Il 23 novembre 2007 si è svolto a Roma l’incontro “L’informazione pubblica dalla produzione alla disponibilità”, presso la Biblioteca del Senato. L’incontro cadeva nel decennale del repertorio della DFP – Documentazione di fonte pubblica in rete, nato appunto nel 1997. La giornata è stata aperta dalla senatrice Beatrice Magnolfi del gruppo PD-Ulivo, che ha inquadrato il tema della giornata sotto il segno dell’efficienza amministrativa e dell’allargamento della democrazia come risultati di una politica di accesso a dati e documenti da parte dei cittadini. Esplicito il riferimento ai tanti siti web delle pubbliche amministrazioni che col tempo hanno smesso di fare comunicazione per trasformarsi in vetrina, correndo il rischio della pura autocelebrazione istituzionale. Ma la senatrice ha accennato anche all’inedito momento attuale, in cui i cittadini esprimono una forte volontà di partecipazione alla politica attraverso il Web, collegandolo alla necessità di organizzare questa volontà in modo trasparente ed efficace attraverso la pubblicazione dei dati pubblici in un linguaggio chiaramente comprensibile.
Quasi tutti gli incontri della giornata hanno toccato il punto della divulgazione dei dati pubblici in senso lato (cioè per il pubblico dei cittadini e non dei soli addetti ai lavori), con un orientamento generale a favore dell’idea che siano gli stessi enti produttori di dati e ricerche a potersene fare carico. Si apre dunque un’interessante dialettica sia con l’editoria commerciale, sia con le biblioteche e con la loro tradizionale opera di selezione e di proposta.
Fernando Venturini ha continuato esponendo i principi alla base del documento di indirizzo Stato e necessità della documentazione di fonte pubblica in rete, preparato dalla redazione di DFP: disponibilità, affidabilità e conservazione dei dati (insomma un bell’equilibrio fra accesso e conservazione). Come già aveva sottolineato Piero Cavaleri nell’introduzione, dati e ricerche prodotti dagli enti pubblici costituiscono un’alternativa gratuita e spesso migliore rispetto all’editoria commerciale. Ma che fare se gli stessi produttori non la rendono disponibile in modo stabile? Venturini cita come esempio il fatto che non sia più reperibile, sul sito del Ministero del lavoro, il Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia di Marco Biagi. Ma si sofferma anche di nuovo sul concetto di sito-vetrina, che arriva a essere espressione del governo attuale anziché del governo in quanto istituzione (non solo auto-celebrazione istituzionale, dunque, ma addirittura marketing puro e semplice). Un altro esempio citato è quello del bestseller La casta che, senza la disponibilità online dei dati sui costi della pubblica amministrazione in paesi differenti, non sarebbe neppure stato scritto. Un buon caso da ricordare quando occorre distinguere fra pubblico nel senso di “pubblica amministrazione” e pubblico in quanto “politica”.
Francesco Merloni ha fatto un intervento basato sull’opposizione concettuale accesso/trasparenza. Solo la trasparenza consente il controllo sul potere politico da parte del cittadino, e la trasparenza è molto di più del semplice diritto di accesso. Per tradizione, i documenti pubblici vengono scritti per rispondere a esigenze amministrative, non di comunicazione – vengono infatti interpretati da quella professione “filtro” specifica che sono gli storici. Quello che avviene oggi è però che i documenti diventano accessibili con una rapidità inedita, ma continuano a essere redatti per le stesse esigenze e con lo stesso linguaggio di una volta. Un esempio sono i bilanci: senza strumenti esplicativi e serie storiche resteranno sempre appannaggio di lettori tecnici, non del grande pubblico. Occorrono quindi nuove regole di qualità e leggibilità nella redazione degli atti. Il secondo focus di Merloni è la privacy. Istituzionalmente in Italia il diritto di accesso (anche con le limitazioni dette) è meno riconosciuto rispetto al principio del rispetto della privacy, che ha infatti un’autorità indipendente che se ne occupa. Ciò finisce per limitare accesso e conoscenza. Merloni suggerisce che sarebbe più utile avere un unico ente di governo dei dati che si occupi sia di trasparenza, sia di privacy.
Uno scambio fra Cavaleri e Venturini ha messo l’accento sul tema di quanto mettere in rete. Un eccesso di comunicazione può risolversi in un’assenza di trasparenza, perciò occorre essere cauti con l’idea che pubblicare tutto in rete renda automaticamente comprensibili le cose. Dove si parla di information overload, insomma, si finisce inevitabilmente per parlare di intermediazione e di information literacy. Ma, d’altro canto, interezza dei materiali e lavoro di intermediazione possono coesistere, almeno perché gli stessi intermediari dell’informazione abbiano a disposizione la materia prima su cui lavorare.
