Come previsto si sta facendo sempre più pesante la situazione economica delle biblioteche di ogni tipo. Biblioteche statali, biblioteche finanziate con fondi statali, biblioteche di enti locali, universitarie, scolastiche... direttamente o indirettamente, per effetto delle disposizioni sui bilanci degli enti di appartenenza, i bibliotecari hanno dovuto e dovranno fare i conti, anzi, rifarli, con i tagli spesso indiscriminati che sono stati imposti. Gli effetti più evidenti sono forse quelli riguardanti gli abbonamenti di quotidiani e riviste, la riduzione o sospensione di servizi, la riduzione dell'orario di apertura. A questo si accompagna il depauperamento professionale, soprattutto quando – e succede nelle piccole come nelle grandi biblioteche – la scelta di esternalizzare i servizi viene vista come l'ancora di salvezza, dove il criterio di assegnazione diventa il ribasso senza limiti; chi si aggiudica un appalto lo fa assegnando retribuzioni da fame agli operatori (spesso estremamente competenti) e mettendo fuori gioco chi pensa che ci sia comunque un minimo oltre il quale non si può e non si deve scendere.
Sbaglia chi accetta queste condizioni e sbaglia chi le propone. Se non ci sono i soldi – la giusta mercede – le cose non si fanno, o se ne fanno meno. Chi accetterebbe di farsi curare da un medico che offre un'operazione a prezzi da last minute? In effetti i saldi della cultura sono una pratica suicida, perché se la cultura è una delle cose che contraddistinguono una civiltà, ed ha quindi un valore, chi ne è custode ha valore, ed è un valore concreto perché si ridistribuisce nel momento in cui il custode/bibliotecario fa il suo lavoro, specialmente se lo fa bene.
Se oggi possiamo svendere una catalogazione, domani potremo affidare un servizio di reference a un gruppo di volontari, dopodomani la direzione di un sistema bibliotecario a un pierre di una discoteca, e via distruggendo. C'è persino chi pensa di vendere i monumenti! Riflettiamo. Le biblioteche sono antiche (anzi, secolari), poco flessibili, fragili ma non precarie, innegabilmente concrete in un'epoca di virtualità immateriale, non hanno il compito di produrre profitto, lavorano da secoli in cooperazione e in rete per la trasmissione dei saperi piuttosto che per la loro cancellazione, tendono a porre sullo stesso piano il ricco e il povero, il colto e l'ignorante, il maleducato e il cortese, il mascalzone e l'onesto; sono un luogo di incontro per persone e culture. Le biblioteche sono quindi qualcosa di disarmonico, di scomodo, di ingombrante, persino pericoloso: pretendono addirittura di offrire accesso libero alle conoscenze per tutti! Mai come oggi allora occorre far capire (servirà uno sciopero simultaneo? Uno stand up? Un sit in? Un flash mob? Iniziamo a pensarci...) che le biblioteche e i (bravi) bibliotecari sono importanti, non sono un lusso di cui possiamo fare a meno, ma una ricchezza di cui tutti hanno bisogno. E se questo ci costringerà ad essere non solo bravi catalogatori, sapienti conoscitori dello scibile umano, accoglienti e pazientissimi custodi, aggiornatissimi paleografi e tecnologi 3.0, ma anche piacevoli divulgatori, efficaci comunicatori, abili organizzatori e gradevoli animatori, abili a conquistarsi più amici di qualunque social network, ebbene, ci rimboccheremo le maniche e faremo del nostro meglio, senza pretendere o aspettare che qualcuno lo faccia per noi.
PS: Per alleviare il caldo e i momenti difficili abbiamo inserito per la prima volta un semplice gioco da tavolo: buon divertimento!
deveris@aib.it