[AIB] AIB notizie 21 (2009), n. 4
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Cronache dalla conservazione
5. la prevenzione (prima parte)

Carlo Federici

Dopo lo studio, trattato nella precedente puntata, eccoci alla prevenzione, la seconda attività praticabile da coloro che non «sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia», visto che l’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio riserva «in via esclusiva» ai restauratori l’esercizio della manutenzione e del restauro.
Poiché mi rivolgo sostanzialmente ai bibliotecari – che si occupano o intenderebbero occuparsi di conservazione – e poiché la prevenzione è il “luogo” verso il quale dovrebbe indirizzarsi una parte rilevante dell’attività del bibliotecario conservatore, mi è parso opportuno dedicare all’argomento due puntate di queste “Cronache” sperando di incontrare il gradimento dei lettori.
Sgombriamo innanzitutto il campo dagli equivoci lessicali.
Si sente spesso parlare di “conservazione preventiva” creando una sorta d’implicita fusione tra conservazione e prevenzione come se fossero tutt’uno. Nulla di strano fino al 2004, ma alla luce dell’ormai stracitato articolo 29, si tratta oggi di una definizione al tempo stesso ridondante ed errata. Se la conservazione comprende studio, prevenzione (d’ora in avanti, solo P), manutenzione e restauro, che senso ha associarla soltanto alla P? Essa rappresenta una delle attività da svolgere in modo coerente, coordinato e programmato assieme alle altre tre.

Vediamo ora in cosa consiste la P. Il Codice lo spiega bene.
«Per P si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto.» (art. 29, comma 2). Proviamo ad analizzarlo nel dettaglio: «complesso delle attività» dovrebbe voler dire che, per esercitare correttamente la P, è necessario mettere in atto diverse attività, perché una sola non basta.
Inoltre il legislatore si rende conto che è possibile solo «limitare», non escludere totalmente, «le situazioni di rischio». Qui tuttavia si registra la prima (piccola, per ora) pecca: il rischio non riguarda solo la conservazione ma anche la tutela in generale (antifurto e antincendio, ad esempio, sono misure di tutela non di conservazione: l’antitaccheggio o gli estintori non riducono la degradazione della carta). Nelle attività di tutela rientra certamente la conservazione, ma non tutte le attività di tutela riguardano la conservazione.

Per parte mia – ribadendo “brandianamente” il primato della materia – definisco la P come un’attività conservativa che non modifica la consistenza fisica e chimica dei beni culturali e che intervenendo “indirettamente” su di essi – dunque senza toccarli – ne rallenta la degradazione. Se ne deduce che, nell’esercizio della conservazione, la P occupa il vertice, visto che anche lo studio, irrinunciabile e più che meritorio, comporta una pur minima sollecitazione degli originali, sollecitazione che non si verifica nella P. Dopo di essa, viene la manutenzione che, come vedremo (se ne tratterà in una delle prossime puntate), pur senza le alee del restauro, non è del tutto scevra di incognite.
A questo punto vale la pena di entrare nel merito della P.
Il primo modo di praticarla è il controllo dei parametri ambientali che, in ordine crescente di gravità, sono l’inquinamento, la temperatura, la luce e l’acqua nelle fasi liquida e gassosa. L’inquinamento e la temperatura non hanno un gran peso, soprattutto se confrontati con gli altri due parametri: il primo, se si presta un minimo di attenzione all’apertura delle finestre (meglio sarebbe che i depositi per la conservazione ne fossero del tutto privi ovvero che le finestre non venissero aperte cosicché l’aria esterna venisse immessa nei depositi solo mediante sistemi di ventilazione forzata e previa scrupolosa filtrazione) e se l’ambiente circostante non è eccessivamente malsano, può essere tenuto sotto controllo con relativa facilità.
Lo stesso vale per la temperatura che, se si sfruttasse l’inerzia termica delle strutture murarie (gran parte delle biblioteche si trova in edifici antichi, “naturalmente” coibentati) curando in particolare la tenuta di porte e finestre, si otterrebbe, con un minimo dispendio energetico, se non la perfetta costanza della temperatura, variazioni poco rilevanti, dunque accettabili.
Il discorso cambia per la luce la quale, oltre ad essere l’agente della visione, contiene in sé una serie di radiazioni ricche di energia che, quando colpiscono i libri (ma il discorso vale per tutti i beni culturali), danno il via a reazioni fotochimiche che si traducono in degradazione. Se è vero che tutta la degradazione è irreversibile, per quella indotta dalla luce si deve aggiungere l’effetto di accumulo cui d’altra parte non è possibile porre rimedio. Abbiamo appena detto che la luce è quel fenomeno fisico che ci consente di vedere e, per qualsiasi tipo di bene culturale, la prima, fondamentale fruizione avviene con la vista. Certo, la luce è un inconfutabile fattore di degrado, ma senza di essa non c’è fruizione e, senza fruizione, che senso ha conservare? Eviteremo quindi di esporre i libri alla luce solare, ma non ci resta che rassegnarci a convivere con la degradazione che, d’altra parte, volenti o nolenti, continua a progredire e che noi possiamo soltanto tentare di contenere.

Da qualche tempo sono incerto se attribuire il primo posto quale agente deteriorante alla luce o all’acqua: infatti se i danni causati dalla prima sono inevitabili e irreversibili, la presenza dell’acqua – del tutto inaccettabile nella fase liquida – nella fase vapore può essere opportunamente regolata sino a renderla, se non del tutto inoffensiva, poco perniciosa. Tuttavia, quando l’umidità relativa raggiunge aliquote elevate, può determinare in breve tempo tanti e tali guasti che a causa della luce si verificano solo nel lungo o lunghissimo periodo. Sicché, alla fine, continuo a considerare l’umidità relativa come il peggiore dei mali.
Di esso tratterò nella prossima puntata nella quale affronteremo anche le altre articolazioni della P, vale a dire i compiti del conservatore in biblioteca e l’educazione degli utenti.

cfederici@tin.it


FEDERICI, Carlo. Cronache dalla conservazione 5. la prevenzione (prima parte). «AIB notizie», 21 (2009), n. 4, p. 23

Copyright AIB 2009-07, ultimo aggiornamento 2009-07-30 a cura di Zaira Maroccia
URL: http://www.aib.it/aib/editoria/n21/0423.htm3

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