L’intento degli organizzatori della giornata di studi “Humanae litterae and new technologies” era quello di fare il punto sul rapporto fra scienze umane e nuove tecnologie, e di capire in che modo si influenzino reciprocamente.
Accanto alla diffusione delle nuove tecnologie (e grazie ad esse) il movimento dell’accesso aperto ha portato a un ripensamento dei ruoli e delle modalità della comunicazione scientifica tutti gli attori della filiera della comunicazione: autori, editori, gestori (i bibliotecari) e lettori.
Le sfide poste dall’accesso aperto e dalle nuove tecnologie hanno messo in crisi i paradigmi tradizionali per ciò che riguarda i modelli di pubblicazione, i servizi editoriali e la gestione dei diritti. Un tempo si ricorreva all’editore in quanto garanzia di filtro e di qualità, in quanto organizzatore del testo con un determinato layout e in quanto distributore.
Oggi le tecnologie permettono ai ricercatori di rendere pubblici i propri lavori senza passare dall’editore e di lasciare il giudizio sulla qualità ai lettori (la comunità dei pari allargata a tutti i potenziali interessati che nel mondo analogico difficilmente potevano venire a conoscenza dei lavori di ricerca dei colleghi di discipline affini).
Per gran parte delle pubblicazioni di ambito umanistico, quelle finanziate da facoltà e dipartimenti, la mediazione editoriale (quell’azione di filtro che impone poi il marchio di qualità a un articolo o a una monografia) è quasi nulla.
Non che la review non venga fatta, ma è gestita esternamente al processo editoriale, così che all’editore viene semplicemente chiesto di stampare il testo. A caro prezzo.
La domanda che viene spontanea è dunque quale ruolo debba avere la mediazione editoriale (e se abbia ancora un ruolo), in un’epoca in cui gli autori sono in grado di confezionare e distribuire da sé prodotti di cui hanno gestito la validazione e sui quali hanno necessità di mantenere almeno una parte dei diritti.
Certamente gli editori presenti il 14 maggio a Milano hanno dimostrato che questo ruolo esiste in termini di offerta di servizi, di realizzazione tecnologica, di filtro, di distribuzione, ma altrettanto certo è che non esiste (né può più esistere) un solo modello editoriale.
Ci sarà allora il print on demand che affianca, come servizio di stampa a un prezzo adeguato, opere online interamente gestite e organizzate dai comitati editoriali formati da docenti e ricercatori.
Ci sarà l’editore che pubblica e-book ad accesso aperto e vende la copia a stampa, acquisendo tutti i diritti sulla versione a stampa ma lasciando all’autore quelli sulla versione online; ci sarà l’editore che, pur non contemplando l’Open Access offre servizi editoriali avanzati, possibilità di acquisto diversificate della copia online, o sistemi di pubblicazione interoperabili, con una meta datazione che conferisce alle opere una grande visibilità, dove il formato elettronico proposto non è una riproduzione di quello cartaceo, ma un modo diverso di intendere il testo, con caratteristiche proprie.
I vari progetti presentati sono stati pensati per soddisfare esigenze diverse, rendendo (finalmente) vivace un mercato in cui i vari soggetti si sforzano di offrire alla comunità accademica servizi migliori e diversificati attivando meccanismi competitivi.
Quali servizi scegliere? Non c’è un servizio migliore in assoluto.
Le facoltà e i dipartimenti potranno, di volta in volta, rivolgersi al servizio e all’editore più adatto a soddisfare l’esigenza del momento. In alcuni casi sarà il print on demand, in altri la pubblicazione di un e-book, con anche una versione cartacea, in altri ancora una pubblicazione sulla quale possano essere attivati una serie di servizi tipici del Web 2.0.
Ovviamente a servizi diversi corrisponderanno costi diversi.
Come è stato più volte ripetuto non è vero che le nuove tecnologie hanno abbattuto i costi, essi si sono solo allocati diversamente. Se allora i servizi di print on demand hanno azzerato i costi di magazzino, i sistemi di offerta digitale assorbono risorse in termini di ricerca e sviluppo.
Sollecitati dalle nuove tecnologie, dagli esempi stranieri e dalla esigenza degli autori di riutilizzare i propri testi e di vederli diffusi a un pubblico che sia il più ampio possibile, gli editori (quelli presenti alla giornata, ma ci sono senza dubbio altri esempi) hanno lavorato molto e hanno lavorato bene.
L’azione dei bibliotecari sugli autori (all’interno di facoltà e dipartimenti), e sugli editori, in tutti i momenti di confronto, ha sicuramente avuto un importante ruolo di indirizzo sia della domanda che dell’offerta. Ha reso consapevoli gli autori dell’importanza di una gestione responsabile della proprietà intellettuale ma anche dell’esistenza di modalità diverse e più efficaci di comunicare le proprie ricerche.
A conclusione della giornata sembra di poter affermare che le nuove tecnologie non hanno portato alla tanto temuta disintermediazione, ma hanno reso gli autori più esigenti e consapevoli e stimolato gli editori a fare meglio.
La mediazione editoriale ha ancora senso se in grado di aggiungere davvero valore alle pubblicazioni. L’editore che si limita a stampare chiedendo agli autori una cessione esclusiva dei diritti e offrendo in cambio una distribuzione minima sia cartacea che online, non ha più senso, perché gli autori richiedono ormai altri tipi di servizi e la domanda si è alzata di livello.
paola.galimberti@unimi.it