La Biblioteca “Sagarriga Visconti Volpi” nasce a Bari il 5 aprile del 1865 innanzi al notaio Giuseppe Lattanzio. Il senatore Girolamo Sagarriga Visconti Volpi, residente a Napoli, di passaggio per la sua città di origine, sottoscrive l’atto di donazione di un fondo librario di sua proprietà, della consistenza complessiva di circa duemila volumi per un valore stimato di 1524 lire dell’epoca.
Il sindaco di Bari, Giuseppe Capriati, accetta la donazione con l’impegno formale, confermato da precedenti deliberazioni municipali, di utilizzarla per l’apertura di una biblioteca pubblica da denominarsi “Biblioteca Sagarriga”.
La prima collocazione della nuova biblioteca civica barese è in un paio di stanze al piano terra della strada “Palazzo di Città”, nei pressi della basilica di San Nicola.
L’amministrazione municipale provvede a nominarne direttore Giuseppe Ziccardi, un sacerdote originario della provincia di Capitanata, che insegna nelle scuole cittadine ed è canonico nel capitolo di San Nicola.
La Biblioteca ha un avvio piuttosto difficile e il suo munifico fondatore, morendo nel 1875, lascia in eredità all’istituzione culturale altri libri di famiglia e una rendita annua di 722 lire per favorire l’aggiornamento delle raccolte, che nel frattempo si sono arricchite anche dei fondi provenienti dall’incameramento nel demanio pubblico delle biblioteche degli enti ecclesiastici soppressi dalle leggi siccardiane.
Nel 1884 il Comune di Bari e la Provincia di Terra di Bari costituiscono un consorzio per la gestione della Biblioteca e nominano una Commissione per la direzione e l’amministrazione della Biblioteca consorziale, i cui membri sono scelti per una terzo dall’amministrazione municipale e per i due terzi da quella provinciale.
Uno dei primi atti della Commissione per la direzione della Biblioteca è la redazione di un regolamento. Si avvia anche un annoso dibattito sulla individuazione di una nuova e più idonea sede e sulle modalità di nomina del bibliotecario direttore.
Sui giornali cittadini si animano querelles abbastanza accese tra il primo direttore, il cav. Giuseppe Ziccardi, e un pretendente alla carica, l’abate Raffaele D’Addosio, un sacerdote barese ultimo rampollo di una famiglia originaria di Capurso, il cui esponente di spicco era stato il notaio Giuseppe D’Addosio. Il prete aveva ereditato dalla sua famiglia una ricca biblioteca e un cospicuo fondo documentario, esibiti come attestati di provata competenza biblioteconomica.
Per la nuova sede le pubbliche amministrazioni locali si orientano verso il Palazzo Ateneo, fatto costruire in quegli anni dalla Provincia come edificio da destinare agli studi superiori, anche se alcuni membri della Commissione della Biblioteca ritengono quella collocazione, vicino alla stazione ferroviaria, troppo periferica.
Per la scelta del direttore si soprassiede e il cav. Ziccardi si ritira spontaneamente dalla direzione nel momento in cui ritiene che l’età non gli consenta più di mantenere la carica.
La direzione viene allora affidata a un avvocato di Mola di Bari, Giuseppe De Santis, ma l’abate D’Addosio, soprannominato dalla satira giornalistica don Fifì, ritorna alla carica e mette sul piatto il dono della biblioteca di famiglia come contropartita per la nomina a direttore.
La Commissione accetta la proposta, a larga maggioranza, ma il presidente Giulio Petroni, che aveva votato contro, si dimette non appena la nomina di D’Addosio viene formalizzata.
Lo stesso De Santis lascia la Biblioteca, per tornarvi nuovamente da direttore dopo la morte di Raffaele D’Addosio, avvenuta nel 1901.
Intanto nel 1895, tra settembre e ottobre, la Biblioteca si trasferisce nella nuova sede al piano terra del Palazzo Ateneo, ma la riapertura al pubblico, dopo varie attività di risistemazione del patrimonio che ammontava, con l’acquisizione del fondo D’Addosio, a oltre 40.000 unità, avviene solo due anni dopo.
Gli spazi in cui la Biblioteca si colloca misurano circa 1500 metri quadrati e per gli arredi e il trasloco le amministrazioni interessate spendono poco più di 10.000 lire dell’epoca. La Biblioteca conosce in quella sede momenti importanti di sviluppo delle raccolte e di promozione del suo ruolo nell’ambito cittadino e regionale.
La nascita dell’Università degli studi di Bari nel 1924, con la facoltà di medicina e con quelle giuridico-economiche, rappresenta un momento importante di crescita della vita culturale cittadina.
All’interno dell’Ateneo barese si pubblica la rivista «Japigia», per la cui redazione la Biblioteca svolge un ruolo di primo piano. Dal 1906 la Biblioteca diviene destinataria della terza copia degli esemplari d’obbligo previsti dalla legislazione sulla consegna obbligatoria degli stampati.
