[AIB] AIB notizie 18 (2006), n. 11
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Stati generali delle associazioni professionali e riforma delle professioni

Claudio Gamba

Il 1° dicembre scorso, il governo ha approvato il disegno di legge-delega "Riforma delle professioni". Si tratta della tanto attesa riforma delle professioni intellettuali, che da almeno due intere legislature - con varie forme e proposte di legge, a opera sia del Senato che della Camera che del CNEL - impegna le forze politiche e le parti sociali alla ricerca di un equilibrio che, finora, non si è mai raggiunto.
In breve, il quesito che si pone (e su cui appunto l’equilibrio va trovato e utilizzato) è: "proteggere" le categorie professionali con sistemi che (almeno teoricamente) garantiscano la tutela della qualità, i diritti dell’utente-cliente, il reddito delle categorie interessate, e soprattutto l’esclusività di esercizio (il principio per cui nessuno può esercitare, per esempio, la professione medica senza essere iscritto all’ordine)? Oppure "liberalizzare", lasciare che - almeno laddove non siano in gioco diritti "fondamentali" dell’utente-cliente - le professioni si conformino a principi più liberi di accesso, maggiore concorrenza, nessuna "esclusività" di esercizio - senza perdere però prerogative di qualità e competenza?
La prima ipotesi rimanda al tradizionale sistema degli "ordini professionali", istituiti per legge, con accesso subordinato a superamento di un esame di Stato, tariffe minime stabilite dalla normativa, tutela degli utenti affidata agli stessi ordini tramite organismi giurisdizionali interni, assoluta esclusività di esercizio (la cui trasgressione è punita penalmente).
La seconda ipotesi rinvia invece a un sistema che si ispira ai principi dell’Unione Europea: libertà di circolazione di persone e cose, e di esercizio di attività su tutto il territorio europeo, competitività e concorrenza, tutela del consumatore. Un sistema ampiamente "deregolato", di stampo anglosassone, rivolto al mercato e alle sue forme più mutevoli e innovative.
L’equilibrio che quasi dieci anni di tentativi parlamentari non sono riusciti a raggiungere, è quello di un sistema "duale", in cui convivano - senza eccessivi conflitti e sovrapposizioni - le professioni regolate da ordini e albi, e quelle a libero accesso; le prime solo per le situazioni in cui vengono in gioco diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione (ad esempio la sicurezza, la salute, il diritto alla difesa in giudizio…); le altre in tutti i casi residuali.
Perché l’equilibrio non si è trovato in tutto questo tempo? Il motivo è semplice, ed è la strenua opposizione degli ordini professionali - sia quelli storici che quelli di più recente formazione, che hanno portato al "mostruoso" numero di oltre 35, un vero "record mondiale"! - a cedere alcune delle loro prerogative di esclusività, anche in campi che non necessariamente dovrebbero essere loro "riservati". Si pensi per esempio ad attività di consulenza giuridica - rese ad aziende o imprese - che pur avendo aree di sovrapposizione, non sono del tutto assimilabili all’attività tipica degli avvocati e cioè la difesa in giudizio. Oppure ad attività di consulenza finanziaria che risultano distinguibili dalle funzioni tipiche riservate ai commercialisti - come la predisposizione o la revisione di bilanci.
La paura degli ordini di perdere "comode" posizioni monopolistiche ha fatto sì che le lobbies parlamentari (in larga parte formate dagli stessi professionisti) bloccassero le proposte di riforma, pur condivise nel principio dalle diverse forze politiche.
Il governo Prodi, fin dalle sue prime mosse, ha dato l’impressione di voler mettere mano a riforme liberalizzatrici, a partire dal cosiddetto "decreto Bersani", che non a caso ha scatenato le proteste di categorie "protette" come i tassisti e i farmacisti.
Nonostante incertezze e rischi di immobilismo, anche per il generale tema delle "professioni" sembra ora confermata la volontà di questo governo di proseguire questa opera liberalizzatrice: dunque di avviare anche in Italia quella riforma che dovrebbe avvicinarci al modello "europeo" di regolamentazione delle professioni, con maggiore libertà, flessibilità, concorrenza e naturalmente rispetto delle direttive europee in materia.