Per passare ai campi di applicazione, ci sono stati alcuni interventi relativi alla comunicazione in campo economico (Lapo Berti), giuridico (Enrico Carloni), statistico (Enrico Giovannini) e ambientale (Alessandra Ensoli e Riccardo Liburdi). L’accessibilità all’informazione economica è necessaria sia per l’efficienza dei mercati, sia per la difesa dei consumatori. Ma per una vera democrazia economica non è sufficiente la mera presenza online dei dati, perché essi devono essere resi fruibili dal comune cittadino. La soluzione può risiedere in strumenti di interazione come il numero verde disponibile sulla home page dell’Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato) per la segnalazione di pubblicità ingannevoli e di pratiche commerciali scorrette. Con 20 ore a settimana di apertura, il numero verde riceve circa trecento chiamate al giorno, che l’Autorità prende in considerazione e sulla base delle quali agisce, qualora sia il caso. Al di là dei casi singoli, tutto ciò permette all’Autorità di capire quali siano i mercati più a rischio di abusi. Dall’insieme di queste conoscenze potrebbero scaturire, come accade in altri paesi europei, indicazioni dirette per i cittadini, veri e propri manuali (ad esempio a quale clausola stare attenti in un certo tipo di contratto).
In campo giuridico, lo stato dell’arte dell’informazione in rete registra ancora un vuoto importante sui testi normativi vigenti. Gazzetta ufficiale, sito del Parlamento e Normeinrete non riescono infatti ancora a coprire interamente questa necessità che, naturalmente, è quella che tocca il cittadino comune. Occorre dunque un ulteriore sforzo di coordinamento. Un esempio di divulgazione in campo statistico, campo che tipicamente il pubblico generico percepisce come ostico, è fornito da Gapminder, organizzazione non-profit che si occupa di sviluppo umano. Sul sito dell’organizzazione sono disponibili applicazioni grafiche che mostrano in modo immediatamente intuitivo i mutamenti in serie storica di valori quali l’aspettativa media di vita, i budget militari ecc. nei diversi paesi del mondo. La comunicazione ambientale tra istituzioni, imprese e cittadini è stata approfondita dal progetto MOPAmbiente (Monitoraggio degli orientamenti e delle politiche per l’ambiente in Italia) attraverso studi e sondaggi di opinione sulle tendenze della popolazione verso le tematiche legislative e ambientali. Sono segnalati due esempi di pubblicazione in linea di dati ufficiali in forma leggibile anche dai non addetti ai lavori: l’Annuario dei dati ambientali dell’APAT e il sito Valutazione d’impatto ambientale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che fornisce informazioni tecniche e amministrative sui progetti sottoposti a procedura VIA. Gino Roncaglia fa invece l’ipotesi di applicare i wiki alla stesura dei testi normativi, eventualmente insieme a blog che permettano ai cittadini di seguire l’andamento dei progetti e ad archivi documentari con la normativa e i documenti di riferimento. Quello che sta dietro a questa proposta è l’idea che si debbano promuovere spazi di espressione politica orientati al rigore e alla documentazione, e il tema torna dunque a quanto detto in apertura dalla Magnolfi.
Esempi di siti che accolgono le proposte dei cittadini citati da Roncaglia sono Police Act Review, sito ufficiale neozelandese che raccoglie le proposte dei cittadini su ordine pubblico e polizia, ma anche i nostrani La rosa nel pugno e ITLEX, wiki per l’elaborazione di una proposta di legge sul diritto d’autore. Tutti esempi, però, che mancano di un collegamento alla documentazione di riferimento, fatto dovuto probabilmente sia a una generale mancanza di “cultura della documentazione”, sia ai problemi intrinseci di disomogeneità dei repository istituzionali DFP.