Negli anni Trenta viene creata la Soprintendenza bibliografica per la Puglia e la Basilicata con sede a Bari, che trova ospitalità nei locali della Biblioteca e che viene diretta, per alcuni anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, da un bibliotecario, Francesco Barberi, che sollecita un rafforzamento della struttura bibliotecaria barese, anche per fornire un degno supporto alla Facoltà di lettere che dovrebbe sorgere nell’università.
Le vicende successive all’8 settembre del 1943 vedono un concentrarsi di interessi sulla Biblioteca anche in virtù della creazione di corsi provvisori di lettere per favorire i militari studenti temporaneamente di stanza a Bari.
Nel 1951 il Comune e la Provincia di Bari sottoscrivono una convenzione con il Ministero della pubblica istruzione che prevede la cessione in uso perpetuo del patrimonio della Biblioteca e dei suoi locali allo Stato perché ne faccia una biblioteca nazionale nel novero delle biblioteche pubbliche statali, ma per l’attuazione della convenzione bisogna aspettare l’approvazione di un’apposita legge, la n. 330 dell’aprile 1958.
La statalizzazione non è certo sufficiente a colmare le lacune organizzative di questa Biblioteca, ma la sua posizione all’interno del Palazzo Ateneo, sede delle facoltà umanistiche, ne fa uno strumento importante per gli studi e la ricerca accademica.
Abbastanza presto i locali in cui la Biblioteca è ospitata si rivelano insufficienti e comincia a crescere la domanda di spazi adeguati.
Alla fine degli anni Settanta il Comune di Bari propone il riutilizzo per tale scopo dell’isolato n. 49 nella città vecchia, ma gli ambienti che si potrebbero realizzare grazie al restauro di questo complesso sarebbero troppo angusti e chiaramente insufficienti.
Nel corso degli anni Ottanta il Ministero per i beni culturali ottiene dal demanio marittimo le chiavi del cinema-teatro “Margherita” ormai inutilizzato, edificio liberty degli inizi del secolo costruito sul mare ai margini della città vecchia. Vengono effettuati dei sopralluoghi e si cominciano a valutare le modalità per la realizzazione di un consolidamento statico e di un restauro conservativo che possa consentire il riutilizzo dello stabile come sede della Biblioteca nazionale. L’opposizione decisa del Comune, che vedrebbe con maggiore interesse un recupero dell’edificio come contenitore teatrale, costringe il Ministero a desistere, ma rende ancora più pressante la richiesta di individuare un sito dove far sorgere la nuova sede della Biblioteca.
Dopo alcune proposte assolutamente inadeguate, il Comune di Bari indica l’ex centro annonario, realizzato negli anni Venti del Novecento, comprendente il macello, il frigorifero comunale e il mercato ittico, in stato avanzato di degrado, ma sufficientemente ampio e sicuramente interessante per un progetto di recupero di archeologia industriale.
Nasce così l’idea della Cittadella della cultura, complesso da destinare a nuova sede della Biblioteca nazionale, ma anche dell’Archivio di Stato e di contenitori idonei alla promozione di attività culturali della cui carenza la città soffre acutemente. La Direzione generale per i beni librari individua i cespiti per il finanziamento dell’opera e la Soprintendenza per i beni architettonici della Puglia progetta e dirige i lavori per il restauro conservativo del complesso architettonico.
Si prevede la destinazione del frigorifero municipale e del mercato ittico quale sede della Biblioteca, mentre il restauro del macello comunale viene progettato come contenitore dell’Archivio di Stato e di un grande auditorium capace di circa 500 posti. In seguito a una gara di appalto-concorso viene individuata l’impresa Borini di Torino per l’esecuzione dei lavori di restauro conservativo e di riattamento.
La struttura restaurata viene consegnata all’inizio del 2004 e la Direzione generale per i beni librari procede all’affidamento, mediante pubblico incanto, degli appalti per le scaffalature compatte nei depositi della Biblioteca, per l’impianto di movimentazione dei libri, per gli arredi delle sale di lettura e degli uffici e per la rete telematica di tutta la struttura.
Finalmente nel mese di maggio di quest’anno viene affidato anche l’appalto del trasloco della Biblioteca, realizzato in tempi da record e con grande professionalità dall’a.t.i. Cortesi-Premio, e dal mese di agosto tutto il patrimonio librario, le sale e gli uffici sono ospitati nei due plessi che ne costituiscono la nuova prestigiosa sede.
La superficie a disposizione della Biblioteca ammonta a circa 11.500 metri quadri: gli spazi a piano terra e al piano ammezzato dei due plessi sono destinati a deposito librario, mentre tutto il primo piano, collegato mediante una passerella che unisce i due edifici, contiene le sale e le aree destinate alla fruizione pubblica.
Al primo piano dell’ex frigorifero, oltre alla grande sala di lettura, si trova un auditorium da 150 posti tecnologicamente attrezzato per convegni e conferenze. Nel primo piano dell’ex mercato ittico invece sono state realizzate tre sale di studio specializzate (consultazione manoscritti e rari, consultazione bibliografie e cataloghi, sala periodici).