Il testo del disegno di legge approvato dal governo intende fissare principi e criteri generali di disciplina delle professioni intellettuali. In particolare uno dei criteri prescritti è la individuazione delle professioni da sottoporre a maggiore regolamentazione (ordini, collegi, albi) a tutela di pubblici interessi, quelle per cui invece occorre un riconoscimento più "leggero" e infine la possibilità di eliminare o accorpare ordini professionali già esistenti e giudicati "inutili".
Non si tratta dunque di abolire gli ordini professionali (anche se qualche forza politica di maggioranza - come i Radicali - tendeva a questo obiettivo) quanto piuttosto di correggere l’assoluta sproporzione tra professioni tutelate e professioni quasi "fuori legge", prive di qualsivoglia definizione e normazione.
Il testo proposto poi si occupa di fissare principi per la normativa dell’accesso, della congruità tra titoli di studio e professioni, del tirocinio (con ampie garanzie di tutela per i giovani), della deontologia professionale.
Particolarmente importante - per professionisti "anomali" come potremmo definirci noi bibliotecari - è poi l’art. 8, che fissa "principi e criteri in materia di associazioni professionali riconosciute". In pratica, statuito il principio che le professioni non sono necessariamente rappresentate solo dagli ordini, la legge dovrà dettare norme di "diverso" riconoscimento per le professioni (anche per quelle inquadrate in ordini, per le loro "specializzazioni"). Il principio (già prescritto da una direttiva europea) è che le libere associazioni di professionisti siano i soggetti più adatti a garantire quelle caratteristiche di qualità, competenza, rispetto della deontologia, aggiornamento, che sono i presupposti per un valido servizio ai cittadini.
Pertanto tali associazioni - purché dotate di adeguati requisiti fissati dalla legge in materia di rappresentatività, conoscenza disciplinare, gestione democratica, rispetto della deontologia - potranno certificare la professionalità dei loro associati (o di quella parte dei loro associati dotati di appropriata preparazione ed esperienza) attraverso l’emissione di "attestati di competenza": una certificazione non obbligatoria per svolgere la professione, non emessa da una sola associazione (ma potenzialmente da più associazioni variamente rappresentative purché dotate dei requisiti minimi), e tuttavia riconosciuta sul mercato del lavoro (indipendente o dipendente).
Per professioni come la nostra, che mai hanno raggiunto il benché minimo livello di riconoscimento (spesso nemmeno nei contratti della pubblica amministrazione), si apre una prospettiva interessante. Come è noto, l’AIB ha costituito a partire dal 1999 l’Albo professionale italiano dei bibliotecari, anche in previsione di futuri (e ahimè al tempo assai lontani!) nuovi scenari legislativi.
Ora, il tempo di questi "nuovi scenari" è forse arrivato: e dunque è forse venuto davvero il momento di rivitalizzare il nostro "albo" e fare in modo di trasformarci un po’ più decisamente in "associazione professionale", nel senso di enfatizzare nella nostra struttura e attività l’importanza della professione, dei suoi contenuti, del suo sviluppo, della sua tutela.
Perché ancora tanti "forse"? Perché il cammino - ancorché ben avviato - è ancora lungo e non privo di pericoli di ritorno all’indietro.
Il testo approvato dal governo è un disegno di legge: per cui deve ancora passare la "navigazione" parlamentare, attraverso il lavoro in sede referente di molte commissioni e poi l’approdo sia alla Camera che al Senato, con votazione dell’intero testo: un iter lungo ma costituzionalmente necessario, trattandosi di legge-delega. Inoltre, a legge approvata, il governo avrà un tempo (decisamente troppo lungo, a mio avviso!) di 18 mesi per l’emissione di uno o più decreti legislativi che regoleranno compiutamente e nel dettaglio la materia secondo principi sanciti dalla legge stessa.
Si tratta quindi di un percorso in cui gli ostacoli potrebbero essere difficili, a partire dalla (già vista) opposizione trasversale di lobbies di professionisti "ordinistici" in Parlamento. In ogni caso è molto positivo che già nel governo si sia creato un ampio consenso su questa riforma difficile.