Per approfondire questi temi è disponibile il blog Wikilex curato da Roncaglia insieme a Roberto Casati. Francesco Tortorelli ha aggiunto alcuni riferimenti alle strategie politiche in atto in tema di cittadinanza digitale, dalla Dichiarazione dei ministri (Lisbona, 20 settembre 2007) al Codice dell’amministrazione digitale italiano. Il suo intervento si è poi focalizzato sui motori di ricerca, evidenziandone i limiti attuali, i metadati e il web semantico come orizzonte di sviluppo di una politica di trasparenza e partecipazione. Paola Galimberti ha analizzato come gli strumenti dell’Open Access, e in particolare gli archivi aperti, possano venire incontro alle esigenze di accessibilità e pubblicità dei documenti della pubblica amministrazione. In particolare il suo intervento si è concentrato su quel genere di ricerche e di studi (un tempo definiti come letteratura grigia) che attualmente non trovano possibilità di diffusione e restano sepolti in siti di difficile consultabilità, risultando per lo più invisibili. I documenti negli archivi aperti, al contrario, nascono in forma elettronica e col valore aggiunto di essere forniti dei metadati che ne garantiscono l’esposizione ai motori di ricerca e l’interoperabilità.
Siti web contenenti fonti preziose ma difficilmente ricercabili sono ad esempio quello della Camera e quello dell’Apat, mentre si possono ricordare come archivi aperti nelle pubbliche amministrazioni i siti del Consiglio nazionale delle ricerche, dell’Istituto superiore di sanità e della Scuola superiore pubblica amministrazione locale. Quest’ultimo si segnala per la caratteristica di essere strutturato su base nazionale (ospitando con i materiali didattici dei corsi nazionali), ma di offrire anche la possibilità di caricare documenti a livello delle sezioni regionali o interregionali. Segnalata infine l’esistenza di software specifici sviluppati a livello internazionale per la gestione degli archivi istituzionali, preferibili rispetto all’adattamento ex post agli standard di interoperabilità di programmi già in uso (talvolta persino non open source).
L’intervento di Piero Cavaleri aggiunge alcuni elementi strettamente biblioteconomici, distinguendo la categoria delle pubblicazioni da quelle “cugine” (nei termini di questa giornata di studio) dei documenti amministrativi e dei siti web. In particolare, la vera e propria “pubblicazione” è tale perché si discosta per scopi e per linguaggio dai documenti nati per ottemperare alle procedure amministrative dell’ente. Si discosta inoltre anche dalle caratteristiche richieste a un sito web, ma, cosa più importante, nasce per un pubblico potenziale più ampio di quello dei fruitori interni dell’ente produttore. Diversa è anche la conservazione delle pubblicazioni rispetto, ad esempio, ai documenti di archivio. Per questi motivi è utile dare un seguito coerente alla tradizione di trattamento di questo tipo di materiale documentario all’interno delle biblioteche. Le pubblicazioni elettroniche, infatti, condividono con il cartaceo diverse caratteristiche: necessitano di un’indicizzazione sia descrittiva che semantica; possono configurarsi come il proseguimento di serie già presenti nelle biblioteche in formato cartaceo; devono poter essere reperite in un modo analogo a quello delle pubblicazioni tradizionali, rivestendo spesso un carattere fondamentale per conoscere singole realtà territoriali.
A livello pratico, i compiti di gestione delle pubblicazioni elettroniche si distribuiscono fra enti produttori, biblioteche degli stessi enti e biblioteche centrali. Il formato XML dovrebbe divenire uno standard per il formato di produzione delle pubblicazioni (ai fini della conservazione a lungo termine), ma non necessariamente per la diffusione, per la quale si possono prevedere libertà di formato, possibilità di accesso a entrambi i formati (di produzione e di pubblicazione) e descrizione nei cataloghi delle biblioteche. Sul piano della conservazione, infine, sono raccomandabili sia il deposito negli archivi digitali dell’ente produttore, sia presso le biblioteche centrali. Un riferimento generale nel campo della conservazione può essere considerato il modello LOCKSS (Lots of Copies Keep Stuff Safe), progetto internazionale che fornisce supporto e strumenti alle biblioteche nel campo della preservazione dei contenuti digitali. Resta aperto, in tema di memoria del Web pubblico, il problema di quanto a oggi sia già andato perduto. Ha chiuso la giornata l’intervento di Riccardo Ridi, che ha ricordato la consonanza esistente fra DFP e AIB-WEB sia in senso formale (strutture entrambe basate su coordinamento e autonomia) che sostanziale (nel voler offrire servizi non solo ai soci dell’associazione ma ai cittadini nel loro complesso). Ridi ha inoltre sottolineato i concetti di trasparenza e interattività come obiettivi primari da raggiungere, senza dimenticare ipertestualità, interoperabilità e standardizzazione dei metadati.
Il programma del convegno e il documento di indirizzo prodotto dalla Redazione DFP sono disponibili su http://www.aib.it/dfp/c0711.htm3.
Virginia.Gentilini@comune.bologna.it