Dal 31 gennaio al 30 marzo 2011 si è realizzato un censimento sui costi e i fabbisogni standard delle funzioni fondamentali dei Comuni e Province, come previsto dal D. Lgs. n. 216/2010, che costituirà la base di partenza per collegare il possibile "federalismo fiscale" agli effettivi bisogni economicofinanziari degli enti. La rilevazione e relativa analisi è affidata alla Società per gli studi di settore Sose Spa. Gli enti hanno ricevuto alcune comunicazioni contenenti le istruzioni e le credenziali di accesso ad uno specifico portale per la compilazione di schede/questionari che saranno certificati dal legale rappresentante del singolo ente, nonché dal responsabile del servizio finanziario. Il decreto prevede che ogni anno si analizzeranno due settori per chiudere nel triennio 2011-2013 la fase della rilevazione. La scelta di quali funzioni analizzare è già stata effettuata. Quest'anno vengono prese in considerazione le funzioni generali di amministrazione e di controllo oltre che la funzione di polizia locale per i Comuni e quella relativa al mercato del lavoro per le Province. Ciascun questionario si comporrà di due sezioni. La prima comprende i dati di natura contabile e la seconda contiene i dati strutturali, compreso il numero dei dipendenti presenti previsti e in ogni settore.
La rilevazione non riguarda quindi solamente gli aspetti economici e finanziari, ma buona parte delle domande è concentrata sugli aspetti organizzativi, gestionali, operativi e quindi la quantità di strutture, il numero di risorse a disposizione e le attività svolte. Molto interessante! C'è però un aspetto particolare che emerge con macroscopica evidenza: il sistema dei fabbisogni standard punta l'attenzione solo su alcune funzioni ritenute fondamentali e ovviamente, poiché "di cultura non si mangia" (come afferma il ministro del Tesoro) non vengono presi in considerazione la Cultura e i Beni culturali e quindi nemmeno le biblioteche. Questa esclusione non è frutto di qualche interpretazione, è prevista esplicitamente dalla legge! Il fatto poi che sia in buona compagnia con altri settori esclusi (sport, tempo libero, turismo) non è consolante e comunque la dice lunga sulla visione dei servizi culturali da parte degli attuali legislatori. Se l'impianto della legge non verrà modificato, le spese per le attività culturali rientreranno in quelle previste per le cosiddette "altre funzioni" (art. 11 della Legge delega 42/2009) a cui gli enti non potranno complessivamente destinare più del 20% delle entrate correnti.
Questo grave antefatto deve essere motivo di preoccupazione? Si fa finta di niente o questa esclusione e i relativi limiti finanziari imposti che coinvolgono in pieno le biblioteche degli enti locali va in qualche modo affrontata? Io propendo per la seconda ipotesi perché, se già oggi si vivono situazioni difficili al limite della chiusura del servizio, mi immagino quale situazione si potrà verificare quando le risorse finanziarie, umane e strumentali, dovranno essere rideterminate e sostenute dai bilanci degli enti locali, senza disporre dei trasferimenti finanziari dallo Stato. Si può immaginare che in carenza di risorse gli enti potranno permettersi di introdurre/imporre a sostegno/mantenimento delle biblioteche alcune specifiche tassazioni ai cittadini, senza che a monte siano stati definiti degli standard strutturali che potrebbero obbligare/vincolare il mantenimento dei servizi di tale settore? Non sarà magari l'occasione per introdurre l'accesso e la fruizione dei servizi delle biblioteche a pagamento?
Certamente qualche soluzione rabberciata verrà trovata, ma le biblioteche potranno pagare un prezzo alto che porterà inevitabilmente a ridimensionamenti strutturali e degli organici, ad esternalizzazioni senza limiti e quindi con riduzione di qualità e di efficacia nei confronti dei cittadini, alla chiusura delle biblioteche più deboli e non incardinate in forti sistemi bibliotecari. Anche i sistemi bibliotecari e i relativi centri servizi potranno entrare in crisi per la riduzione di risorse finanziarie, destinate a loro funzionamento, da parte dei singoli enti associati. Questa preoccupazione può anche essere letta come una forma di allarmismo, ma l'esperienza degli ultimi anni dentro la logica della "riduzione dei costi ad oltranza" dovrebbe quantomeno suggerire che è opportuno non sottovalutare la questione; per cui, al di là di ogni considerazione rispetto al probabile futuro delle biblioteche, io penso che sarebbe comunque il caso che bibliotecari/dirigenti/amministratori focalizzassero tale problema facendo massa critica e affrontandolo seriamente e senza sottovalutazioni in sede ANCI, Upel, ecc.
Probabilmente qualcosa forse potrebbe fare anche l'AIB, essendo l'associazione delle biblioteche oltre che dei bibliotecari, (tenuto conto anche della preoccupazione sollevata sulle conseguenze di questo federalismo da Stefano Parise, già membro del CEN, nel suo intervento al convegno alle Stelline di Milano del 4 marzo 2011). L'AIB potrebbe per esempio attivare un'azione convergente di intervento/sensibilizzazione sugli organismi associativi nazionali e regionali degli enti locali e contemporaneamente sollevando la questione ai ministeri competenti accompagnando il tutto con un'adeguata campagna informativa sui vari media attraverso il proprio ufficio stampa.
Mi pare un bell'impegno per il nuovo CEN nonché per tutti i nuovi CER a cui ovviamente vanno i migliori auguri di buon lavoro! Il triennio fissato per la rilevazione dei fabbisogni può sembrare lungo, ma passerà in fretta per cui è bene non perdere tempo e far partire quantomeno il segnale di allarme sin dal primo anno. Buon federalismo (!?) a tutti.
nerioago@libero.it