Potrà essere - per i bibliotecari italiani - la "volta buona"? Io credo che questa riforma, anche se non pensata specificamente per noi, anche se ci inserisce in un discorso più ampio e forse più generico, sia un treno da non perdere, per non rischiare di finire ulteriormente marginalizzati e privi di ogni riconoscimento giuridico.
Può darsi che dovremo leggermente cambiare il nostro "DNA": diventare un’associazione più professionale, fare qualche modifica a Statuto e Codice deontologico, forse dotarci di strumenti inusuali come un’assicurazione sui rischi professionali. Si tratta però di obblighi a cui vale la pena ottemperare, ai fini di un tanto atteso riconoscimento.

Infine, una nota "di cronaca". Il giorno precedente a quello dell’approvazione del ddl in Consiglio dei Ministri, a Roma si è svolta la seconda edizione degli "Stati generali delle associazioni professionali", promossa dal CoLAP (Coordinamento libere associazioni professionali) proprio per sostenere la riforma. Alla manifestazione - che con la partecipazione di circa 2000 persone ha riempito fino all’ultimo spazio il teatro Capranica, proprio di fronte alla Camera dei Deputati - sono intervenuti molti esponenti politici, di maggioranza e opposizione. Tra di essi il Ministro della giustizia Clemente Mastella, presentatore del disegno di legge in quanto competente per la materia "professioni". Erano anche presenti presidenti di commissioni parlamentari e politici "esperti" del tema, relatori nel recente passato di vari testi di legge sulle professioni, (per esempio Mantini (Margherita), Battafarano (DS), Siliquini (AN).
Il successo della manifestazione ha contribuito a rafforzare – nel Governo stesso, e tra le forze politiche – la linea di una rapida definizione della riforma, e di una sua precisa caratterizzazione in senso liberale ed europeo.
Ero presente, anche in quanto componente dell’esecutivo nazionale CoLAP, e insieme a Piera Colarusso (che fa parte dell’esecutivo del CoLAP Lazio) abbiamo contato (per la verità un po’ a fatica, data la folla) non più di 8 bibliotecari (oltre a noi).
Si può capire che una manifestazione di questo tipo (con forte caratterizzazione "politica") a Roma non può attrarre bibliotecari da tutta Italia. Altrettanto vero è che negli stessi giorni c’erano un po’ ovunque iniziative di ambito bibliotecario (più tecniche o formative) che hanno catalizzato l’attenzione del nostro ambiente professionale. Anzi, nella stessa giornata del 30 novembre alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma si discuteva del cammino di rinnovamento delle RICA, alla presenza di almeno 400 colleghi.
Ritengo tuttavia che – da parte dei soci AIB e in generale dei bibliotecari italiani – si sarebbe potuto fare qualcosa di più, per dimostrare interessamento e sostegno a un tema che pure a parole sembra essere condiviso da tutti: chi infatti, tra noi (e qualsiasi ormai sia il suo ambiente di lavoro) non lamenta il mancato riconoscimento (giuridico, economico, organizzativo, scientifico…) della professione e dei suoi contenuti più specifici?
Se tuttavia non impareremo (come stanno facendo decine e decine di altre associazioni professionali) a rivendicare questo nostro diritto a "essere riconosciuti", e a farci vedere e sentire anche su questo tema, io credo che il rischio di "perdere il treno" sia molto elevato.
Ben vengano allora (ovviamente) gli incontri tecnici, professionali, formativi, che rappresentano l’essenza del nostro metodo di lavoro. Ma se non saremo riconosciuti in ogni ambito per ciò che sappiamo e facciamo, anche gli standard, le regole, le tecniche professionali più sofisticate e aggiornate… dovremo tenercele sul comodino come lettura serale, perché forse i nostri datori di lavoro obietteranno che servono a poco e costano troppo!
Credo che dobbiamo davvero trovare nuova forza e concreta decisione per dare peso e sostanza alla nostra professione - alla luce anche delle tante cose importanti emerse dal nostro recente Congresso – altrimenti rischiamo una pericolosa debolezza e marginalizzazione nel mercato del lavoro, pubblico e privato.
Il percorso legislativo verso il riconoscimento professionale avrà bisogno certamente di altri momenti di sostegno e mobilitazione: mi auguro che in queste occasioni i bibliotecari ci siano!


GAMBA, Claudio. Stati generali delle associazioni professionali e riforma delle professioni. «AIB notizie», 18 (2006), n. 11, p. 3-4.

Copyright AIB 2007-01, ultimo aggiornamento 2007-01-18 a cura di Zaira Maroccia
URL: http://www.aib.it/aib/editoria/n18/1103.htm3

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