Gian Arturo Ferrari ha diretto in passato la Divisione Libri del gruppo Mondadori ed è oggi presidente del Centro per il Libro e la Lettura, istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2007 e diventato operativo nel 2010. Scopo del Centro (http://www.cepell.it) è promuovere la lettura con il coinvolgimento dei diversi attori che operano nel mondo dei libri.
In che maniera editori e bibliotecari, che sono tra gli attori più importanti nel mondo dei libri, potrebbero collaborare nella promozione della lettura?
Editori e bibliotecari diffidano tendenzialmente gli uni degli altri. Non si tratta di atteggiamenti superabili con uno sforzo di buona volontà, ma del riflesso di posizioni strutturalmente diverse all'interno del mondo dei libri. Gli editori scrutano il futuro, i cambiamenti di gusto del pubblico e cercano di interpretarli. I bibliotecari difendono il lascito del passato, la migliore eredità che abbiamo e che sentono incomparabilmente superiore ai goffi tentativi del presente. Gli editori sono il privato e il profitto, i bibliotecari il pubblico e il "senza fini di lucro". Gli editori trovano il lavoro dei bibliotecari irrilevante, i bibliotecari pensano che gli editori incoraggino l'involgarimento e la subcultura. Sono pregiudizi, o legittime opinioni, difficili da sradicare. E, di conseguenza, è molto difficile trovare un terreno di incontro e di collaborazione. Io penso che l'unica via sia in primo luogo quella di riconoscere a tutti la priorità - assoluta - dell'allargamento della base di lettura nel nostro paese. Il che vuol dire, da parte dei bibliotecari, sospendere momentaneamente il giudizio su quali sono i libri buoni e i libri cattivi, purché siano libri. E, da parte degli editori, capire e accettare il fatto che le chiese della religione del libro sono le biblioteche, nel senso che lì si possono fare apostolato e conversioni. In secondo, e decisivo, luogo, provare a lavorare insieme, a costruire qualcosa insieme, per scoprire gli uni che gli editori non sono dei volgari trafficanti e gli altri che i bibliotecari non sono dei lamentosi nullafacenti. È quel che tenteremo la primavera prossima con il Mese del libro, dal 23 aprile al 23 maggio, in cui cumuleremo l'ex Ottobre piovono libri e l'ex "Se mi vuoi bene regalami un libro". Proveremo a mettere insieme bibliotecari ed editori e vedremo quel che succederà.
Nel recente libro L'Italia che legge Giovanni Solimine svela un panorama fatto di pochi lettori forti e molti lettori intermittenti che seguono i successi editoriali. Quali sono gli obiettivi del Centro per il libro e la lettura in proposito?
Promuovere la lettura vuol dire molte cose: può voler dire aumentare il numero dei lettori forti, o aumentare il numero dei lettori di qualità (che è tutt'altra faccenda), o aumentare tout court il numero dei lettori. La politica del Centro è quella di affrontare il problema a partire dalla base e non dal vertice. Questo perché diventa lettore saltuario una percentuale più o meno fissa di chi è entrato in contatto con i libri. E diventa lettore abituale una percentuale più o meno fissa dei lettori saltuari. E diventa lettore forte una percentuale più o meno fissa dei lettori abituali. Dunque la politica migliore a nostro avviso è di far entrare in contatto con i libri la parte più ampia possibile della popolazione. Tendenzialmente tutta. Si dirà: ma per questo c'è la scuola, questo lo fa già la scuola. Si, ma se il risultato è quel che abbiamo sotto gli occhi evidentemente qualcosa non funziona, non è quello il modo di avvicinare ai libri, di presentare i libri, di offrire i libri. Scoprire un'altra strada, cominciare a percorrerla, a sperimentarla è il compito principale del Centro per il libro.
Che ruolo svolge la ricerca nell'elaborazione di strategie per la promozione della lettura? Quale è e quale potrebbe essere il ruolo dell'Università?
Per quel che so, fino ad oggi la cultura universitaria non si è occupata, o si è occupata molto marginalmente del problema della lettura e, soprattutto, della promozione della lettura. Ma, al contrario, l'intervento della cultura universitaria è più che opportuno, necessario e più che necessario, ineludibile. Questo perché la sperimentazione su come promuovere la lettura deve essere condotta alla luce e con il supporto di precise conoscenze e di metodi scientifici. La sperimentazione sarà sperimentale, ma non meramente empirica o, peggio ancora, intuitiva e a capocchia. Lo si vedrà già con In vitro, il programma di sperimentazione che coinvolgerà un campione di province. Avremo bisogno di sociologi, demografi, psicologi, pedagogisti, statistici, economisti. Chiameremo a raccolta tutte le competenze esistenti all'interno delle province e, se necessario, anche all'esterno. Cercheremo di far comprendere al mondo dell'università - e penso non solo ai docenti, ma agli studenti e alle loro tesi di laurea - che la promozione della lettura è un'occasione, persino divertente, di mettersi alla prova, di applicare il proprio sapere e di cominciare così ad affrontare, in un misto di teoria e di pratica, un grave problema nazionale.
