Esperienze di progetti di digitalizzazione e creazione di complessi database modellati su FRBR sono frequentemente rintracciabili fuori d’Italia, come ad esempio quello messo a punto dalla Médiathèque de l’IRCAM e testimoniato da Michael Fingerhut: in essa i contenuti sono considerati non tanto alla stregua di oggetti quanto piuttosto di eventi musicali. È proprio la complessità dell’evento musicale a presentare le maggiori difficoltà al lavoro del bibliotecario: materiale per una visione più critica è venuto dalla relazione di Angelo Orcalli (Università di Udine), incentrata sulla musica elettronica creata per la radiofonia, contraddistinta da caratteristiche peculiari quali il supporto (il nastro magnetico) e il concetto stesso di autenticità dell’opera: in questi casi ci si trova di fronte a unica dalla somma inscindibile di opera+fonte; non soltanto per queste opere, ma per molta della musica elettronica del Novecento, l’applicazione dei modelli concettuali bibliografici non ha senso.
Converrebbe quindi rinunciare del tutto ad adottare un approccio forzatamente “semplificante”, per mantenerne uno “complesso”, di “ri-mediazione” (come si usa dire nella fenomenologia della musica elettronica). In questo senso va l’intervento di Luca Cossettini sulla Fabbrica illuminata di Luigi Nono: l’edizione critica di questo brano per voce e nastro magnetico ha posto il problema di ricostruire la tradizione (filologicamente intesa) del testo e la traduzione delle numerose registrazioni. Addirittura, eventuali progetti di digitalizzazione dell’opera non necessariamente dovrebbero essere condotti – come le linee guida IASA imporrebbero – sulla migliore delle copie esistenti, perché non è detto che le copie deteriori non siano le più rispondenti alla volontà dell’autore.
Vincenzo Lombardo ha poi mostrato come attraverso il ricorso a modelli informatici e alle tecniche di realtà virtuale sia stato possibile ricreare il Poème électronique che il compositore Edgar Varèse e Le Corbusier, coadiuvati da Iannis Xenakis, concepirono per il padiglione Philips dell’Expo di Bruxelles del 1958, presto smantellato e mai più ricreato. La relazione finale di Rossana Damiano ha gettato luce sugli scenari futuri entro cui si muoverà la condivisione dell’informazione e della documentazione musicale: partendo dalle tematiche del semantic web, la Damiano ha passato in rassegna le principali ontologie formali legate alla musica. Le ontologie – intese in accezione informatica – essendo rappresentazioni formali dei concetti (o delle entità) e delle relazioni tra essi all’interno del dominio cognitivo musicale, rappresentano la nuova frontiera del lavoro di modellizzazione che sottosta alla creazione di strumenti quali cataloghi, banche dati, collezioni digitali, ma anche librerie musicali commerciali.
Tra queste ontologie vanno ricordate Music Ontology, MX Genre Ontology, MPEG-7 Ontology, oltre a quelle di ambito affine (ad esempio il diffuso CIDOC CRM per i beni culturali). Il problema che condiziona attualmente le ontologie di tutti i generi è la difficoltà nel trovare standard largamente condivisi, il che rallenta le esperienze di interoperabilità: si ripropone quindi in termini moderni uno degli handicap più “antichi” del mondo delle biblioteche, vale a dire il freno nell’adozione di una grammatica comune, quando addirittura i dubbi teorici non minino i propositi di ordinamento, digitalizzazione e accesso a certa tipologia di documenti musicali.
Pur al cospetto di tali sviluppi, nelle biblioteche italiane si continua a contribuire al livello basilare della ricerca musicologica, vale a dire l’implementazione della base dati di SBN con notizie di manoscritti e edizioni musicali. Da una sessione del XV Convegno della Società italiana di musicologia (SIdM), tenutosi a Bergamo, presso la Civica Biblioteca “Angelo Mai”, alla fine dell’ottobre 2008 si è usciti con la convizione che è ancora ben viva la cultura dei fondi bibliografici, che costituiscono ancora la base di un certo discorso sui loro possessori, quando essi siano musicisti (come nel caso dei bergamaschi Piatti e Gavazzeni). Certo, le biblioteche musicali italiane si trovano oggi a operare in un contesto palesemente problematico, come messo a fuoco anche dalla tavola rotonda organizzata in seno al convegno il 25 ottobre: l’incontro, pur impostato sulla carta all’insegna di una certa generalità, nei fatti ha tuttavia riguardato in maniera pressoché esclusiva le biblioteche dei conservatori di musica.
