Si è svolta a Roma, lo scorso 2 ottobre 2006, la Conferenza nazionale dell’Associazione delle professioni dei musei (ICOM Italia), dedicata alla discussione della Carta nazionale delle professioni museali e delle problematiche evidenziate a un anno della sua approvazione.
L’incontro è stato esteso alle altre professioni afferenti al settore del patrimonio culturale: gli archivisti e i bibliotecari. La comparazione di somiglianze e differenze tra le diverse professioni ha caratterizzato le presentazioni dei relatori e ha animato una vivace discussione che ne è seguita.
Le differenze tra le professioni sono legate soprattutto alla diversa storia e organizzazione che ciascuna delle professioni ha avuto, mentre le somiglianze possono essere identificate nell’attuale spinta alla convergenza, cioè all’integrazione dei ruoli e alla sinergia funzionale delle professioni del patrimonio culturale, tutte chiamate a sostenere la realizzazione della società dell’informazione e a rinnovare gli sforzi per la diffusione più ampia della cultura.
Possiamo anche dire che è emersa da parte di tutti i partecipanti alla Conferenza la diffusa consapevolezza di essere in un periodo di transizione, ricco di molte opportunità di successo ma anche di grandi rischi, in cui occorre ripensare criticamente il passato per progettare il futuro.
Cosa sono infatti oggi i conservatori dei musei, gli archivisti e i bibliotecari? Qual è l’utilità sociale che queste professioni possono comunicare alla società?
Il focus del Convegno è stato il problema ora comune a tutte le associazioni delle professioni culturali: il tema del riconoscimento delle professioni, e le diverse strategie messe in atto per facilitarlo.
Il problema del riconoscimento delle professioni culturali è stimolato dalle politiche europee, messe in atto per facilitare la mobilità dei professionisti in Europa e al centro della recente direttiva dell’Unione Europea (EU 2005/36) per la certificazione delle professioni non regolamentate.
La direttiva conferma l'importanza economica e sociale delle professioni non regolamentate [1] e ne propone il riconoscimento in linea con i principi europei: libertà di esercizio, concorrenza, garanzie di qualità per i cittadini-utenti ed elevate competenze dei professionisti certificate.
Il meccanismo con cui avviene il riconoscimento è molto delicato: la "dimostrazione di competenza" e la successiva certificazione dovrà essere formulata da associazioni riconosciute.
Il tema del riconoscimento non va tuttavia confuso con il problema formale di ottenere un certificato, ma porta invece con sé un insieme di problematiche concettuali, vecchie e nuove, a cui bisogna trovare risposta all’interno delle associazioni professionali stesse, prima di proporsi alla società.
Daniele Jalla, Presidente di ICOM Italia, ha evidenziato come gli assetti normativi e organizzativi dei musei siano stati legati soprattutto alle politiche del patrimonio e quindi legati agli apparati organizzativi istituzionali e molto poco alla fruizione delle risorse.
Per i musei, a partire da Quintino Sella, l’organizzazione dell’istituzione culturale è stata guidata soprattutto da problemi di efficacia ed efficienza organizzativa e i conservatori di museo sono stati considerati una sorta di burocrazia tecnica, ma non veri professionisti con una loro competenza scientifica.
Garlandini, dirigente dei musei della Regione Lombardia, ha esposto un concetto diverso di museo, non più come contenitore ma come servizio. Il museo infatti non assolve solo una funzione di conservazione ma attua un processo dinamico di produzione di sapere e di comunicazione di cultura. Tuttavia, solo se i conservatori saranno capaci di dimostrare alte competenze professionali, e comunicare i valori specifici della professione alla società, questa trasformazione del museo potrà essere realizzata.
La strategia che è stata attuata è stata quella della Carta nazionale delle professioni del museo, approvata nel 2005 a Milano, e che descrive quattro ambiti di attività, a partire dalla figure apicali con responsabilità di coordinamento e direzione.
Diana Toccafondi ha affermato che l’archivista tradizionalmente è considerato un impiegato statale, ma è anche un ricercatore. La storia dell’amministrazione degli archivi ha visto competere due modelli alternativi: quello conservativo piemontese, finora prevalente, e quello di ricerca fiorentino: il primo è basato sul concetto di istituzione culturale, il secondo sul ruolo del professionista.
Oggi si è entrati in un periodo di crisi del modello piemontese e a questo si deve aggiungere l’impatto delle nuove tecnologie e l’emergere di nuove figure professionali, come il record manager, l’archivista del presente, l’esperto della produzione di archivi più che dell’organizzazione di archivi storici. L’Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI) ha dovuto realizzare una strategia adeguata al cambiamento e sono state individuate alcune linee di attività.
L’Albo professionale è stata la prima scelta, pur consapevoli dei rischi di questo strumento che non deve essere la difesa di una corporazione. L’iscrizione all’Albo prevede un esame di ammissione per titoli (basato su incarichi svolti e pubblicazioni). Successivamente, nel 1996 è stato realizzato un Codice di deontologia professionale (basato su un modello internazionale). Infine è stata completata la Carta della qualità negli archivi, che recepisce il nuovo quadro legislativo determinatosi con la riforma della Pubblica amministrazione e collega il miglioramento della qualità dei servizi al miglioramento continuo della professione.
Attualmente l’ANAI ha costituito un Gruppo di lavoro sulla certificazione, che sta lavorando seguendo due linee di sviluppo, su cui riferirà nel prossimo Convegno dell’Associazione:
- l’analisi dell’offerta formativa;
- la stesura di elenchi di attività svolte dai professionisti.