Il mondo dei libri è stato centrale nella cultura del Novecento, pensiamo ad esempio alla collaborazione di Pavese e di Vittorini con il mondo dell'editoria. Oggi questa centralità è in declino, o è in declino la figura dell'intellettuale?
Pavese è morto sessant'anni fa, Vittorini cinquanta. È come se nel 1848 si discutesse di uomini di cultura scomparsi prima della rivoluzione francese. Sono figure consegnate alla storia, ma, mi permetto di aggiungere, anche nella storia culturale del Novecento non mi pare che giganteggino. Quanto agli intellettuali, non saprei dire. Intellettuale si contrappone a manuale, ma, non esistendo praticamente più il manuale, non vedo come possa esistere l'intellettuale. Più in generale, io sono un progressista e non un decadentista. Nel senso che la mia esperienza di vita è quella di un miglioramento e non di un peggioramento. Il che non vuol dire che io sia un Candide, ma vuol sicuramente dire che, avendo buona memoria, non rimpiango neanche per un minuto le condizioni di vita culturale degli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta. Sono anzi ben felice che siano passati. Infine, la centralità dei libri nella vita culturale non mi pare sia mai stata o sia in discussione. Così come non è mai stata in discussione la centralità dell'aria nella vita biologica. Semplicemente, senza libri non c'è vita culturale.
La cultura in Italia subisce tagli economici rilevanti. Non si corre il rischio di rimanere fuori dagli impegni assunti a Lisbona sull'economia della conoscenza?
Lisbona o non Lisbona, a me pare che non ci sia in Italia consapevolezza del fatto che i soldi messi nella cultura sono un investimento e non una spesa. Prevale ancora il pregiudizio atavico, contadino, affamato, secondo il quale la cultura è otium e non negotium, una cosa da signori indolenti che leggono libri mentre i poveri faticano. E fa specie che a dire simili sciocchezze siano persone per loro conto colte e raffinate. Ciò detto, tutto sta a vedere che cosa si intende poi per cultura e che cosa, nella cultura, deve venire prima e che cosa deve venire dopo. Se fossimo un grande paese, colto, prospero e civile, potremmo permetterci tutti i teatri d'opera che vogliamo e tutti i film finanziati dallo stato che ci pare. Viceversa siamo piuttosto alle strette, non tanto o non sempre o non dovunque così civili, e abbiamo tassi di lettura da Europa mediterranea, in compagnia di Cipro, di Malta e della Grecia. E allora, che fare? Per non dire, restando ai soli libri, di tutti i soldi pubblici che vengono spesi in Italia in premi, festival, celebrazioni, eventi di ogni sorta e per ogni dove. Quanti sono, i soldi, dico? Nessuno lo sa. E sono tutti ben spesi? O, per meglio dire, che cosa se ne cava? Che risultati producono? La promozione della lettura è una via che porta lontano...
Ritiene che l'e-book finirà con il sostituire il libro cartaceo?
Tutto dipende da quel che vuol dire "finirà". Nel breve periodo, i prossimi cinque - dieci anni, sicuramente no. Nel medio, non si sa, è molto difficile da prevedere. Nel lungo, tra venti - trent'anni probabilmente si. Allora l'e-book sarà molto più accessibile del libro di carta e, soprattutto, costerà molto meno. Ma, a differenza di quanto accadde all'inizio del libro stampato, quando il crollo del prezzo divenne il più forte agente di promozione della lettura, il calo di prezzo dell' e-book non si tradurrà immediatamente in aumento dei tassi di lettura, perché il terreno è già ora e sarà sempre più occupato da altri media molto meno faticosi. Quindi, dal nostro punto di vista, che è quello della diffusione e promozione della lettura, libro di carta o e-book, il discorso non cambia.
Tracciando un bilancio della sua attività come presidente del Centro per il libro e la lettura, quali gli ostacoli e quali le conquiste?
Ostacoli molti, conquiste per ora nessuna, verrebbe da dire. Un po' meno superficialmente, l'ostacolo principale, presente in varia misura in tutti i soggetti, è la scissione, a volte quasi schizofrenica, tra il piano della comprensione del problema, dell'intenzione non solo a parole, ma reale, della volontà dichiarata di agire e il piano dell'azione concreta, che poi vuol dire rinunciare al proprio interesse particolare, rimettersi a un'istanza più generale, assumere un punto di vista più allargato. Domina invece la frammentazione più estrema, il particolarismo più cieco, la difesa accanita, famelica, del proprio territorio. Sul fronte positivo invece, il dato più confortante è una diffusa e ormai radicata insofferenza per la situazione presente. Molti, se non tutti, ormai si rendono conto che il problema è un problema e che va affrontato. C'è una specie di vergogna sociale per una condizione che viene ormai percepita come indecente, insopportabile. Un Paese così ignorante e incolto non piace più a nessuno.
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