Entrambi i plessi sono dotati, sempre al primo piano, di punti di distribuzione dei materiali librari provenienti dai depositi.
Nelle sale al pubblico si sviluppano circa duemila metri lineari di scaffalatura aperta, altri mille metri lineari di scaffalatura tradizionale sono stati ricavati nei due depositi destinati ai materiali rari e di pregio e ai manoscritti.
Nei magazzini librari invece è stato allestito un impianto di scaffalatura compatta ad apertura elettrica fornito dalla ditta Bertello che sviluppa una estensione di circa 17.000 metri lineari, compreso il piano ammezzato del mercato ittico, destinato alla collocazione su ripiani orizzontali dei volumi delle raccolte di giornali e di grandi formati.
Al piano terra del frigorifero sono stati ricavati gli ambienti per l’accoglienza e l’orientamento dei lettori, nonché due sale per la consultazione dei cataloghi cartacei.
Postazioni telematiche sono state installate in tutte le sale al pubblico per la consultazione del catalogo in linea, dei materiali in formato digitale disponibili sulla rete interna, degli opac nazionali e internazionali e per la navigazione in Internet. Sono presenti, nella sala di lettura del frigorifero, anche postazioni adeguatamente attrezzate per i non vedenti.
L’impianto di movimentazione libraria, installato dalla ditta Oppent, consente il trasferimento dei materiali da un qualunque punto dei magazzini ai punti di distribuzione collocati al primo piano dei due plessi e, naturalmente, il ritorno a deposito per la ricollocazione.
Al secondo piano dei due edifici, infine, sono stati realizzati gli uffici interni della Biblioteca, tutti collegati alla rete telematica e sufficientemente ampi e spaziosi.
Tutta la struttura è attrezzata con sei ascensori e tutti i punti della Biblioteca sono raggiungibili e percorribili anche da persone diversamente abili.
La bellezza della sede, la sua ampiezza e confortevolezza sono tuttavia controbilanciate da alcuni handicap che non vanno sottaciuti: la sede ha senza alcun dubbio una collocazione periferica e alquanto eccentrica rispetto a una città come Bari, che ha pur decentrato numerose facoltà universitarie e istituti di ricerca, ma in direzioni diametralmente opposte.
Il quartiere dove sorge la Cittadella della cultura è alquanto degradato e richiede sicuramente un maggiore impegno da parte del Comune per creare le condizioni urbanistiche e di igiene ambientale che non facciano apparire la Cittadella come un’isola, ma la integrino nel quartiere e nel tessuto urbano.
La Biblioteca poi non gode più in alcun modo di quella posizione privilegiata, che aveva nell’Ateneo barese, dove poteva essere frequentata anche estemporaneamente da studenti e ricercatori. L’utente è ora costretto a spostarsi apposta dai luoghi in cui abita o svolge le sue attività di studio o professionali per recarsi in Biblioteca, dove deve poter trovare servizi efficienti e risposte ottimali alle sue esigenze di ricerca.
La Biblioteca, i cui fondi superano i 400.000 volumi, deve ora darsi un target di utenza più preciso e una qualità dei servizi certificabile di alto profilo.
Deve proporre, alla città, alla regione e a tutte le persone interessate alla consultazione e alla fruizione delle sue raccolte, anche servizi gestibili in remoto con collegamenti via Internet e la certezza di una fruizione efficace dei servizi in sede, senza quei rallentamenti che possono essere determinati dalle moderne tecnologie, se non sono gestite correttamente.
Un ruolo fondamentale quale istituto bibliografico deve essere assunto dalla Biblioteca divenendo sede dell’Archivio regionale del libro, la cui creazione è prevista dalla recente legislazione sul deposito obbligatorio. È altresì necessario che la Biblioteca acquisti e intensifichi, a livello regionale, un ruolo propulsivo e di ricerca nell’ambito delle attività bibliografiche, della promozione dei servizi bibliotecari e della pubblica lettura.
L’attuazione dei progetti, appena avviati nella nuova sede, di catalogazione informatizzata retrospettiva e di digitalizzazione di una parte importante dell’emeroteca, finanziati con fondi regionali provenienti dagli accordi di programma quadro, non può che essere un primo momento di ammodernamento e di rilancio dei servizi bibliotecari della nuova struttura su basi di elevato contenuto scientifico e con gli strumenti delle tecnologie avanzate.
Né si deve dimenticare la proposta di Rosa Martucci, che in un intervento al seminario “Progettare la conservazione” della Commissione biblioteche e servizi nazionali, tenuto a Firenze il 23 febbraio scorso, segnalava la propria condivisibile propensione «per un approccio fiducioso al “vuoto”, considerato come pagina bianca da riempire senza fretta con una tessitura di significati da allestire in uno spazio vero, trasformando l’incompiutezza del cantiere nella promessa della creazione di una regione dell’anima per la gente che un po’ per volta ami identificarsi con la biblioteca, giungendo finanche ad attribuirle un valore simbolico».
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