studiosi la possibilità di ottenere un numero maggiore di risorse informative.

E' dunque in questa rinnovata alleanza fra la comunità degli studiosi e quella dei bibliotecari che il percorso della comunicazione scientifica può arrivare a un suo compimento, mettendo a frutto un'esperienza secolare che, nel sistema dei periodici e nelle sue più recenti metamorfosi, ha trovato lo strumento essenziale per la crescita culturale della società.

Michele Santoro, Biblioteca del Dipartimento di Scienze economiche - Università di Bologna, e-mail: mailto:santoro@spbo.unibo.it


Bibliografia essenziale

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Note

* Questo articolo riprende il testo della relazione tenuta in occasione del Seminario "I periodici in biblioteca fra comunicazione e fruizione" (Modena, 15 dicembre 2003), organizzato dalla Biblioteca del Collegio San Carlo e dalla Associazione italiana biblioteche - Sezione Emilia-Romagna, in collaborazione con l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e il Centro di documentazione della Provincia di Modena.




«Bibliotime», anno VII, numero 1 (marzo 2004)

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