Non se ne abbia il Poeta, ma furono proprio i suoi versi immortali a venirmi in mente, non so se per sconsiderata analogia, il 23 maggio 2009, mentre ci avviavamo alla conclusione dell'Assemblea generale.
Da qualche giorno era esploso il "caso" della Biblioteca De Amicis. L'Assemblea aveva espresso la più ferma solidarietà a Francesco Langella e ribadito come ogni tentativo di imbavagliare la vocazione democratica e pluralistica delle biblioteche contrastasse con la stessa deontologia professionale del bibliotecario. Nessun dubbio al riguardo, nessun tentennamento: una posizione, come si dice di consueto, "senza se e senza ma".
Eppure, ad un certo punto, i presenti ebbero quasi la sensazione (echeggiata nell'intervento di Roberto Tommasi sul Gruppo facebook "In Biblioteca nessuna censura") che si stessero delineando due "correnti": l'una in qualche modo "più sensibile" ai valori civili, sociali ed etici della professione, o quanto meno più incline a dare peso ed evidenza a questi valori e alle battaglie in loro nome; l'altra invece prioritariamente attratta dalle questioni legate al "riconoscimento" della professione e agli strumenti in grado di declinare l'identità professionale; un'ala, come dire?, più pragmatica e orientata al "particulare". Erano questi i due corni (talora antitetici?) che avrebbero dovuto caratterizzare l'azione "politica" dell'AIB?
Il 23 maggio sono salito sulla freccia rossa per Napoli con dentro un sottile senso di malessere. Pensavo, e penso tutt'ora, che nell'Assemblea, "non ci eravamo capiti". Ero, e sono convinto, che la "politica" dell'AIB, non debba oscillare in modo schizoide, costretta a scegliere, volta per volta, quale sia il maggior corno… I corni sono uguali. Semmai, di corni, ce n'è uno solo. Detto altrimenti: soltanto una figura di bibliotecario "forte" (vale a dire "riconosciuta") può difendere al meglio i principi fondanti della professione, gli ideali, i valori di democrazia, di eguaglianza, di pari opportunità a cui devono improntarsi i servizi bibliotecari. Soltanto un bibliotecario "forte" può riuscire a sottrarsi all'arroganza di un potere politico sempre più pervasivo e privo di freni inibitori.
I fatti di Genova o di Musile di Piave sono sintomatici della decadenza della "politica", nell'accezione nobile del termine. Il sistema politico sembra aver abdicato al suo ruolo, lacerato tra le pulsioni opposte della latitanza e dell'invadenza: più diventa incapace di "governare", di elaborare vision di ampio respiro, di progettare, di programmare, più sopperisce a questa "assenza" mediante becere invasioni di campo, interferendo laddove non dovrebbe, laddove la fragilità delle strutture e degli interlocutori gli offre il destro di mostrare i denti. Ho il sospetto, e non io solo, che Genova e Musile siano forse la punta dell'iceberg. Quanti altri episodi analoghi ma meno eclatanti si sono consumati o si consumano sulla pelle, ad esempio, di bibliotecari a contratto, che tacciono, e non si ribellano, per timore di non sapere come mettere domani il piatto a tavola? No, non c'è un corno "maggiore". Non c'è distanza tra dignità professionale e valori della professione.
È con questo convincimento che l'AIB sta "investendo" nelle strategie per il "riconoscimento". E un ambito nevralgico di quest'investimento sta nell'adesione al CoLAP.
So bene come l'arcipelago di iniziative genericamente targate "CoLAP", insieme a tutte le problematiche connesse a "cose tecniche" come direttive europee, leggi di recepimento, ricorsi ai TAR, incartamenti da presentare al Ministero della Giustizia, modifiche statutarie e quant'altro risultino una nebulosa poco decifrabile e per giunta di scarsa attrattiva per la stragrande maggioranza degli associati. Per questo ci stiamo impegnando con ogni mezzo in un'opera di informazione e sensibilizzazione.
Provo a cimentarmi in una sintesi brutale (e, consentitemi, anche poco "istituzionale" nel linguaggio): a monte c'è la presa di coscienza, tutta "politica", che i bibliotecari "non sono soli nell'universo". Pur non perdendo mai di vista la ricchezza dell'entroterra culturale e valoriale da cui proveniamo, non dobbiamo commettere l'errore che ciò ci induca a isolarci nella classica torre d'avorio. Altre decine di professioni (il CoLAP conta 230 associazioni aderenti) vivono le nostre medesime problematiche e, spesso, frustrazioni. Contro, abbiamo l'apparato delle tradizionali professioni ordinistiche che permeano tutti i più importanti gangli del potere politico-amministrativo. Alleati agli altri possiamo (forse, ed è tutt'altro che certo) rappresentare una forza d'opinione, come pure, prosaicamente, un bacino di riferimento nelle interlocuzioni politiche. Da soli, ci ha insegnato l'esperienza di cocenti disillusioni maturate in alcuni decenni, non andremo da nessuna parte.
L'asse portante della strategia "CoLAP" consiste nel superare lo statico modello autorizzatorio di tipo ordinistico, basato sul riconoscimento preventivo dei singoli profili professionali, attraverso il riconoscimento delle Associazioni che le rappresentano. Nell'epoca dell'economia della conoscenza, caratterizzata dalla velocità dei processi evolutivi, non è pensabile cristallizzare ad una data precisa, per mezzo di una legge, i requisiti di una professione. L'alternativa è il riconoscimento delle Associazioni, gli unici soggetti in grado di definire dinamicamente gli ambiti tecnici, scientifici, deontologici delle rispettive professioni, oltreché di tracciare le opportune norme di trasparenza per il reclutamento, la valutazione dei percorsi formativi, e via di seguito. E' evidente che l'AIB deve attrezzarsi in modo adeguato, sia sul piano strutturale e organizzativo che giuridico, per sostenere una simile responsabilità. Insomma, a dirla con uno slogan, occorre un'AIB "forte" per una professione "forte". Se questo è il traguardo a cui miriamo, i destini dell'Associazione e della professione appaiono molto più che incrociati, inestricabilmente congiunti.
Concludo con un passo di Giovanni Solimine: "Li si lasci lavorare [i bibliotecari], gli si diano i necessari strumenti per farlo, non si mortifichino i loro progetti. Da tempo l'AIB sostiene che bisogna dare più autonomia e responsabilità alle biblioteche ed ai bibliotecari rispetto ai vertici amministrativi e politici. Un corretto rapporto tra tecnici e politici nasce dal rispetto reciproco e dalla capacità di ognuno di esercitare il proprio ruolo […]. Il resto verrà modellato dall'evoluzione della realtà sociale. E' solo di questo che hanno bisogno le biblioteche…". Non siamo dopo Genova, o dopo Musile. No. Sono le frasi conclusive della Presentazione a Una politica per la biblioteca di ente locale: documenti e materiali di ricerca, a cura di Raffaele De Magistris. Correva l'anno 1989. Come Associazione abbiamo il dovere di potenziarci concretamente affinché non restino ancora, per un altro ventennio e oltre, delle nobili ma velleitarie petizioni di principio.
Genova, la giornata del 15 aprile, è anche questo.
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