La certificazione rappresenta, rispetto alla tradizione archivistica, un grosso cambiamento, in quanto è basata sul singolo individuo, non sull’istituzione di appartenenza, come finora è avvenuto. Gli archivi sembrano quindi luoghi di cultura che devono recuperare la coscienza dell’istituzione.
Anna Maria Tammaro ha brevemente descritto la strategia attuata dai bibliotecari [2], descrivendo la scelta attuale dell’internazionalizzazione come strumento per il miglioramento della professione. La recente sfida a cui ci si sta preparando è quella del Convegno mondiale dell’IFLA nel 2009 a Milano.
La professione dei bibliotecari è anch’essa, come quelle dei conservatori e degli archivisti, al centro di importanti trasformazioni, in parte causate dall’applicazione delle nuove tecnologie. Inoltre, negli ultimi anni si è potuto evidenziare un’evoluzione nel concetto di biblioteca come bene culturale, che da una nozione legata al patrimonio è stata estesa al concetto di servizio culturale. Infatti, se teniamo ferma la classica definizione di bene culturale come "testimonianza avente valore di civiltà", questo concetto rischia di essere un ritaglio troppo stretto, ormai, nel contesto dei servizi informativi.
Con l’assoluta attenzione che dobbiamo assicurare ai beni culturali, probabilmente la professionalità che si chiede ai bibliotecari oggi, non si limita al trattamento (cioè catalogazione, classificazione, amministrazione) del bene culturale, ma tende soprattutto ad accentuare il concetto di servizio, di centralità dell’utente, di offerta di funzionalità e servizi molto più ampi della conservazione.
Un cambiamento importante per gli istituti bibliotecari è stato rappresentato dalla riforma del titolo V della Costituzione, oltre che già prima dalle cosiddette "leggi Bassanini" che hanno posto alle Regioni il compito di stilare e approvare in qualche forma normativa, come atto di indirizzo, i profili professionali degli operatori culturali dei servizi di loro competenza (biblioteche e musei di ente locale e di interesse locale). Questa innovazione legislativa è fonte di grande potenzialità, e necessita di attente riflessioni.
Un’altra criticità tutta nuova per i bibliotecari è quella della sempre più forte presenza di lavoratori atipici (o meglio "discontinui") nelle biblioteche; cosa che, al di là delle diverse opinioni su tali forme contrattuale, è un oggettivo problema che presenta delle specificità, come per esempio la rotazione degli incarichi, la precarietà, la mancanza di richiesta di alte competenze professionali privilegiando all’opposto criteri al ribasso per ottenere risparmi economici.
Il mercato del lavoro in Italia è per i bibliotecari molto distante dalle indicazioni europee, in particolare quelle recentemente indicate dall’European Qualification Framework (EQF) in una recente direttiva dell’Unione Europea. La professionalità dei bibliotecari in Italia è inoltre generalmente di livello inferiore rispetto a quella riconosciuta ai bibliotecari in Europa.
Il tema del riconoscimento è strettamente connesso al tema della formazione, che tutti i relatori partecipanti alla Conferenza hanno indicato come chiave di volta per il cambiamento delle professioni del patrimonio culturale. I conservatori di museo partono da una specializzazione post-laurea prevista per l’accesso alla professione e successivamente una formazione continua.
È stato evidenziato come la professione museale è caratterizzata da una forte interdisciplinarietà, da un confronto continuo tra saperi e culture diverse, che impongono al professionista dei musei di essere padrone di tante discipline, oltre alla sua specializzazione specifica, che include la capacità di saper amministrare l’istituzione e un’esperienza internazionale. Pur avendo ottenuto nel 2005 una legge speciale per gli operatori museali (109/2005), l’attuale sistema formativo non corrisponde appieno alle attuali esigenze formative.
Il modello a cui i professionisti dei musei aspirano è quello delle Scuola di alta formazione in Francia. Archivisti e bibliotecari hanno da sempre legato l’identità della professione alla formazione. Su loro ha avuto un positivo impatto la riforma delle università, anche se è stata sottolineata la necessità di superare la dicotomia tra teoria e pratica nella formazione, in quanto un periodo di stage deve essere ritenuto necessario per la preparazione professionale.
L’interessante confronto tra le diverse associazioni professionali ha reso evidente che esiste oggi una forte convergenza tra archivi, biblioteche e musei. Sono importanti delle sinergie per il riconoscimento professionale e per la formazione, che sono necessarie per integrare in tutte le professioni del patrimonio la tutela con il servizio.
Inoltre la discussione ha evidenziato la necessità di percorsi formativi unitari, importanti per il successo delle strategie avviate dalle singole Associazioni in maniera autonoma.
annamaria.tammaro@unipr.it
[1] Le professioni ora non regolamentate potranno venire affiancate a quelle regolamentate, perché ritenute di particolare interesse pubblico o attinenti a interessi costituzionalmente garantiti, come quella dei medici, degli avvocati, degli ingegneri ecc.
[2] Nel 1998 l'AIB ha costituto l'Albo professionale dei bibliotecari italiani, che rispondeva alla necessità di prepararsi a un nuovo scenario normativo delle professioni in Italia. L'AIB inoltre si è mossa per la certificazione all'interno del Colap (Coordinamento libere associazioni professionali), a cui nel 2001 ha aderito inserendosi nell'area "tecnica". Cfr. Claudio Gamba, Dall'albo dei bibliotecari al riconoscimento professionale, «AIB notizie», 16 (2004), n. 4, p. I-III.