Punto di partenza è stato il documento preparato dal presidente della SIdM, Guido Salvetti, in cui si riassumeva la situazione paradossale delle biblioteche dei conservatori, i quali fanno ormai parte delle istituzioni di alta cultura in virtù della legge n. 508/1999, mentre le biblioteche in moltissimi casi non sono accessibili con orario dignitoso, né il loro posseduto è aggiornato, né tantomeno è adeguata la preparazione di molti che vi operano. Come porre rimedio a tutto ciò? Salvetti auspica che vengano riformulate, anche attraverso lo strumento legislativo, eventualmente a livello ministeriale, figure quali quelle del “coordinatore di biblioteca”, già embrionali nei contratti collettivi, e confida nel buon uso dello strumento dell’autonomia che ogni conservatorio possiede, per dotarsi di risorse proporzionate alla natura e all’ampiezza dei fondi e – aggiungiamo – al decoro dei servizi e alla lungimiranza dei progetti legati a ciascuna biblioteca: competenze necessarie per scongiurare la minaccia, talora presentatasi nel passato, che il patrimonio delle biblioteche dei conservatori venga condizionato dalla giurisdizione di biblioteche di altri enti.
Nel successivo intervento, Antonio Caroccia ha riassunto le tappe storiche del ruolo di biblioteche e bibliotecari nei conservatori, con proposte conclusive analoghe a quelle accennate in precedenza. A tale proposito ha portato la propria testimonianza Agostina Zecca Laterza, presidente della International Association of Music Libraries Italia, chiamata più volte dagli uffici ministeriali a contribuire al risanamento delle biblioteche musicali: dopo aver ripercorso in termini sintetici ed esemplificativi la vicenda della Biblioteca del Conservatorio di Napoli, Zecca Laterza ha concluso che, oltre a un buon uso dell’autonomia di ciascun conservatorio, occorre un massiccio ricorso al bando di concorsi dal contenuto puntuale e altamente professionalizzato. Alcuni spunti per una posizione ottimistica vengono dalle numerose esperienze di biblioteche di conservatorio che hanno partecipato ai progetti della Biblioteca digitale italiana, come ricordato da Laura Ciancio dell’ICCU, anche se al momento attuale sottoposti a una reingegnerizzazione che dovrebbe condurre a maggiore usabilità: a fianco delle biblioteche nazionali e civiche dotate di raccolte musicali, alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, la biblioteca della Fondazione Rossini di Pesaro, molte delle biblioteche dei conservatori sono presenti nella BDI (a breve dovrebbe anche esservi destinato un corpus di immagini provenienti dalla Biblioteca del Conservatorio di Napoli). L’integrazione dei vari progetti è possibile solo grazie al presupposto della condivisione degli standard catalografici e informatici, senza la quale imprese di questo tipo rischiano di essere confinate in una dimensione magari rigogliosa e talvolta pure vivace, ma in definitiva alla dispersione o all’autoreferenzialità.
È per questo che non si può non augurare buon successo a due iniziative, nate da casi di illuminata conduzione delle realtà bibliotecarie e musicologiche e ad alto contenuto di innovazione, presentate durante lo stesso convegno. Ottimi esempi di impiego dei modelli concettuali per la realizzazione di banche dati – nel primo caso – o di collezioni digitali – nel secondo caso – di argomento musicologico, entrambe vanno ad aggiungersi alle esperienze presentate nella giornata torinese: si tratta dell’Archivio della cantata italiana (database di item appartenenti al genere musicale della cantata, diffuso soprattutto nei secoli XVII-XVIII, con dati testuali e musicali) e dell’anteprima del progetto BAMI (Biblioteca aperta Milano), ancora in fase di lavorazione, in collaborazione tra il Conservatorio di Milano e il Cilea, basato sul semantic web e finalizzato a permettere una navigazione tra oggetti digitali (partiture autografe, corredi iconografici, documenti d’archivio ecc.) appartenenti al mondo musicale milanese ottocentesco seguendo il filo rosso delle entità di FRBR, al modo del già esistente progetto DigitaMi della Sormani di Milano.
La discussione ha toccato in maniera tangenziale le biblioteche di ambito musicale delle università. Come estendere le conclusioni della tavola rotonda di Bergamo anche a queste ultime, la cui natura è quasi sempre promiscua (in esse convivono raccolte di altre discipline artistiche) e spesso inserite negli ingranaggi di un sistema bibliotecario di ateneo? Esse dovranno allo stesso modo avvalersi dell’autonomia, di quella che l’università assegnata ai singoli dipartimenti, facoltà o biblioteche, fronteggiando le stesse esigenze di formazione e le questioni più ampie sollevate dall’attuale transizione.
Il mondo musicale sta cambiando, dalle pieghe accademiche delle fonti di documentazione all’offerta dei music store di Internet: fatte salve le specificità dei media legati agli oggetti sonori, verso i quali occorre il massimo rispetto in sede di modellizzazione, descrizione, digitalizzazione, il futuro di tutte le iniziative oggi in bocciolo passa attraverso un comune denominatore di metodo corretto, aperto al dialogo e alla circolazione delle idee, a formare una sorta di corolla ancillare tanto per l’utenza delle discipline storico-musicali quanto per il pubblico più ampio.
stefano.baldi@unito.it