Come persona ho sempre pensato che ci sono alcune ‘cose degli uomini’, come direbbe Marc Bloch, per le quali vale la pena affrontare battaglie anche dure, senza se e senza ma: l’amore, l’amicizia, la libertà.
Come vice presidente dell’AIB ho sempre pensato che l’Associazione debba avere anche una dimensione di militanza a supporto di quei principi che sono alla base di una società aperta e democratica. Penso in altre parole che il ruolo del bibliotecario non possa concepirsi come caratterizzato dal disimpegno, dalla sostanziale passività nei confronti della produzione culturale, dei modi di tale produzione, dei mezzi di diffusione.
Penso anche che la biblioteconomia non sia una disciplina esclusivamente formale e tecnica, ma che per certi aspetti sia anche una scienza sociale o che perlomeno debba confrontarsi con i ‘fatti scomodi’ (unbequeme Tatsachen) di weberiana memoria e che la nostra professione abbia anche una dimensione sociale. Penso insomma che non si possa essere indifferenti di fronte a fatti, atti o eventi che mettono in discussione quei principi che caratterizzano il vivere civile e democratico.
La difesa del pluralismo, della tolleranza e del rispetto delle opinioni e degli stili di vita altrui sono parte dell’ethos della professione e devono costituire il nomos dell’Associazione.
In questa prospettiva professione e Associazione devono essere, per così dire, due destini che si uniscono.
Ethos della professione e nomos dell’Associazione si intersecano con l’identità della biblioteca pubblica e il suo ruolo nella sfera pubblica contemporanea e con quella dimensione della biblioteca pubblica che un maestro come Crocetti definiva ‘contemporaneità’.
Interpretare la dimensione della contemporaneità significa soprattutto ammettere che la società è fatta anche di tanti punti di vista sul mondo, di tanti stili di vita e anche di diversi modi di vivere l’affettività.
La biblioteca e il bibliotecario non possono adottare un punto di vista, uno stile di vita e un modo di vedere il mondo.
Se così fosse la biblioteca non sarebbe per tutti, magari sarebbe per la maggioranza, ma non per tutti. La pluralità dei punti di vista, delle idee, delle opinioni, che è ricchezza e sostanza di una società aperta verrebbe meno.
E verrebbe meno anche quel sogno tutto moderno di emancipazione che in fondo ci fa credere ancora nella biblioteca pubblica, anche se il modello che abbiamo ereditato è ormai logoro e fors’anche inadeguato; quel sogno per il quale si entra in biblioteca come utenti e si esce come cittadini.